Il 27 novembre 1978, Harvey Milk, primo omosessuale dichiarato a ricoprire un ruolo nelle istituzioni, morì assassinato a San Francisco, la città in cui era consigliere comunale. I cinque proiettili che lo uccisero furono esplosi da un altro membro delle istituzioni, Dan White, un collega di Milk, che si era da poco dimesso per protestare contro una norma a favore dei diritti delle persone omosessuali alla quale si era duramente opposto. Perciò fece un passo indietro ma soprattutto progettò l’assassinio di Milk e dell’allora sindaco George Moscone. Processato per duplice omicidio, White fu condannato a sette anni e otto mesi di carcere, in virtù della seminfermità mentale che la giuria volle riconoscergli.
Dieci anni fa, a trent’anni dalla morte, il regista Gus van Sant dedicò alla vicenda di Harvey Milk un celeberrimo lungometraggio che valse il premio Oscar a Sean Penn, che ne vestiva i panni, ma che soprattutto diede visibilità in tutto il mondo alla vicenda umana e politica di quel pioniere della comunità lgbt.
Oggi, nell’anno in cui si celebrano i 40 anni da quei colpi di pistola, è un libro italiano – il primo – a rendere omaggio alla storia di Milk: si intitola Il mio amore non può farti male e lo ha scritto, per Einaudi ragazzi, Piergiorgio Paterlini, autore cult della comunità lgbt. Si tratta di una lunga lettera in cui Milk parla in prima persona e si racconta ai giovani che solo oggi ne conoscono la storia. Una lettera scandita da cinque proiettili, dilatati nel tempo del racconto quasi fossero il contrappunto di un lungo flashback, che attraversa la militanza politica ma soprattutto la vicenda umana di Harvey Milk. “Se una pallottola dovesse entrarmi nel cervello – diceva Milk a commento delle numerose minacce che contraddistinsero il suo percorso nelle istituzioni – possa questa infrangere le porte di repressione dietro le quali si nascondono i gay nel Paese”. E in effetti il cuore del romanzo/lettera di Paterlini sta proprio nel potere rivoluzionario che la vicenda di Milk porta con sé. Perché Milk, da ragazzo, non si sarebbe mai immaginato nei panni del pioniere, dell’eroe, forse nemmeno del gay visibile. Eppure è successo e quel cambiamento ha determinato, con un fragoroso effetto a catena, una rivoluzione nelle vite di molti altri, per decenni. Milk ci resta nel cuore perché è un esempio di speranza: non era un eroe predestinato, soltanto un uomo coraggioso che a un certo punto ha avuto il coraggio di cambiare. E nel cambiare se stesso è riuscito a cambiare il mondo. Questo è il messaggio che la lettera di Paterlini affida alle nuove generazioni, affinché si sentano protagoniste e mai solo spettatrici del cambiamento. Perché scoprano il senso delle proprie battaglie e ne assaporino l’orgoglio.