L’Arcigay ha scelto E’ Romani il presidente

  

Il responso è arrivato poco prima delle 11, con largo anticipo rispetto alla tabella di marcia originaria, ed è stato un plebiscito: con 139 preferenze su 170 votanti Flavio Romani è il nuovo presidente nazionale Arcigay. Ad affiancarlo nel suo mandato triennale sarà il segretario Michele Breveglieri, 37 anni, già presidente del circolo Arcigay di Verona. E se i delegati hanno espresso in modo netto la volontà di voltar pagina rispetto alla passata gestione, sul palco della sala Estense la “separazione in casa” tra il presidente uscente Paolo Patanè e l’associazione è diventata un divorzio. Lo sconfitto non l’ha presa affatto bene e il suo congedo è stato a dir poco polemico. Flavio Romani, come affrontare questo rischio di scissione? «La mia prima preoccupazione sarà proprio quella di capire le ragioni del dissenso e ricomporre l’unità dell’associazione. Finito il congresso, non ci sono più due mozioni contrapposte, non ci sono vincitori nè vinti». Quali sono ora le priorità di Arcigay? «In vista delle elezioni politiche vogliamo sollecitare i partiti a inserire nell’agenda politica due nostre rivendicazioni fondamentali: l’estensione della legge Mancino ai reati di omofobia e transfobia e una legge per il matrimonio civile tra persone dello stesso sesso. Sarei felice di veder finalmente due uomini o due donne che si amano scendere uniti in matrimonio dallo Scalone del Municipio. Spesso su questi temi i nostri politici hanno fatto orecchie da mercante, noi vogliamo farci ascoltare con la forza della ragione». Imbarazzi e pregiudizi sono diffusi. Come superarli? «Il modo migliore è conoscerci. Posso dire per esperienza che nel 99% dei casi i pregiudizi cadono se c’è la possibilità di confrontarsi, di parlare. Perciò dico: venite a conoscerci, non siamo un ghetto, siamo parte della società come chiunque altro». Un confronto a cui Arcigay non può sottrarsi, soprattutto in un Paese caratterizzato dalla forte influenza del Vaticano, è quello con la Chiesa. «Occorre fare una distinzione: il rapporto con le alte gerarchie ecclesiastiche è pessimo,è battaglia ogni giorno che Dio manda in terra. Qui a Ferrara invece conosco divesi preti di quartiere con i quali sono felice di essere diventato amico. Si parla senza chiusure, e pur con visioni diverse c’è dialogo e vero rispetto. Sono persone che vivono in mezzo alla gente e ne capiscono i sentimenti». Cosa ha insegnato l’impegno nel Circomassimo? «Gli anni di presidenza all’Arcigay di Ferrara mi hanno insegnato che nessun pregiudizio è indistruttibile; è successo spesso nelle scuole, durante gli incontri con gli studenti, ed è una grande soddisfazione. Ferrara è la mia città d’adozione, la adoro e le sono grato. Spero che possa diventare ancora più aperta e accogliente». Passare dalla guida del circolo provinciale, con i suoi 2600 iscritti, alla presidenza nazionale di un’associazione che conta 160mila tesserati è un bel salto. «E anche una bella responsabilità. Insieme al nuovo gruppo dirigente mi aspetta un lavoro immane in un’associazione complessa e che deve inoltre affrontare problemi di solidità economica. Siamo un punto di riferimento per tanti ragazzi e ragazze che, nonostante la società sia sicuramente evoluta, affrontano ancora il coming out con ansia e timori: se Arcigay dovesse fermarsi, sarebbe un problema». Alessandra Mura


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