Audizione di Stefano Rodotà, professore ordinario di diritto civile presso l’Università “La Sapienza” di Roma.

  

CAMERA DEI DEPUTATI – XIV LEGISLATURA
Resoconto della II Commissione permanente (Giustizia)
Seduta del 21 luglio 2005

Indagine conoscitiva sulle tematiche riguardanti le unioni di fatto ed il patto civile di solidarietà.

Audizione di Stefano Rodotà, professore ordinario di diritto civile presso ‘Università "La Sapienza" di Roma.

(Fonte: www.parlamento.it)

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GAETANO PECORELLA

La seduta comincia alle 8,50.

PRESIDENTE. ‘ordine del giorno reca, nel’ambito del’indagine conoscitiva sulle tematiche riguardanti le unioni di fatto ed il patto civile di solidarietà , ‘audizione del professor Stefano Rodotà, ordinario di diritto civile presso ‘Università "La Sapienza" di Roma. Ricordo che ‘indagine conoscitiva si svolge, ai sensi del’articolo 79, comma 5, del regolamento, nel’ambito del’esame in sede referente delle proposte di legge C. 3296 Grillini ed altri, C. 795 Bellillo ed altri, C. 4442 Buemi, C. 4478 Bellillo ed altri, C. 4334 Rivolta ed altri, C. 4588 ‘iniziativa del Consiglio regionale della Toscana e C. 4585 Moroni, in materia di unioni di fatto e di patto civile di solidarietà . Saluto, anche a nome della Commissione, il professor Rodotà -il quale non ha certo bisogno di essere presentato- ringraziandolo moltissimo per il contributo che vorrà dare alla discussione sulle proposte di legge relative al patto di solidarietà e gli do immediatamente la parola.

