Tondelli, lo scrittore maledetto che piace a Ligabue

  

di M.Antonietta Filippini Pier Vittorio Tondelli, lo scrittore maledetto che appassiona i giovani a vent’anni dalla morte con la sua prosa “affettiva” in cui la Via Emilia è il mondo, dove ti può capitare tutto, è stato il protagonista sabato della serata “I creativi delle pianure” all’Arci Tom. Lo scrittore di Correggio, morto di Aids a 36 anni nel 1991, è tornato vivo con il suo volto pensoso e malinconico, con le sue parole lette dal fratello nel bel film “Lo chiamavamo Vicky” della regista Enza Negroni (in precedenza “Jack Frusciante è uscito dal gruppo”), presente al Tom insieme a Viller Masoni, il direttore del Centro di documentazione Tondelli, fondato nel 1997 a Correggio. Fabio Veneri, che ha curato questa rassegna, ha colto nel segno. Tondelli ragazzo aveva già quel suo modo di guardarsi attorno, impregnato di memoria, consapevole di vedere quello a cui altri non badano. Era così già quando frequentava i circoli cattolici e mise in scena una trasposizione teatrale del Piccolo Principe, e poi all’esame di maturità con un tema sui pittori romantici, prima prova del suo stile nitido, un po’ dolente, visivo. Nel bianco e nero recuperato a Correggio, ecco Tondelli, alto e magro in strada, al bar con i giocatori di carte e il bicchiere di vino, ecco il poeta-amico Giorgio Bonacini, i ricordi del barbiere e della “costumista” del suo Piccolo principe. Davide Provenzano, segretario provinciale dell’Arcigay, segnala come Tondelli abbia «trattato il tema della coppia gay con grande delicatezza». Dopo gli anni Settanta, nei quali i gay manifestavano contro l’iprocrisia del doversi nascondere e gli anni Ottanta dell’edonismo, dai Novanta emerge l’esigenza di normalità, il desiderio di costruirsi una famiglia, o quanto meno una coppia stabile, con una forte componente affettiva, di lealtà e fedeltà reciproca. Ma nozze gay e persino coppie di fatto in Italia non hanno trovato riconoscimento. Tondelli rifiutò di considerarsi icona gay, ma da scrittore indagò sentimenti e situazioni attraverso i suoi romanzi, soprattutto il primo, Altri libertini del 1980, e l’ultimo, Camere separate del 1989. Il primo, con scene di sesso molto esplicite e momenti di forte volgarità provocatoria, fu poi emendato dall’editore con il consenso di Tondelli quando – ormai malato di Aids – si era riavvicinato alla religione e veniva seguito da un sacerdote. Ma è Camere separate in cui Tondelli anticipa i tempi sulle coppie di fatto. Quanto Thomas, il musicista tedesco, muore, la famiglia si riprende il corpo e riassesta le cose senza curarsi di chi avesse amato. Leo, lo scrittore nato nella Bassa padana, resta vedovo e si sente cancellato. Seguirà l’intrico del suo vivere oltre il lutto di coppia. In mezzo, ci fu il romanzo Rimini del 1985, e il tentativo di farne un film. Ma uscì Rimini Rimini, che oggi chiameremmo cinepattone, e non si fece più niente del film in cui la capitale della Riviera è un luogo dove si può andare per stordirsi in discoteca, ma anche per suicidarsi. Viller ricorda anche la generosità di Tondelli che, divenuto famoso e ancora molto giovane, volle dare una opportunità ad altri giovani con Progetto under 25, che fece emergere Silvia Ballestra, Gabriele Romagnoli, Giuseppe Culicchia. Ai Ragazzi, Tondelli indicava tre punti basilari: la scrittura come espressione del proprio vissuto; la riscrittura come esercizio stilistico; la lettura quale base per l’arricchimento espressivo. La pubblicazione, spiegava, non è il fine della scrittura, bensì un incentivo o un banco di prova. Diviene la verifica finale: la possibilità di confrontarsi con la pagina scritta, con il giudizio di un possibile lettore, con i meccanismi della comunicazione. È l’atto finale, non il fine del progetto. Lo scopo, diceva, Tondelli è «far raccontare i nostri giovani». E ci riuscì così bene, hanno notato Veneri e Masoni, che mentre allora venivano pubblicate solo nuove opere di autori affermati, ormai escono continuamente libri di scrittori esordienti e giovanissimi. Un seguage di Tondelli è il suo compaesano Luciano Liguabue che, cita Masoni, ha detto più volte che non avrebbe scritto le sue canzoni senza aver letto Tondelli che gli diede il coraggio di raccontare cose apparentemente minime, personali. E si sa quanto invece sanno emozionare il pubblico. «Ligabue è venuto a una nostra iniziativa, senza dire niente prima, ma appena entrato in sala, la gente si è distratta. E’ una rock star. A me ha detto che gli dispiace di non aver mai conosciuto Tondelli di persona. Con i primi guadagni si comprò un appartamento nello stesso condominio di Vicky che però era già malato, in ospedale a Reggio Emilia». E Fabio Veneri ha ricordato il prossimo appuntamento, fra un mese, dedicato ai trent’anni della Casbah di Pegognaga.


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