Il suo coming out (non outing, come ha annunciato – sbagliando – l’ANSA) lo ha fatto su un sito di informazione gratuito: telegiornaliste.it, “il sito delle tgiste”. All’inizio era stato scovato – e apprezzato – dagli iscritti del forum: «Da come parla – aveva fiutato un utente – pur portando la fede, sembra dei nostri». Tana. Pochi giorni dopo è online un’intervista, che rispecchia la determinazione di un uomo sereno rispetto al proprio orientamento sessuale, nonostante viva in Italia.
Stefano Campagna conduce il TG1, telegiornale cattolico (lui dice «istituzionale»), senza grandi proclami né grossi problemi. Lo raggiungiamo a Terrasini, vicino Palermo, durante un convegno all’Endora’s Party, in cui è chiamato a parlare di identità e comunicazione. Baia bellissima, giornata assolata, reti di pescatori.
Puoi spiegarci questa storia della fede al dito? Sei fidanzato? «Sono single da un anno. Porto la fede alla mano destra, in ricordo di mia madre».
In seguito al tuo coming out, visto che sei single, hai ricevuto proposte di matrimonio? «No – sorride. In compenso ho ricevuto molte richieste di aiuto per entrare in RAI».
Ma se dovessi incontrare l’uomo della tua vita, lo sposeresti? «Credo che il matrimonio non sia un’istituzione di grande successo. I PACS francesi andrebbero benissimo».
Adozioni? «Credo sia prematuro. Non perché una coppia gay non sia in grado di crescere un bambino. Affatto. Però la società potrebbe creargli problemi che lui non ha scelto di avere».
Obiezione: così rischiamo di restare come siamo. «Ci vorranno tempi molto lunghi».
Sei cattolico? «Rispetto la Chiesa cattolica, sono battezzato ma non praticante».
Sei di destra o di sinistra? «Credo che i nostri diritti interessino in maniera trasversale tutti i partiti, quindi anche il centrodestra».
Stefano: destra o sinistra? «Non posso prendere una posizione di parte. Devo essere obiettivo, neutrale. Quando lavoro mi spoglio di ogni emozione personale. Mi sento un reporter nudo. E poi non sono un opinionista».
Cosa pensi della rappresentazione del Gay Pride all’interno dei servizi del Tg1? «Sotto la direzione di Clemente Mimun, che per me è un grande, per la prima volta c’è stato un servizio con le riprese dall’alto. Si è visto il fiume di gente del Pride di Torino, quindi si sono visti i cosiddetti “visibilissimi”, che per me sono degli eroi, e anche i gay “banali”».
Banali? «Ma sì, quel grande popolo del mondo gay sottorappresentato per mancanza di coraggio. Se ho fatto coming out è per dire agli uomini in giacca e cravatta: “Venite fuori, facciamo vedere che ci siamo!”. Il mio coming out è pubblico, non privato, perché i miei amici lo hanno sempre saputo e al lavoro ero già outed».
Outed? «Cioè visibile. Ho messo piede per la prima volta in un circolo Arcigay nel 1985. Al primo Gay Pride di Roma partecipai con mio padre».
Sputa il rospo. «Alcuni colleghi gay in RAI mi hanno accusato di essermi fatto pubblicità. Come conduttore del primo Tg d’Europa non ne ho bisogno. In ogni caso: perché non fanno coming out anche loro? Avrebbero tutta la mia stima».
Siamo alle solite: gli omosessuali? I primi nemici della liberazione gay. Stefano ha una voce ferma, sicura: «Tutti coloro che hanno un ruolo sociale utile alla causa, coloro che hanno la vita un po’ più facile degli altri, siano se stessi nella quotidianità. Io ho sentito il mio coming out come un dovere morale nei confronti della mia comunità».