STEFANO RODOTÀ, Professore ordinario di diritto civile presso ‘Università "La Sapienza" di Roma. Sono io che ringrazio il presidente e la Commissione per ‘invito di oggi. ‘importanza della questione non sfugge ad alcuno. Ringrazio anche gli uffici per avermi fornito u’adeguata documentazione che mi permetterà di non ripetere notizie ed informazioni già fornite nel corso delle audizioni precedentemente svolte. Ritenendo che la questione sia di gran dissima rilevanza, come è noto a tutti, dal punto di vista politico e costituzionale, preferirei aggiungere qualcosa in merito alle dinamiche al’interno del’Unione europea. Avete tenuto u’eccellente audizione riguardante gli aspetti comparativi ma qui non si tratta di comparazione quanto piuttosto -è il tentativo che farò- di individuare con maggiore precisione quali sono i punti di riferimento e le tendenze già rilevanti nel’ambito del’ordinamento europeo e quindi tali da in fluire anche sulle decisioni che il Parlamento dovrà prendere. Faccio anzitutto riferimento al’articolo 9 della Carta dei diritti fondamentali, intitolato "Diritto di sposarsi e di costituire una famiglia" e, più specificamente, al punto in cui si afferma che "il diritto di sposarsi e di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano ‘esercizio". Naturalmente, a questo riguardo si potrebbe sollevare u’obiezione riguardante la rilevanza giuridica della Carta, soprattutto dopo le vicende che hanno accompagnato la sua vita e storia nel’ambito europeo. Tuttavia, ritengo che questo riferimento sia legittimo per una ragione: la Carta è storicamente anteriore al Trattato per una Costituzione europea, essendo stata proclamata a Nizza nel dicembre del 2000. Come tale, essa ha in parte una sua storia autonoma. Si potrà discutere se, alla fine del processo di ratifica, dovesse ques’ultimo dare esito negativo, la Carta possa o meno sopravvivere con una sua autonomia, ma è certo che, in questo momento, sia a livello europeo, sia grazie ad una comunicazione del presidente Barroso, che riprende ed amplia una precedente comunicazione del febbraio 2001 del presidente Prodi e del commissario Vitorino (la comunicazione del presidente Barroso è del maggio di ques’anno), tale Carta viene indicata come il referente essenziale per tutti gli atti legislativi della Commissione, nel senso che alcun atto può essere posto legittimamente in essere se non è preventivamente sottoposto ad una sorta di test di coerenza con ciò che la Carta dispone. A ciò si deve aggiungere che molte corti costituzionali, ivi compresa quella italiana, hanno fatto riferimento alla Carta e che ques’ultima è oggetto di riferimento da parte di molte corti nazionali e molti atti delle istituzioni europee fanno regolar mente riferimento ad essa. Basta questo riferimento, seppur molto sommario, per indurre ad u’attenzione per la Carta e per questo suo articolo 9 che rappresenta uno sviluppo del’articolo 12 della Convenzione europea dei diritti del’uomo, dove si diceva perché uomini e donne, in possesso dei requisiti di legge, hanno il diritto di sposarsi e di costituire una famiglia secondo le leggi nazionali che disciplinano ‘esercizio di tale diritto. La formulazione di questo articolo aveva dato origine a molti dubbi e ad interpretazioni che tendevano a restringerne la portata, nel senso che, da una parte, il riferimento a uomini e donne lasciava intendere una considerazione permanente per il fondamento eterosessuale del diritto di sposarsi e di costituire una famiglia; dal’altro, si riteneva che tale diritto costituisse u’endiadi, nel senso che si trattava di una descrizione allargata degli effetti del matrimonio e che quindi non ci fossero due diritti distinti, sebbene questo fosse un punto controverso anche in base a decisioni di natura comunitaria. Sta di fatto che ‘articolo 9 della Carta dei diritti fondamentali del’UE ha imboccato, nel’apparenza, lo stesso sentiero della Convenzione europea del 1950, ma in realtà ne ha radicalmente modificato la portata e il significato. Non ‘è più il riferimento a uomini e donne e si dice esplicitamente: "Il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia sono garantiti", affermando così esplicitamente che si tratta di diritti autonomi e distinti. Ho preso parte ai lavori della Convenzione che ha scritto la Carta dei diritti fondamentali del’Unione europea:le note del presidium non sono documenti ufficiali ma sono comunque utili per ricostruire i lavori preparatori della Carta stessa. Tali note descrivono in maniera abbastanza corretta ciò che è avvenuto e dal riferimento contenuto nelle note che accompagnano la Carta risulta esplicita mente che con questo articolo si è voluto superare ogni preclusione in ordine a forme di riconoscimento di schemi alter nativi al matrimonio che fossero fondati anche su unioni tra persone dello stesso sesso. ‘affermazione contenuta nella Carta, in un documento che si presenta come il primo Bill of rights del secondo millennio, ferma rimanendo la competenza dei singoli Stati in materia -riserva permanente che ha comunque una giustificazione nelle dinamiche culturali dei di versi paesi- è particolarmente importante per una ragione:il matrimonio tradizionale e gli schemi alternativi non sono più considerati nella logica della regola e del ‘eccezione ma sono posti sostanzialmente sullo stesso piano dalla Carta. Il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia sono garantiti dalle leggi nazionali. Dunque, ‘introduzione, a livello nazionale, di discipline o schemi alternativi al matrimonio non è più da considerarsi come una eccezione ad un principio, ma come realizzazione di una condizione di parità di questi schemi dal punto di vista della considerazione che ne fa la Carta. Naturalmente, non ci troviamo di fronte ad una novità assoluta; per questo, credo che il riferimento alla Carta trovi ulteriori ragioni. Come voi ben sapete, già nei trattati era stato fatto esplicito riferimento al divieto di discriminazione per ‘orientamento sessuale, divieto ripreso poi dalla norma della Carta riguardante i divieti di discriminazione. Addirittura, ‘articolo 13 del Trattato aveva stabilito una competenza esplicita del Consiglio, che può prendere i provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni basate sul sesso. Quindi, già nel sistema europeo il rifiuto delle discriminazioni basate sul sesso costituiva un principio operativo e si attribuiva ad u’istituzione comunitaria di vertice come il Consiglio la relativa competenza. In questo quadro, il riferimento va fatto anche ai valori che la Carta, sviluppando le logica dei trattati, indica nella sua parte iniziale. Sto parlando dei riferimenti alla dignità, al’uguaglianza e alla solidarietà , questo terzo principio richiamato esplicitamente nelle proposte che