PECHINO – Doveva essere il primo concorso di bellezza per gay in Cina. Un evento quasi epocale. Ma il regime ha detto no, con le cattive: la polizia ha fatto irruzione nel Lan Club, noto locale di Pechino che doveva ospitare la kermesse, annullando tutto. È stato un blitz dell’ultimo minuto, quando era tutto pronto per la serata e c’erano già centinaia di persone, tra attivisti gay, cinesi e stranieri, giornalisti, fotografi e cameraman. L’obiettivo degli organizzatori era «far conoscere al pubblico i problemi della comunità omosessuale».
OTTO UOMINI – «Ci hanno detto che non avevamo i permessi giusti – spiega Michael Tsai, uno degli organizzatori – ma speriamo di poterlo fare in futuro». Un membro della giuria però ammette: «Penso che la decisione sia legata alla questione dell’omosessualità».
Al concorso avrebbero partecipato otto uomini contendendosi il titolo di Mr. Gay: il vincitore avrebbe poi rappresentato il Paese alla competizione mondiale in programma a febbraio a Oslo. «In ogni caso manderemo qualcuno a rappresentare la Cina in Norvegia» assicura Tsai. L’evento non era stato organizzato di nascosto, anzi la stampa gli ha dedicato ampio spazio e l’agenzia Nuova Cina aveva sottolineato che gli organizzatori «non avevano avuto problemi con il governo». Ospite d’onore della serata avrebbe dovuto essere la sociologa Li Yinhe, dell’Accademia delle Scienze della Cina, l’istituto di studi del Partito comunista, che ha studiato in modo approfondito la comunità gay.
30 MILIONI – Da anni i gay cinesi aspettano un riconoscimento dal governo che tarda ad arrivare. Si parla di un esercito di almeno 30 milioni di persone (ma secondo Li Yinhe sarebbero tra i 36 e i 48 milioni), su una popolazione di un miliardo e 350 milioni. La stragrande maggioranza di loro vive nell’ombra, nascondendo i propri gusti sessuali. Va ricordato che fino al 1997 l’omosessualità era classificata come reato e fino al 2001 è stata considerata una malattia mentale.
Ora le cose cominciano a cambiare ma nella società restano forti pregiudizi. «La maggioranza dei cinesi vede l’omosessualità come una cosa disgustosa e contraria alla morale e all’etica – dice Zhang Beichuan, un funzionario della sanità pubblica -. Le autorità preferiscono di solito mantenere il silenzio sull’argomento, come sulla prostituzione e la diffusione della droga».
I PRECEDENTI – Già nel 2005 la polizia aveva impedito con la forza la celebrazione di un festival dedicato all’omossessualità a Pechino e la scorsa estate gli organizzatori della Settimana dell’orgoglio gay, che si è svolta a Shanghai, sono stati costretti a cancellare l’unico evento pubblico previsto, una sfilata di moda con modelli gay.
Due giorni fa però c’è stata una piccola rivoluzione: per la prima volta un quotidiano (China Daily) ha dato la notizia di un’unione tra gay: il giornale ha dedicato un lungo articolo a due uomini che si sono simbolicamente sposati a Chengdu. Uno dei due, il 45enne Zeng Anquan (che era sposato e ha una figlia), ha raccontato che i suoi familiari lo hanno di fatto messo al bando: «Ho ricevuto centinaia di telefonate da amici e parenti, e tutti mi dicevano che si vergognavano di me». Il matrimonio tra partner dello stesso sesso non è riconosciuto dalla legge cinese: Zeng e il suo compagno si sono dovuti accontentare di una cerimonia in un locale gay.