Napoli – «La scelta di chiamarci Pochos? È per il nostro tifo sfegatato per il Napoli, poi è chiaro siamo contenti che Lavezzi sia diventato anche un’icona gay in Francia». Come il loro idolo, sono pronti a stupire con dribbling e gol: è la prima squadra composta da calciatori gay che si presenta nel capoluogo partenopeo, come spiega Giorgio Sorrentino, il capitano e fondatore del club che il prossimo 23 febbraio farà il suo esordio ufficiale a Firenze, in un torneo a cui partecipano le altre squadre omosessuali di Genova, Milano, Bologna e Roma.
«La nostra è la prima esperienza del genere nel Sud Italia», spiega Giorgio, che ha dato il via all’avventura quasi per caso: «Girando su alcuni social network gay – racconta – mi sono reso conto che in realtà venivano usati solo per organizzare incontri, ma non per parlare delle proprie passioni. Così ho cominciato a cercare amici che volessero parlare di calcio e in breve abbiamo formato un gruppo che dal virtuale è passato al reale, incontrandoci e giocando al pallone».
Insomma, prima di infrangere un tabù al Sud che lega il calcio a un certo machismo, Sorrentino ha dovuto cambiare le cose nei social network gay. A spingerlo, l’amore per lo sport che ha praticato sin da bambino, giocando al calcio a livello agonistico fino a 15-16 anni, per poi cambiare e lavorare come fantino per cinque anni, prima di entrare nel mondo del teatro. «Abbiamo creato la prima squadra del meridione e speriamo di essere di esempio per le altre città del Sud, da Bari a Palermo, da Catania a Catanzaro», spiega il capitano dei Pochos che non sono però aperti solo ai gay.
«Nelle altre squadre – aggiunge – ci sono anche ragazzi etero che giocano, non stiamo creando un ghetto, anzi». Semplicemente veicolano il messaggio che il calcio non ha niente a che vedere con i gusti sessuali. Ma il concetto, semplice in apparenza, non è facile da far capire, «soprattutto ai ragazzi», spiega Claudio Finelli, delegato culturale dell’Arci gay di Napoli, che sta organizzando il lancio della squadra. «Anche io giocavo a pallone – racconta – ma verso i 17 anni ho capito di avere troppi problemi a relazionarmi con il machismo dello spogliatoio, con la violenza verbale di alcune parole che a un ragazzino fanno male».
Qualcosa, però, lentamente sta cambiando: «Lo dimostrano le aperture del ct Prandelli e di Marchisio – dice Finelli – ma c’è ancora molto da fare per cambiare una certa mentalità espressa ad esempio da Cassano in quella famosa conferenza stampa».
E il cambiamento arriva anche con esempi positivi: «Dobbiamo testimoniare la possibilità che le cose cambino anche nello sport e questi tornei servono proprio a questo», spiega Finelli che elogia i Pochos. Loro, intanto, si preparano a difendere il nome di Napoli nel torneo toscano, sperando di avere un tifoso d’eccezione, come spiega Sorrentino: «Lavezzi? Ci piacerebbe molto che ci mandasse un saluto per sostenerci».
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