Il direttore della Divisione Ostetrica spiega la scelta di cambiare la scritta «papà» sui bracciali d’ingresso: «Negli ospedali la società si evolve in fretta»
MAMME LESBICHE »IL CASO DI PADOVA
ALESSANDRO ZAN: «Dopo l’anagrafe delle coppie di fatto va a Padova il merito di aver aperto la strada: mi auguro che questo traguardo faccia da apripista»
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di Fabiana Pesci wPADOVA Si sono seduti attorno ad un tavolo e hanno discusso su come affrontare un cambiamento sociale e culturale in atto da tempo nelle corsie degli ospedali. Ok al bracciale identificativo per mamma e neonato: e se il papà è dall’altra parte del mondo per lavoro? Se il papà non c’è? Se papà, in realtà, è un’altra mamma? Di certo, quando hanno deciso che fosse meglio indicare il terzo membro della famiglia con la dicitura “partner” al posto di “padre”, mai avrebbero pensato di essere innalzati a paladini dei diritti civili. Una questione di sicurezza (il “braccialetto per tre” è prassi nella Clinica e nella divisione Ostetrica dell’Azienda ospedaliera di Padova) che ha dato avvio a un dibattito a 360 gradi su scala nazionale. Un caso rimbalzato sui siti di informazione di tutta Italia, reso ancor più attuale dal fatto che, in Francia, il primo nato del 2013 è figlio di una coppia lesbica. Nelle corsie dell’ospedale padovano da tempo si registra una sensibilità nuova, che fa diventare ancora una volta la città del Santo una fucina di idee. Prima con le coppie di fatto, poi con il testamento biologico, ora con un piccolo, ma significativo, sdoganamento delle nuove famiglie. L’assessore comunale Alessandro Zan, in prima linea da sempre per il riconoscimento dei diritti civili, plaude a un’iniziativa capace, seppur inconsapevolmente, di innescare la miccia della trasformazione sociale. Da papà a partner. Il direttore della Clinica ostetrica Gianni Nardelli si è trovato di fronte a una situazione che, sulla carta, poteva creare non pochi grattacapi alla direzione sanitaria. Dopo il parto, a una madre e al suo piccolo viene stretto al polso il braccialetto identificativo. Gli operatori cercano il papà per poter chiudere il cerchio, ma niente da fare. Si fa avanti una donna che, al momento della registrazione (obbligatoria per l’unica persona che può prendere in consegna il bimbo all’interno del reparto) dice di essere la compagna della neomamma. Come identificarla? Non di certo alla voce di “padre”, né di “amica”, né tantomeno di “parente”. Ed ecco che arriva l’intuizione: basta sostituire “papà” con un più generico “partner”. Nardelli ha sottolineato che è stata compiuta una scelta volta a non offendere sensibilità di fronte a un cambiamento sociale in atto da tempo. Padova apripista. Zan, presidente di Arcigay Veneto e assessore da sempre in prima linea nella difesa dei diritti civili, spera che la scelta dell’Azienda ospedaliera costringa la politica a dare risposte di fronte a trasformazioni sociali di fatto non reversibili: «Saluto con grande favore e stima la scelta dell’ospedale di Padova di superare le difficoltà legislative riguardanti l’omogenitorialità. Sono davvero i grandi passi avanti che sa fare una società civile e laica. Superando le leggi, le lobby, gli interessi e i potentati, ha fornito una risposta di progresso a una nazione che, in fatto di diritti civili, non poteva piu restare indietro». E sottolinea: «Ancora una volta, dopo l’anagrafe delle coppie di fatto, va a Padova il merito di aver aperto la strada. Mi auguro che questo primo traguardo, arrivato proprio all’inizio dell’anno, faccia da apripista ad altri importanti obiettivi che spero vedano protagonista il Parlamento italiano». Il bracciale ospedaliero. Ieri l’azienda ospedaliera era in fermento: ringrazia per essere stata assurta a paladina dei diritti civili, ma spiega che la fettuccia identificativa ha origini lontane, affonda le radici in una questione di sicurezza. «Il bracciale» spiega Maria Teresa Gervasi, direttore della divisione Ostetrica, «viene stretto al polso di mamma e neonato subito dopo la nascita per motivi di sicurezza. È poi offerto a una terza persona, di norma il papà: quel bracciale, che riporta un codice identico a quello di mamma e bimbo, impedisce che si creino pericolosi disguidi all’interno del reparto. Ma può essere dato anche a una persona che non è il padre, che in quel caso deve registrarsi». Gervasi sottolinea che l’ospedale da sempre anticipa i cambiamenti sociali: l’integrazione tra culture diverse, tra nazionalità differenti, è già una realtà, così come le donne che decidono di avere un figlio da sole, senza un marito e senza un compagno. Non mancano nemmeno le donne che vengono a chiedere informazioni su come poter emigrare alla ricerca di un utero in affitto, della fecondazione eterologa vietata in Italia. La legge 40 impone paletti ben definiti, tuttavia per ovviare alle limitazioni non sono poche le coppie che acquistano un biglietto aereo: la speranza di un figlio, qualora si infranga sulla normativa Italia, per molte è a una sola ora di volo dalla propria casa.