Da "La Repubblica" del 10.07.05 di MASSIMO LUGLI
Festa e lutto, a Roma l´orgoglio gay
Gli organizzatori: siamo quarantamila. Fra i temi dominanti, le nozze fra omosessuali e i patti civili di solidarietà. Migliaia in piazza con le bandiere abbrunate per i morti di Londra.
Roma Pride 2005
ROMA – Bandiere arcobaleno abbrunate e musica techno. Transessuali scatenati che ballano a ritmo di merengue e fasce nere al braccio per le vittime dell´attentato di Londra. La festa e il lutto, l´impegno e il divertimento, la rabbia e l´allegria nella solita cornice multicolore di lustrini, paillettes, trucco esagerato in pieno stile "Rocky horror picture show". Un corteo rumoroso e festoso che ha sfilato per oltre tre ore da piazza Esedra alla Bocca della Verità, tagliando in due il centro della capitale.
Un appuntamento, quello del Gay pride romano che qualcuno aveva pensato di annullare dopo l´attentato in Inghilterra e che ha avuto un successo oltre le previsioni degli organizzatori. «Siamo più di 40 mila, è la manifestazione più grossa dopo il World pride, segno di una voglia di reagire al terrorismo che va oltre le tematiche consuete» esulta Rossana Praitano, presidente del circolo Mario Mieli. Molto diversa la valutazione ufficiosa della polizia: meno di 10 mila manifestanti.
Tra i temi più scottanti, quello delle nozze gay autorizzate in Spagna ma ancora ben lontane dall´orizzonte italiano. In testa al corteo, una "Duetto" rosso fiamma del 1976 con la scritta "Domani, forse, sposi", i barattoli legati al parafango posteriore e due cartelli: «Casini concubino" e "Pera, servo del Vaticano". Alla guida, Luca, 40 anni, imprenditore, il suo compagno Marco, di 32 e, dietro, lo scrittore Massimo Consoli. «Stiamo insieme da 4 anni e vogliamo sposarci – spiegano Marco e Luca – se non ne avremo la possibilità andremo a vivere in Spagna e prenderemo la cittadinanza». «Il nostro obiettivo attuale non è tanto il matrimonio tra omosessuali ma il Pacs, il patto civile di solidarietà che assicura una serie di diritti anche alle coppie di fatto» interviene Sergio Lo Giudice, presidente nazionale dell´Arcigay.
Tanta musica, nessuno slogan, molti striscioni: «Sacro il lavoro, laico lo stato» si leggeva sui cartelli della Cgil, «No al terrorismo, mai più odio e discriminazione» «Zapatero, santo subito» «Non sono preda di nessun diritto» «Vent´anni di discriminazione, fuori la Chiesa dallo Stato». Nove camion decorati con palloncini e festoni tra cui quello spagnolo («Que viva gayssima España») con un contorno di mantiglie e ventagli. Le spose siliconate del primo carro in contrasto stridente con un gruppo di "macho men" stile sadomaso, crani rasati, bretelle e stivali fetish. Nel corteo, una pattuglia di politici: Franco Grillini, Ds, Titti De Simone e Salvatore Bonadonna di Rifondazione, Beppe Mariani e Andrea Striano dei Verdi, l´assessore regionale al Bilancio Luigi Nieri e quello capitolino alle pari opportunità Mariella Gramaglia in rappresentanza della Giunta comunale. «Lottare per i diritti civili vuol dire anche battersi per la pace e contro il terrorismo – dice Grillini – Anche perché l´odio per gli omosessuali accomuna il fanatismo religioso di ogni matrice». A via Cavour, molti inquilini salutano con la mano dalle finestre e dalle terrazze. Poi la musica tace, le bandiere si abbassano in segno di omaggio per i morti di Londra. Un minuto di silenzio raccoglimento e commozione e la festa ricomincia. Due ragazzi si baciano appassionatamente e nessuno ci fa caso.
Da "’Unità" del 10.07.05 di Delia Vaccarello
Roma abbraccia il corteo, il colore invade la città
Un pensiero anche per Michele Presta, il sindacalista della Cgil ucciso a Catanzaro.
ROMA Pride col sorriso, orgoglio di unità e di liberazione. Il corteo contro tutte le discriminazioni che ha sfilato ieri per le vie di Roma, partecipato dai cittadini anche dalle finestre aperte, ha risposto con serenità agli attacchi delle alte cariche dello Stato contro i gay, alle bombe di Londra, alle gerarchie cattoliche con le braccia chiuse. Una serenità che cattura in tempi di oscurantismo. In più di quarantamila sono scesi in piazza grazie alle sigle romane unite, ai rappresentanti nazionali dell’Agedo (genitori di omosex), della Cgil, di Arcigay, dei Ds con Grillini, di Rc con Titti de Simone. Un duetto alfa romeo dell’epoca del film “Il laureato” apre la sfilata e traccia un ponte tra il ’68 e l’oggi. Al volante Luca, Marco al suo fianco: «Vogliamo sposarci, finirà che emigreremo». Seduto dietro, la bandiera arcobaleno in pugno munita di striscetta nera in segno di cordoglio per le bombe, Massimo Consoli. Storico e scrittore, tra i fondatori del movimento gay italiano, precisa: «Per la morale cattolica che non condivido Casini sarebbe un pubblico concubino. Ma non per me. Noi chiediamo il rispetto di ogni scelta».