sono al’esame di questa Commissione. Detto questo, è chiaro che, affrontando questi temi, ci troviamo in una dimensione propriamente costituzionale e ovviamente si apre qui la questione della rilevanza del’articolo 29 della nostra Costituzione, come eventuale vincolo insuperabile al’introduzione di schemi alternativi o di riconoscimenti particolarmente intensi delle unioni di fatto. Anche qui non aggiungo nulla alle considerazioni che si possono desumere sia dalle audizioni precedenti sia dalle riflessioni fatte in materia e la Costituzione sicuramente attribuisce una preferenza per il matrimonio, anche se secondo me è necessaria una certa prudenza nel’interpretazione di tale articolo. Mi limito a mettere in evidenza la rilevanza sia del ‘articolo 2 sia del’articolo 3 della Costituzione in materia. Permettendomi una amichevole critica nei confronti del mio amico, il professor Busnelli; non ritengo che il riferimento agli articoli 2 e3 della Costituzione, citati nel’articolo 1 della proposta Grillini ed altri, sia superfluo, nel senso che si deve dare per implicita la rilevanza di queste due norme costituzionali. Il riferimento, contenuto nel’articolo 2 della Costituzione, allo svolgimento della personalità nelle formazioni sociali, e quello del’articolo 3, relativo al divieto di discriminazione per le condizioni personali, assumono, nella dimensione individuata dal’insieme delle proposte in materia, una rilevanza particolare, perché si tratta di indicazioni del legislatore in ordine ai criteri interpretativi generali della materia. Il riferimento è importante, se si pensa ad u’eventuale valutazione da parte della Corte costituzionale circa la compatibilità della normativa con ‘articolo 29 della Costituzione. Non ‘è dubbio che ci troviamo di fronte a formazioni sociali e non ‘è alcun dubbio che si tratta di un aspetto essenziale del libero sviluppo della personalità , né ‘è alcun dubbio che ci troviamo di fronte al rischio concreto di discriminazione legata ad una condizione personale. Si dirà che la discriminazione non è contenuta esplicitamente in nessuna norma, ma vi sono delle situazioni nelle quali ‘assenza della norma si traduce in discriminazioni e questo è uno di quei casi. È stato detto molte volte che nel’orizzonte del legislatore costituente la situazione che abbiamo di fronte non era presente, sia per ragioni culturali, sia in ordine alla rilevanza sostanzialmente modesta del fenomeno. Vorrei ricordare che ‘attenzione rivolta alle formazioni sociali è il risultato, come tutti noi ben sappiamo, del contributo dei costituenti cattolici alla redazione della Carta costituzionale del 1948. Vi fu qualche critica per quel tipo di apertura, che sembrava incrinare il rife rimento alle istituzioni pubbliche e tutta via in questo momento ancora una volta possiamo, se mi permettete questa piccola apologia della nostra Carta costituzionale, apprezzare la lungimiranza o la "presbiopia", come la chiamava Calamandrei, del legislatore costituente. È grazie a questa impostazione se in questo momento ci troviamo nella condi zione di poter affrontare in sede legislativa un fenomeno che ha assunto le dimensioni registrate dal’ultimo rapporto del’ISTAT, con il passaggio nel’ultimo decennio a 550 mila unioni di fatto, che sono addirittura il doppio dei matrimoni, fenomeno di cui il legislatore deve occuparsi, proprio per realizzare pienamente il contenuto del’articolo 3, secondo comma, della Costituzione, relativo alla rimozione degli ostacoli al’uguaglianza. Quindi, siamo di fronte ad un dovere costituzionale del legislatore. È questa la considerazione rilevante che consente di apprezzare il richiamo -particolarmente significativo- agli articoli 2 e 3 e di caldeggiarne il mantenimento al’articolo 1 della nuova disciplina, nella misura in cui tale riferimento chiarisce e dà conto della consapevolezza del legislatore riguardo a quel preciso dovere. La dimensione costituzionale della disposizione risiede, dunque, nelle finalità cui la norma tende:tutela del’eguaglianza, garanzia del libero sviluppo della personalità e riconoscimento del carattere "sociale" di alcune formazioni che -a seguito di una dinamica interna alla società- hanno assunto proporzioni così significative da non poter essere trascurate. ‘ineludibilità della questione deriva, del resto, dallo stesso contenuto della disciplina comunitaria:mi riferisco, più esattamente, alla rettifica della direttiva del’Unione europea n. 38 del 2004 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del’Unione Europea del 29 giugno 2004), relativa al diritto dei cittadini del’Unione e dei loro familiari di circolare e soggiornare libera mente nel territorio degli Stati membri: questo provvedimento -particolarmente rilevante ai fini del’interpretazione complessiva- pone, infatti, un evidente problema giuridico alla nostra Repubblica. Mentre ‘articolo 1 chiarisce che la direttiva determina, tra ‘altro, il diritto di soggiorno permanente nel territorio degli Stati membri dei cittadini del’Unione e dei loro familiari, ‘articolo 2, dopo aver definito cittadino del’Unione qualsiasi persona avente la cittadinanza di uno Stato membro, al punto 2) del comma 1, introduce una significativa novità , riconoscendo la qualità di "familiare" non solo -come è ovvio- al coniuge, ma anche al "partner che abbia contratto con il cittadino del’Unione un unione registrata, sulla base della legislazione di uno Stato membro, qualora la legislazione dello Stato membro ospitante equipari ‘unione registrata al matrimonio e nel rispetto delle condizioni previste dalla pertinente legislazione dello Stato membro ospitante". Il partner non è dunque definito sulla base del sesso ed è figura distinta dal coniuge: già oggi, quindi, quel riconosci mento di cui si discute è giuridicamente effettivo, ad opera di un atto normativo formale del’Unione europea che -nel dare manifesta rilevanza alla figura del partner- fa esplicito riferimento alle unioni registrate sulla base della legislazione di uno Stato membro. Nondimeno, ‘equiparazione delle unioni registrate al matrimonio presenta certamente profili problematici per ‘ordinamento. A titolo esemplificativo, se fosse approvata, la proposta Grillini (al’articolo 23 riguardante ‘equiparazione in materia di anagrafe della popolazione residente) consentirebbe -sebbene si tratti di una questione di dettaglio più che di altro- di equiparare le parti di un patto civile di solidarietà, ovvero le persone legate da unioni di fatto, ai componenti di una famiglia. È vero, inoltre, che la normativa del ‘Unione europea non attribuisce diritti specifici, se non quello inerente la possibilità di accompagnare il proprio partner, garantendogli libertà di circolazione nel territorio comunitario. Tuttavia già tale riconoscimento