Il 17 maggio, una data significativa per le persone omosessuali perché si celebra la giornata della lotta contro l’omofobia, presso l’ospedale civile di Massafra (TA) si è spento Natale Morea. Il 18 maggio, passando davanti al portone di quell’ospedale, mi capitava di leggere distrattamente, quasi per caso, il suo nome su un manifesto funebre. Non sapevo se fosse in realtà proprio lui, anche se l’età, 59 anni, era proprio la sua.
La telefonata ad un amico mi confermava che non mi ero sbagliato, così poco prima di pranzo mi sono recato nella chiesa dove era stata trasportata da poco la salma per dargli un ultimo saluto.
Nella chiesa c’erano le sue sorelle e poche altre persone, sulla bara dei fiori. La piccola chiesa così vuota mi sembrava improvvisamente troppo grande, troppo alta e la sua bara posta ai piedi dell’altare troppo sola. Mi sono chiesto perché non ci fosse nessun rappresentante della città: la città di Massafra doveva esserci per salutarlo almeno simbolicamente! Dopo qualche minuto di raccoglimento, ho contattato gli uffici comunali e con meraviglia ho scoperto che nessuno era a corrente della sua morte. Mancavano poco più di due ore al rito funebre, ma sentivo che l’Italia non potesse non dirgli grazie per l’ultima volta.
Così la notizia in pochi minuti ha fatto il giro d’Italia e le toccanti parole del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, hanno saputo esprimere bene il cordoglio di tutti: « ‘Italia non lo dimenticherà. Ricordo con gratitudine ed emozione Natale Morea. La figura di un eroe senza casa è scolpita nella memoria collettiva».
Credo che tutti ricordino la vicenda di Natale, l’eroe senza casa, come fu definito, che la notte del 13 dicembre 2003, a Roma, salvò alcune ragazze da un tentativo di violenza, venendo aggredito a sua volta e ridotto in fin di vita dagli aggressori. Il Presidente della Repubblica emerito, Carlo Azeglio Ciampi, gli conferì a pochi giorni di distanza la medaglia d’oro al valor civile.
Dopo i mesi di coma, Natale era tornato a vivere nella sua città, Massafra, ospite delle sue sorelle, continuando ad essere curato, perché da quell’aggressione non era mai guarito del tutto.
Era tornato a vivere proprio in quella città, che poi è anche la mia, che molti anni prima aveva voluto lasciare perché poco solidale e comprensiva verso di lui. Aveva deciso di lasciarla perché era stanco di essere oggetto di scherno perché omosessuale. Da allora la vita per lui non era stata facile e tra mille difficoltà, peregrinazioni e tentativi, era finito a vivere barbone per le strade di Roma. E proprio in una di quelle strade aveva dato la grande prova di abnegazione, salvando la vita altrui a rischio della propria. Non aveva avuto nessuna esitazione.
Con quel gesto non solo aveva dimostrato a tutta l’Italia il proprio personale valore, ma ci aveva spinti a provare un po’ di vergogna per la scarsa attenzione che portiamo verso le persone che poniamo ai margini della nostra società. Con un solo gesto ci aveva fatto riscoprire la dignità che è in ogni persona e aveva attirato la nostra attenzione su un punto fondamentale della sua esistenza.
Se non fosse stato una persona omosessuale oppure se la comunità nella quale era nato e cresciuto non lo avesse offeso e deriso per il suo orientamento sessuale la vita sarebbe stata più serena per lui? Avrebbe avuto un percorso diverso? La sua storia ci colpevolizza molto. Allora vengono alla mente tanti discorsi sentiti e letti, triti e ritriti, in tutti questi anni. Perché l’Italia dovrebbe dotarsi di una legge antidiscriminatoria che tuteli le persone omosessuali? Perché dovrebbe riconoscere alle coppie omosessuali pari diritti? Forse l’esperienza di Natale ce lo ha insegnato. Chi non viene accettato per quello che è, chi non viene rispettato anche per la sua diversità, chi si sente cucito addosso un differente status di cittadinanza, spesso è più esposto di altri ai cattivi venti della vita: è più solo di altri; ha una croce in più da sopportare, un ostacolo in più da sormontare. Eppure sarebbe facile essere più accoglienti, provare a conoscere l’altro, ri-conoscersi in lui e mettersi a sua disposizione, non ostacolarlo, ferirlo, ingannarlo. Ci sono tante diversità, tanti modi di essere e di apparire, ma bisogna riconoscere la diversità e lavorare per una società più inclusiva che dalla diversità sappia trarre ricchezza e sviluppo. Una società nuova.
L’omosessualità non è un mostro di depravazione. Ormai è acquisito alla nostra coscienza sociale e giuridico-occidentale il concetto di omosessuale quale persona sana, normodotata, ricca di dignità e valore. Forse è solo la parola omosessuale a creare ancora confusione: a far confondere e far pensare che sulla declinazione ‘sessuale’ vada posto ogni accento e individuata la radice di qualcosa di negativo. Non è così; i gay sono diversi solo perché amano in maniera diversa rispetto a quella modalità di amore che fino a poco tempo fa sembrava l’unica possibile, l’amore tra un uomo ed una donna. Non sono gli atti sessuali a fare la differenza e a fare l’uomo, ma sempre e solo l’amore.
Allora si capisce perché ci sia urgenza di una legge antidiscriminatoria e di una legislazione in campo familiare che non escluda più i gay e le lesbiche. L’emarginalizzazione, anche giuridica, distrugge delle vite. Se l’amore tra le persone gay fosse protetto e incentivato, anche se si volesse credere che si tratti di amore debole, si offrirebbe a migliaia di donne e di uomini la possibilità di costruire il proprio futuro, la propria famiglia e di inseguire un sogno che tornerebbe a vantaggio dell’intera società. Nessuno potrà dimostrare che l’amore omosessuale sia improduttivo o segno di egoismo.
Se la discriminazione verso le persone omosessuali fosse punita, forse Natale sarebbe rimasto a Massafra, non sarebbe fuggito, forse lì si sarebbe creato la sua speciale ed unica famiglia e avrebbe contribuito con il proprio lavoro alla crescita della propria comunità. Forse, appunto. Però il suo eroico gesto non ci fa esitare nel dire che è molto probabile che potesse andare così. Era una persona valida.
Al funerale di Natale era presente il gonfalone della città di Massafra, in rappresentanza di tutta la cittadinanza massafrese. Un piccolo modo simbolico per ringraziarlo ed anche chiedergli scusa. La chiesa si è riempita pian piano, una voce calda che ha cantato la messa faceva credere che davvero gli angeli stessero per trasportare Natale su nel cielo. Da tutt’Italia sono giunte parole di cordoglio e giornali e tv lo hanno ricordato. Gli anni settanta del novecento sono lontani; Massafra oggi non è più quella città dalla quale Natale era fuggito, anche se qui di omosessualità si parla ancora troppo poco e poco si fa a favore delle persone omosessuali. C’è bisogno di un cambio culturale, c’è bisogno di amare di più.