Violano il rispetto le frasi di Militia Christi che dicono “no al gay pride” e si affiancano ai manifesti di Ds, Gay left, e Sinistra giovanile che invitano a partecipare. Imma Battaglia, la pasionaria del world pride 2000, non indugia e distrugge le scritte che definiscono i gay “morti che parlano”. La liberazione fa proseliti: ad applaudire sono tanti etero. Anche Consoli batte le mani. Lotta contro il cancro da anni, ha adottato un giovane, oggi è nonno: per la sua storia, diventa il simbolo di un movimento che resiste e conosce la gioia. Gioiscono dei propri figli i genitori dell’Agedo e denunciano: «Siamo riconoscenti ai nostri ragazzi di aver parlato con noi», dice Anna Ciano ed Ettore, il marito: «Sono stati discriminati da piccoli, perché non omologati. Da grandi non si dà loro una prospettiva. La storia si pentirà di questa ingiustizia che in Italia viola i principi della Costituzione». Gli fa eco Titti De Simone: «Se definisci i diritti capricci, come ha fatto Pera, attacchi i fondamenti della Repubblica. Senza pace non c’è stato di diritto». L’integralismo ha l’effetto di unire chi lotta per la libertà. «I problemi di molti sono ancora in famiglia. Ma gli attacchi della Destra non pagano, per i nostri genitori, liberali, sono ridicoli», dice Valentina Bagnoli.
“Angeli” con ali bianche sfilano dietro al carro del circolo Mieli, con la drag queen Karl du Pignè vestita di bianco che ricorda: «Il primo gay pride romano fu organizzato da una signora, Debora di Cave, che è qui con il figlio di un anno». L’applauso riempie il cielo azzurro. Mentre poco prima tutto era silenzio, in ricordo delle vittime dell’ultima strage. Chiaro, la repressione pesa. Omar e Rossella, 17 anni, lamentano: «Ci vogliono pietrificare, ma restiamo fluidi»; Veniero Fusco da Caserta: «Nelle famiglie del Sud c’è molto da fare»; «La piaga è l’omofobia interiorizzata», aggiunge Jiulia Pietrangeli. Ma la Cgil con Gigliola Toniollo rincuora suggellando il pride con lo slogan: «Sacro il lavoro, laico lo Stato». Toniollo aggiunge: «Teniamo alta la sacralità di chi opera». Il carro Cgil sfila sulle note della marcia nuziale. Il pensiero va al sindacalista Presta che si è ribellato al ricatto omofobico ed è stato ammazzato. Per lui, per tutti, occorre sapere “sposare” lotta e sorriso.
Da "’Unità" del 10.07.05
Un amore a cui manca il Pacs
Andrea e Dario hanno superato molti tabù, ora chiedono che sia lo Stato a fare la sua parte.
«PACS SUBITO», recita la scritta sull’auto rossa che sfreccia, si fa per dire, lungo il corteo romano del Gay Pride. Inseguita dai barattoli e dal desiderio di normalità di tante coppie che marciano mano nella mano o solo fianco a fianco, come Andrea e Dario, chiedendo che venga approvata subito la legge che regoli i «patti civili di solidarietà», Pacs, appunto. Quarantenni, dirigenti d’azienda, Andrea e Dario, cattolici tutti e due, si sono conosciuti quasi vent’anni fa e da allora non si sono mai lasciati. Era il 1986 frequentavano insieme Scienze Politiche alla Luiss. Tra un corso e l’altro è nata prima l’amicizia, con qualche censura. E poi l’amore. Il primo e l’unico per tutti e due. «La nostra è una storia come quelle dei nostri genitori. Un rapporto da sempre monogamico, certo non facile…», confessa Dario. I primi 11 anni lui e Andrea li hanno trascorsi in assoluta clandestinità. Ognuno a casa dei propri genitori, senza dire nulla nemmeno agli amici, senza frequentare gli ambienti omosessuali.
«Speravamo che gli altri ci considerassero grandi amici e basta. Pensavamo che ognuno di noi avrebbe avuto una casa e che saremmo andati avanti così per tutta la vita». E così è andata fino ad un certo punto. «Sei anni fa – racconta Andrea – sono andato ad abitare nella casa che avevo appena comprato. Ovviamente da solo. Però appena mi sono trasferito, sono cominciati gli attacchi di panico e ho capito che era proprio quella casa tutta per me, la solitudine a spaventarmi».
Sei anni fa, quindi, Andrea e Dario decidono di dire tutto ad amici e genitori e poi vanno a vivere insieme. Adesso hanno una normale vita di coppia. «La domenica a pranzo dai mei, le vacanze con i fratelli di Dario e le loro mogli, il Natale tutti insieme con i familiari». Hanno superato i tabù personali, quelli familiari e anche quelli religiosi. «Facciamo la comunione regolarmente». Solo a volte capita di incontrare un prete che li consiglia di «mettersi in ascolto del Signore», che però finora non ha mai detto a Dario e Andrea che il loro rapporto è sbagliato, se non attraverso le parole di papa Ratzinger o del cardinal Ruini.
Figli non ne vogliono, anche se la loro casa è aperta a tutti e se si dedicano agli altri attraverso il volontariato. L’unica cosa che manca ora – dicono – è il riconoscimento da parte della società e dello stato italiano. «Niente matrimonio, non ci interessa, vorremmo solo che la nostra unione fosse riconosciuta. Vorremmo stringere un Pacs per non trovarci in tutte quelle situazioni spiacevoli in cui una coppia di fatto si trova quando arriva una malattia, una morte, una questione patrimoniale». Quello che potevano fare l’hanno fatto: la casa in cui vivono è in co-proprietà, nell’assicurazione sulla vita hanno indicato l’uno come fiduciario dell’altro. Adesso è lo stato laico che deve fare la sua parte.