appare, a mio avviso, significativo: da esso -unitamente ad altri indici normativi che possono essere tratti dal nostro ordinamento- potremmo in tanto ricavare ‘attribuibilità al partner di un cittadino italiano che in un altro paese abbia registrato u’unione, sulla base della normativa del paese di riferimento, della possibilità di essere accolto nel nostro paese. Dunque, ci troviamo di fronte ad un indice normativo sicuramente rilevante a livello europeo. Tornando ancora alla proposta Grillini, senza entrare in dettaglio, vorrei limitarmi a segnalare la rilevanza del’articolo 2, lettera b), ai fini delle analisi sulle questioni che abbiamo di fronte. Quanto detto mi spinge -avviandomi alle conclusioni e rimanendo, ovviamente, a disposizione della Commissione- a svolgere tre considerazioni. In primo luogo, quando si fa riferimento al’ordine pubblico internazionale, per limitare, in alcune situazioni, diritti di persone che intendano ottenere riconoscimenti in Italia (legati o meno alla possibilità di soggiorno), è impossibile fare astrazione dal quadro complessivo del’Unione europea e trovare rifugio soltanto nella disciplina interna. In secondo luogo, la nozione di solidarietà -che compare già nel titolo della proposta in esame- non può essere, a mio avviso, estesa senza confini. Sebbene la nozione di solidarietà -che dà anche il titolo ad una delle parti della Carta europea -sia molto ampia, non credo possa essere adoperata -permettetemi ‘espressione -per "annacquare" il significato del patto civile, sostenendo che giacché di solidarietà si tratta, il concetto possa, ad esempio, essere estensivamente riferito a interi gruppi di individui – superiori a due -, i quali -avvalendosi di una interpretazione così dilatata della convivenza- possano ritenersi legittimati a servirsi strumentalmente del patto stesso. Sebbene spesso si verifichi un abuso del concetto di solidarietà, in questo caso, il riferimento è ben fondato e costituisce un elemento di fondo nella materia al nostro esame. Peraltro, appare evidente che non solo nel caso del matrimonio -ordinariamente definito come un contratto- ma anche in quello della convivenza, la logica contrattuale rimanga alla base della disciplina: convivenza e matrimonio, infatti, sono situazioni a cui si accede soltanto attraverso la libera determinazione delle parti. Né potrebbe essere diversamente, non essendo possibile imporre ad alcun soggetto la scelta di una condizione per sonale indipendentemente o contro la sua volontà . Ripeto, questo principio vale tanto per la convivenza quanto per il matrimonio. Il ricorso alla logica contrattualistica, del resto -che è stata quella prevalente, in un certo momento, proprio per superare le difficoltà legate al riconoscimento di quelle unioni collocantisi nel’area del "fatto" -ha avuto un preciso significato, quello di estendere il principio della libera determinazione delle parti in aree diverse dalle convenzioni puramente patrimoniali. Questo è stato importante -e rimane importante- ma, oggi, ciò che risulta particolarmente significativo -in questo senso si legga il mio appunto su due delle norme contenute nel testo Grillino- è il fatto che alla logica contrattuale si aggiunge poi la messa a punto di uno schema legislativo "forte", nel senso che si offrono dei riferimenti e delle garanzie adeguate una volta che gli interessati abbiano scelto questa strada. Non tutto è rimesso unicamente alle libere determinazioni delle parti. Si stabilisce un quadro solido di riferimento al ‘interno del quale rimangono margini notevoli -come è giusto che sia- di manovra (pensate alle scelte tra le convenzioni matrimoniali che sono consentite ai coniugi). Oggi, la logica puramente contrattualistica è , conformemente alle tendenze visibili in ogni paese, tradotta poi in uno schema che offre adeguate garanzie a coloro i quali decidono di utilizzare tale schema. Due ulteriori osservazioni. Nel’articolo in cui si definiscono i rapporti reciproci tra gli stipulanti il patto, si fa riferimento alla buona fede e alla correttezza. Ciò si deve alla logica contrattuale e, personalmente, sono molto affezionato a questi due criteri ai quali ho dedicato -forse perfino troppo- spazio nei miei lavori scientifici. Tuttavia, ritengo che, data la qualità della materia, il puro riferimento buona fede e alla correttezza sia, per un verso, inadeguato, per un altro, un p’ fuori posto. Data la qualità della relazione che si vuole disciplinare e riconoscere, data la rilevanza costituzionale cui ho fatto riferimento, vorrei ribadire -non intendo, con ciò, formulare delle proposte emendative- che i riferimenti alla collaborazione, al’assistenza e al rispetto reciproci dovrebbero essere molto più forti e significativi, insomma, adeguati alla materia che si disciplina senza nulla togliere al mio carissimo riferimento alla buona fede e alla correttezza. In secondo luogo, nella disciplina operativa, si consente al’ufficiale di Stato civile di fare, non voglio dire obiezione di coscienza ma quasi. Infatti, ci troviamo di fronte ad una norma -‘articolo 7, primo comma, della proposta di legge Grillini C. 3296- in cui si legge che "’ufficiale dello Stato civile che non intende procedere alla ricezione o al’iscrizione di un patto civile di solidarietà deve motivare per iscritto il rifiuto". Capisco lo spirito di questa disposizione ma ne vedo la pericolosità in via di principio, perché se rispetto ai doveri del pubblico ufficiale cominciamo ad estendere in tutte le aree problematiche una sorta di obiezione di coscienza, fini remo con il lambire una serie di aree rispetto alle quali, invece, la garanzia del cittadino è data proprio dal fatto che la legge deve essere applicata. In realtà, ‘unico vero caso di irricevibilità si ha quando non siano soddisfatte le condizioni e i presupposti di cui al’articolo 3: non vedo altre situazioni per cui ciò possa ammettersi. Questo è un punto che va chiarito perché, altrimenti, lasciamo in essere u’area grigia (con successivo ricorso al tribunale e relativa sentenza con cui si ordinerebbe al’ufficiale di Stato civile cosa fare). Rischiamo di aprire una via contenziosa che, in una materia cosý` delicata, ritengo debba essere evitata. La logica degli affetti, della spontaneità -in questo senso, la logica contrattuale – vanno bene ma, una volta che siamo entrati in uno schema legislativo adeguato, ne derivano alcune conseguenze:’ufficiale dello Stato civile si deve limitare alla verifica dei presupposti. Non è un soggetto al quale possa essere attribuito un apprezzamento nel merito della decisione di questi soggetti:questa sarebbe obiezione di coscienza. Ciò mi sembrerebbe assoluta mente fuori quadro ed inammissibile anche in via di principio. Rimango a vostra disposizione per eventuali chiarimenti.

PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire.

FRANCO GRILLINI. Ringrazio il professor Rodotà per la sua chiarissima esposizione e anche per i rilievi mossi alla mia proposta di legge, sottoscritta da altri 161 parlamentari del centrosinistra. Oltretutto, ci troviamo oggi in una giornata particolare perché, così come i colleghi avranno appreso dalle prime pagine dei giornali, ‘è stato un importante pronunciamento del leader del’Unione su questo tema che ci lascia esplicitamente capire come su questa proposta vi sia, almeno in uno dei due schieramenti politici in questo paese, una sostanziale unità . Quindi, prevedibilmente, questa legge, presto o tardi -naturalmente, spero presto- vedrà la luce anche in questo paese. Un elemento di polemica ricorrente intorno a questa proposta di legge è dato dal’articolo 29 della Costituzione, che viene considerato come una barriera in superabile. A questo proposito sono anche intervenuto in Assemblea, in merito al’approvazione della legge n. 40 sul’inseminazione assistita, nel cui articolo 5, per la prima volta in una legge italiana, si riconoscono esplicitamente i diritti dei conviventi (in quel caso, però, solo di sesso diverso, cioè eterosessuali). In sede di espressione del parere in Commissione su questa legge ebbi modo di contestare questo articolo per la discriminazione esplicita che, per la prima volta nel nostro ordinamento, veniva introdotta verso le persone dello stesso sesso. Tuttavia, non ‘è dubbio che la fattispecie della convivenza sia stata finalmente, sia pure a mio parere in modo del tutto insoddisfacente, introdotta nella normativa italiana. In sede di intervento in Assemblea, ebbi modo di affermare quello che mi sembrava del tutto evidente (mi rivolsi soprattutto ai parlamentari di centrodestra che avevano votato questo articolo). Ricordo, peraltro, che per votare tale articolo fu necessaria una riunione dei gruppi di centrodestra che pure si pronunciarono a favore (penso al gruppo di Alleanza nazionale che discusse esplicitamente la questione della convivenza e al’UDC; viceversa, la Lega votò contro). Ci si rendeva conto della rilevanza della decisione di introdurre per la prima volta nel’ordina mento italiano il riconoscimento di una forma familiare non tradizionale;in quel ‘occasione sottolineai che in futuro sarebbe stato inevitabile estendere questo riconoscimento a tutte le convivenze. Per quanto riguarda ‘articolo 29, in quella sede ribadii che era sufficiente rileggere il dibattito tra i costituenti per rintracciare la natura e il senso di quella norma, certamente non preclusivo verso il riconoscimento di altre forme familiari, che, peraltro, come giustamente affermava il professor Rodotà, in quel momento non avevano rilevanza sociale. Certamente esistevano: è facile ricordare il caso della "dama bianca", che addirittura fu arre stata o i casi di denuncia di concubini. A quel tempo si correva il rischio di andare in carcere se si era conviventi. Viviamo in u’epoca completamente diversa e dopo cinquan’anni il radicale mutamento sociale che è intervenuto dovrebbe essere rispecchiato nel nostro ordinamento giuridico. Il professor Rodotà ha citato ‘ISTAT. Ho presentato u’interrogazione sul modo di rilevare i dati in quanto sono stati definiti incongrui quelli riguardanti coppie dello stesso sesso. Nel’ultimo censimento si sviluppò una polemica ferocie, perché ‘ISTAT rinunciò al calcolo delle coppie formate da persone dello stesso sesso, per cui le 550 mila coppie censite dal’ISTAT sono sottostimate rispetto al’effettiva realtà del fenomeno della convivenza in Italia. Comunque, anche il dato riportato è rilevante, perché stiamo parlando di più di un milione di persone. ‘articolo 29 della Costituzione non preclude assolutamente il riconoscimento di altre forme familiari, perché la Costituzione, laddove intende precludere qual cosa, lo dice esplicitamente. Qui polemicamente cito il riferimento alla scuola privata, laddove la Costituzione stabilisce che la scuola privata è parificata alla scuola pubblica, purché non ci siano oneri per lo Stato. Forse è il caso di ricordare che la funzione del’articolo 29 della Costituzione era quella di tutelare la famiglia dal’invadenza dello Stato. Gli uni avevano in mente lo stato fascista appena defunto e gli altri la dittatura comunista, regimi che attraverso leggi apposite invadevano ‘istituto familiare. È totalmente improprio quindi brandire ‘articolo 29 della Costituzione contro ‘adeguamento della legislazione italiana alla nuova realtà sociale. Inoltre, mi si consenta u’ulteriore osservazione:nella lettera di tale articolo non ‘è alcun riferimento alla eterosessualità, ma si parla di coniugi e ciò teoricamente potrebbe dar vita al riconoscimento del matrimonio tra omosessuali, questione che non è attualmente in discussione nel Parlamento italiano. Il mio appello è quello di evitare di tirare in ballo la Costituzione e in proposito vorrei rivolgere una domanda al professore Rodotà. Vorrei sapere cosa pensa della polemica sorta attorno al’articolo 29 della Costituzione, corroborata dalla presentazione di un progetto di legge di riforma costituzionale, a firma del’onorevole Calderoli, ministro per le riforme istituzionali, attentissimo ai diritti degli omosessuali, sui quali non perde occasione di pronunciarsi. Tale progetto tende a precisare che nel dettato costituzionale il matrimonio deve essere inteso come istituto tra persone di sesso diverso.

PRESIDENTE. ‘articolo 29 della Costituzione contiene un riferimento, unico nel suo genere, alla naturalità della società , naturalità da cui deriverebbero i diritti della famiglia. Il concetto di società naturale, rispetto alla nascita di diritti in un rapporto, al di là delle intenzioni del legislatore costituente, influisce sui limiti entro i quali si possono riconoscere le convivenze di fatto tra eterosessuali o tra omosessuali? La seconda domanda riguarda il diritto di non registrare la convenzione. Ci potrebbe essere una differenza tra ‘obiezione di coscienza e una convenzione che non rispetti i diritti fondamentali delle parti;credo quindi che vada chiarito meglio questo punto, ritenendo che andrebbe mantenuto il diritto a non registrare un accordo laddove il suo contenuto fosse contrario ai diritti fondamentali di una delle due parti. ‘ultima domanda riguarda le unioni registrate:vorrei sapere cosa si intende per unione registrata. Esiste un limite nella forma di registrazione o è sufficiente ‘accordo tra le parti?

GIULIANO PISAPIA. Vorrei soltanto ringraziare il professore per la sua esauriente relazione, non avendo al momento domande.

STEFANO RODOTÀ, Professore ordinario di diritto civile presso ‘Università "La Sapienza" di Roma. Proverò a rispondere rapidamente. Per quel che riguarda la sottostima del numero delle coppie di fatto da parte del’ISTAT, al’epoca, come ‘onorevole Grillini probabilmente ricorda, ci fu una polemica, di cui, in quanto presidente del’Autorità garante per la protezione dei dati personali, mi occupai, perché si riteneva da parte di alcuni che la domanda riguardante le preferenze sessuali che potevano essere registrate attraverso la individuazione del tipo di unione fosse invasiva della privacy e quindi in contrasto con le norme della legge n. 675 del 1996 riguardante i dati sensibili, che individua vano la vita sessuale come u’area meritevole di particolare considerazione. Non si poté procedere ad una revisione dei criteri di rilevazione; probabilmente se si fosse formulata diversamente la do manda relativa alle unioni sarebbe stato possibile, senza elementi invasivi, accertare in modo reale il fenomeno. ‘unione registrata fa riferimento ad una procedura individuata dallo Stato. La semplice intesa o il semplice accordo tra le parti, ai sensi della rettifica della direttiva n. 38 del 2004, a mio giudizio, non è sufficiente. Deve esserci una procedura formalizzata, che sia stata individuata dalla legge nazionale. Si tratta di vedere se da quella procedura formalizzata si può trarre la conseguenza del’equiparazione al matrimonio, ma si tratta di un problema ulteriore. Non vi è dubbio che il rifiuto di registrazione è assolutamente legittimo, in assenza o qualora vada contro uno dei presupposti -faccio riferimento alla pro posta Grillini -individuati al’articolo 3. Vorrei però capire meglio da lei, presidente, cosa voglia intendere per "accordo contrario ai diritti fondamentali".

PRESIDENTE. Mi riferisco al fatto che una delle due parti possa trovarsi in posizione sbilanciata rispetto al’altra, come ad esempio potrebbe accadere qualora fosse previsto il diritto ereditario per una sola di esse (con esclusione del’altra), oppure -procedendo per assurdo- ‘obbligo di fedeltà solo per uno dei partner. Naturalmente, in tutte le coppie esistono posizioni dominanti e subordinate; potrebbero esistere, però, posizioni così dominanti, prepotenti ed invasive da violare addirittura una norma costituzionale, ed è pertanto plausibile che ‘altra parte ne resti vittima. Mi domando se, in situazioni simili, siano date al soggetto competente possibilità di valutazione.

STEFANO RODOTÀ, Professore ordina rio di diritto civile presso ‘Università "La Sapienza" di Roma. La ringrazio, presi dente, di avermi chiarito la sua domanda. Ritengo che quel punto meriti qualche delucidazione. Non vi è dubbio che qualora -come credo inevitabile- si continui a riconoscere rilevanza alla logica contrattualistica, il vizio di u’intesa contrattuale contenente clausole contrarie a norme imperative -a maggior ragione se costituzionali-, al’ordine pubblico o al buon costume, possa essere fatto rilevare dal soggetto tenuto a registrare il patto stesso. Ecco perché, proprio per evitare ‘insorgenza di equivoci in questa materia, ed impedire un passaggio non pienamente consapevole dal controllo di legittimità -a mio parere assolutamente corretto e necessario- ad uno sul merito, e quindi ad u’eventuale obiezione di coscienza, ritengo che un chiarimento a riguardo sarebbe opportuno. Però, convengo che i casi indicati dal presidente rientrano certa mente nel potere di apprezzamento del soggetto chiamato a dare rilevanza formale al’accordo intercorso fra le parti. Vengo ora al’articolo 29: prova certa mente troppo ‘osservazione che la norma non faccia menzione del matrimonio come unione tra uomo e donna, anche perché, in materia familiare, emergeva realmente una sostanziale miopia da parte di molti costituenti anche insospettabili, come Calamandrei, il quale, riteneva improponibile, ad esempio, una lettura del secondo comma del’articolo 29 che parificasse i figli nati in costanza di matrimonio con quelli nati al di fuori, in quanto -a suo dire- tale interpretazione sarebbe stata contraria al codice civile. In altri termini, mancava, nella cultura giuridica di allora, la piena consapevolezza che la Costituzione fosse una fonte di rango superiore e che le norme costituzionali fossero sovraordinate alle altre. Quanto al codice, fu proprio una deputata, ‘onorevole Bianchi, a sostenere che sarebbero state le donne a cambiarlo! Ad ogni modo, quella lettura delle norme costituzionali si spiegava anche alla luce dei riferimenti culturali, oltre che giuridici, del’epoca: in tale momento, infatti, il matrimonio era quello previsto dal codice civile e la nozione di matrimonio -quale dal codice civile ricaviamo- come elemento costitutivo del sistema, ci conduce -dobbiamo dirlo- nella direzione opposta alla nostra. Fermo restando la possibilità -qualora si intendesse così agire- di riformare la Carta, a Costituzione costante, cioè non modificata, non possiamo non valorizzare ulteriori indici normativi a nostro supporto. Quando la Costituzione entrò in vigore, articoli che oggi hanno assunto rilevanza straordinaria (‘articolo 32 sul diritto alla salute, o quello sulla tutela paesaggistica) erano considerati pure dichiarazioni programmatiche ed anche nel commentario più aperto, quello di Calamandrei e Levi, uscito proprio al’indomani del’entrata in vigore della Carta costituzionale, venivano reputati poco più che dichiarazioni di buona volontà del legislatore. Voi sapete, però, che ‘articolo 32 è divenuto uno degli assi portanti della teoria dei diritti e che ad esso la Corte costituzionale ha attribuito una rilevanza particolare, arrivando sino a dichiarare ‘impossibilità -per la legge ordinaria -di modificarne, in alcuni punti, il contenuto. Dunque, non possiamo non tener conto di quelle dinamiche che hanno fatto emergere e dato significato ad una delle integrazioni già al’epoca considerate significative, riguardanti le formazioni sociali ed il libero sviluppo della personalità , canone a quel tempo fondamentale (come dimostra la formula utilizzata anche nel’arti colo 2 della Grundgesetz, cioè nella Legge fondamentale tedesca), la cui rilevanza si affermò proprio in reazione al tentativo intrapreso -da regimi totalitari di vario tipo- di impadronirsi del’esistenza individuale. Quegli articoli dobbiamo leggerli con gli occhi di oggi, alla luce delle dinamiche sociali e giuridiche sopravvenute, ricordando -come è stato fatto nelle audizioni precedenti, in particolare dal relatore- in quanti modi e anche con quanti problemi, ripensamenti e difficoltà la stessa Corte costituzionale ha cercato di districarsi di fronte al’assenza di normative adeguate. Ecco perché ritengo che in questo mo mento ‘intervento del legislatore sia indispensabile per rimuovere una causa di discriminazione. Del resto, seppure la lettura del’arti colo 29 non possa che avvenire alla luce di una stretta correlazione tra nozione giuridica di famiglia e matrimonio, non credo affatto che le proposte al nostro esame incidano su questo profilo. Infatti, esse non implicano parificazione alcuna unione e famiglia, o tra unione e matrimonio, né si parla di una forma di matrimonio da affiancare a quello previsto dal’articolo 29. È questa, a mio avviso, la chiave di lettura che dobbiamo adoperare. Certamente, ‘elemento della naturalità ha una sua storia particolare, è inutile ritornare alla filosofia greca:la famiglia come società naturale, cellula sociale, ha una sua rilevanza e rimane un tema problematico, come dimostra ‘articolo che il professor Busnelli vi ha consegnato. Nondimeno, vorrei anche ricordare che, ad esempio, la famosa formula di Temolo "la famiglia è u’isola che il diritto può solo lambire" attribuiva una portata molto diversa alla lettura restrittiva ed autoritaria data al’articolo 29 della Costituzione: ne era ‘esatto contrario. In altre parole, al’interno della fami glia si possono e si debbono rispettare dinamiche affidate unicamente alle volontà degli interessati. È sostanzialmente lo stesso spirito sotteso alla riforma del 1975, quando -a fronte delle forti controversie sorte attorno alla possibilità di riconoscere piena equiparazione tra figli naturali e figli nati in costanza del matrimonio- facendo riferimento al primo comma del’articolo 1, si sostenne che, se per famiglia doveva intendersi solo quella fondata sul matrimonio, i nati al di fuori di esso avrebbero dovuto essere non già esclusi, ma reintegrati. Si fece u’indicazione esplicita addirittura del secondo comma del’articolo 30. Il punto, allora, è che questo discorso sulla naturalità è suscettibile di molte interpretazioni, ma, una volta che interviene il matrimonio, il legislatore è tenuto alla massima sobrietà e deve affidarsi alle dinamiche delle parti. Per esempio, si ebbe una forte discussione, che approdò anche, marginalmente, in Parlamento, riguardante i controlli che il giudice avrebbe dovuto esercitare sulle scelte familiari, in particolare per quanto riguardava i minori. Ci fu una proposta di nuova disciplina del tribunale dei minori, per esempio, presentata dal’onorevole Martini, che poi fu molto criticata e abbandonata dalla stessa presentatrice. Quando si discusse la riforma del di ritto di famiglia, ci si pose il problema relativo a cosa sarebbe accaduto in presenza di conflitto tra i coniugi. Ci fu chi sostenne che era indispensabile un intervento del giudice al riguardo, mentre, saggiamente, nella legge di riforma si escluse tale ipotesi, prevedendo che, sol tanto a fronte di decisioni tali da creare pregiudizio, per esempio, nei confronti di un figlio, si poteva ritenere necessario ricorrere al giudice. Per il resto, la risoluzione dei problemi doveva essere affidata alla dinamiche degli affetti o meno; se, poi, i coniugi non fossero riusciti a trovare un punto di equilibrio, allora, ciò significava che la questione sarebbe sfociata nella separazione. ‘è stata molta sobrietà legislativa a questo proposito. Quindi, la naturalità può essere anche letta come un quadro estremamente sobrio e ridotto, poi affidato alle dinamiche delle parti. Il riferimento al matrimonio ha poi la rilevanza che conosciamo. Mi sono astenuto dal’entrare nella materia di un vero matrimonio gay perché mi pare che questo sia stato esplicitamente escluso dagli atti. Quindi, essendo stato ciò esplicitamente escluso, ritengo che non vi sia alcuna rotta di collisione. ‘articolo 29 della Costituzione segue le sue dinamiche, deve essere riletto con ‘esperienza, a seguito della riforma del 1975; qui siamo comunque su un altro terreno, cioè, quello sul quale ‘esistenza indubbia di una formazione sociale -che noi chiamiamo unione- tra determinati soggetti consente una disciplina che poi interessa i rapporti patrimoniali e personali tra costoro, con una serie di effetti che riguarderanno gli interessati ma anche altre persone (come i figli dei soggetti presi in considerazione). Tuttavia, ritengo che in questa materia dovremmo assumere una posizione abbastanza netta, nel senso che non ‘è u’interferenza diretta per quanto riguarda le dinamiche interne al nostro sistema costituzionale. Ecco la ragione per cui vi ho parlato del sistema europeo: questa preferenza attribuita al matrimonio come regola per cui tutto il resto sarebbe u’eccezione, oggi, non la possiamo riconoscere (né a livello europeo, né a livello di altre legislazioni). Ho appreso che avete discusso con il professor Torino in merito a codici e leggi speciali; tuttavia, con riferimento al più nuovo tra i codici europei, quello olandese, il legislatore ha ritenuto di doverlo modificare per introdurre una piena parificazione. Quindi, ci troviamo di fronte a dinamiche interne ed internazionali per cui si individuano ormai due binari. Uno è quello rappresentato dal matrimonio con il relativo modo di costituire una famiglia, al quale si continua riconoscere rilevanza. A fianco di questo binario, ne corre – parallelo- u’altro che ha come risultato -se non vogliamo usare la parola famiglia- la costituzione di una unione, degli affetti, della collaborazione, del rispetto;è quello cui si tende attraverso questo tipo di disciplina. Questa è la mia interpretazione e mi pare che gli indici normativi siano abbastanza evidenti in questa materia;anzi, considerando la direttiva n. 38 del 2004 del’Unione europea, dovremmo riconoscere che la Comunità è per la possibilità di piena parificazione. Non vorrei si dimenticasse che nel’articolo 2 di quella direttiva, si parla prima del coniuge e, poi, del partner: "il partner che abbia contratto con il cittadino del’Unione u’unione registrata sulla base della legislazione di uno Stato membro, qualora la legislazione dello Stato membro ospitante equipari ‘unione registrata al matrimonio". Ciò vuol dire che, a livello di Unione europea, quel punto della Carta è stato acquisito e si sostiene ‘equiparazione tra partnership, essendo forme e schemi di versi dal matrimonio ammissibili!

AURELIO GIRONDA VERALDI. Vorrei che si prendesse atto del fatto che oggi, di fronte a un tema così importante e nonostante la presenza autorevole del professor Rodotà, che ringrazio ancora per il suo contributo, siamo soltanto in cinque! Questo è un tema che sarà valutato con la solita leggerezza, la stessa con cui è stato affrontato in Aula quello della fecondazione; accade così che tutti parlano in libertà perché omettono di approfondire il tema nelle sedi competenti. Oggi, personalmente ho appreso molte notizie che, nonostante la mia tarda età, ignoravo. Ecco la ragione per la quale vorrei che restasse a verbale questa mia osservazione.

PRESIDENTE. Ringrazio il professor Rodotà per la sua esposizione e il collega Gironda, di cui, peraltro, oggi ricorre il compleanno, per la sua osservazione. La Commissione si stringe in un augurio sincero verso il collega. Dichiaro conclusa ‘audizione.

La seduta termina alle 9, 50.


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