Mai viste tante coppie così. Proprio tante, tante, tante. «Le notavi subito. Forse perchè erano vestite allo stesso identico modo» dice Paola. «O forse perchè si tenevano per mano. Perchè stavano vicine vicine. Non so. So solo che si capiva alla prima occhiata, che stavano insieme» dice Anna. Sì, insieme: lei e ‘altra. E i bambini, naturalmente. «Mai visti tanti bambini così». E dunque, vogliamo parlarne?
La copertina del settimanale “Panorama”
Dunque: Anna e Paola, il 7 giugno, erano tra i 50 mila che marciavano al Pride nazionale di Bari, e il 5 luglio, alla manifestazione gaya della capitale, portavano lo striscione del circolo Mario Mieli. Erano quelle due ragazze altissime, le avete notate?, una molto bionda e ‘altra molto mora, che si tenevano per mano e si baciavano senza alcun imbarazzo. Lesbiche, ovviamente. Fidanzate e conviventi da un anno e mezzo. Se capitate dalle loro parti, a Roma, zona parco della Caffarella, garantito che le incrociate per strada mano nella mano, vestite con gli stessi calzoncini tre quarti, tee-shirt, sandali, cappello: abbigliamento «simbiotico», lo chiamano loro ridendo, che in simbiosi già fanno jogging e politica, oltre a condividere una vita astemia, salutista e contraria al fumo.
Hanno poco più di tren’anni, sono belle, hanno un buon lavoro. E sono il perfetto esempio della nuova generazione lesbica che è scesa in piazza: si sono fatte fotografare da Annette Schreyder per Frauen Liebe, la mostra ufficiale del Pride che Panorama propone in queste pagine; hanno presentato la fidanzata in famiglia, senza creare peraltro particolare scandalo; non nascondono il loro letto matrimoniale nè alla padrona di casa nè agli amici etero che coltivano (ma lo dicono ridendo) «per non essere razziste»; vogliono comprare un appartamento insieme «e naturalmente, tra un p’, avere anche un figlio».
Ma per il momento, esattamente come la maggior parte delle altre coppie lesbiche italiane, stanno più che altro cercando un notaio. O un avvocato. Insomma un tecnico che possa, codici e cavilli alla mano, dare una sorta di tranquillità legale alla loro nascente famiglia. A base di scritture private. Testamenti redatti alla presenza dei parenti, per assicurarsene la collaborazione «in caso di». Deleghe. Dichiarazioni. Assicurazioni sulla vita reciprocamente intestate. Case comprate a metà, mutui e affitti a nome di tut’e due, lasciti, donazioni, escamotage legali di ogni tipo. Da affiancare, perchè no?, a un matrimonio simbolico sulla spiaggia o in discoteca. «Qui nessuno se ne accorge, ma giorno per giorno le lesbiche stanno costruendo un nuovo modello di famiglia» garantisce Cristina Gramolini, 37 anni, presidente nazionale di Arcilesbica, da cinque anni fidanzata con una collega di lavoro.
Una famiglia, quella lesbica, «ben integrata nella società», giura Cristina. Accettata dalla famiglia ‘origine. Che non patisce più particolari discriminazioni nella vita quotidiana, tranne che in zone residuali del sud o del nord più profondo. «’Eurispes calcola che per il 51,6 per cento degli italiani, ossia la maggioranza assoluta, le coppie gay hanno a diritto a sposarsi col rito civile» conferma Titti De Simone, lesbica militante e deputata di Rifondazione. «Solo che al’accettazione del paese reale non corrisponde una realtà giuridica adeguata. Anzi. ‘ ‘esatto opposto. Così è come se noi vivessimo a cavallo tra due mondi, uno in cui esistiamo e ‘altro no».
E cosa vuol dire, giorno per giorno, condividere quella che Agata Ruscìca, ex assessore alle Pari Opportunità della provincia di Siracusa, chiama, indignata, «una sospensione di fatto dei diritti costituzionali, come se gay e lesbiche non fossero cittadini italiani come tutti gli altri»? Questo, per esempio: che Agata ha conosciuto Angela Barbagallo, la sua attuale compagna, nel 1982. Nel 1983 hanno cominciato a vivere insieme, loro due più la mamma di Agata. Sono andate da un bravo avvocato; hanno «sistemato» tutto. Ad agosto festeggeranno i ven’anni della loro relazione. Ma in questi anni, giurano, «a livello di diritti civili non è cambiato nulla. Se una di noi dovesse finire in ospedale, per esempio, ‘altra non potrebbe prendere nessuna decisione. Un cugino mai visto, o uno zio di terzo grado, conta più della compagna di ven’anni».
Agata ha 55 anni, la sua compagna 59. Quasi due generazioni le separano da Daniela Pennisi, 24 anni, animatrice turistica, fidanzata da tre mesi con u’altra ragazza di Siracusa. Eppure i problemi delle due coppie non cambiano: «Vorremmo che la nostra unione fosse riconosciuta. Non si può. Vorremmo poter avere un bambino, in affido o in adozione, o magari tramite la fecondazione assistita. Non si può. Vorremmo essere sicure che se una di noi muore ‘altra non corre il rischio di essere buttata fuori di casa dai nostri legali eredi. Nessuno ce lo garantisce» elenca Daniela. Tutto ciò la indigna profondamente. Ma non se ne fa condizionare più di tanto: «Io non posso privarmi della felicità e dell’amore solo perchè la legge non mi prevede. Come non ho intenzione di rinunciare a fare un figlio. Scordatevelo».
E questo è quanto. Da Siracusa a Milano, da Roma a Bari, sarà anche vero che «’assenza di certezze e di modelli rende tutto più difficile, faticoso e fragile» come sostiene Imma Battaglia, la storica portavoce del Pride 2000. Ma le coppie ci sono. Crescono. Si moltiplicano. Hanno cominciato persino a ridere di sè e dei propri luoghi comuni, dalla monogamia obbligata alla sindrome della morte del letto lesbico. Che, spiegata al volgo, consiste in questo: «al quarto anno di fidanzamento il rapporto lesbico diventa un rapporto di maternage, tutto un cippi cippi mucci mucci. E sesso, nisba» ride Eleonora Dal’Ovo, 36 anni, «lesbiurga» (drammaturga lesbica) milanese, che alle vicissitudini delle lesbocoppie ha dedicato una piece che gira ininterrottamente da cinque anni. Parla di quel tal libro arrivato dal’America, Polifidelity, che nel’97 ha sfasciato la comunità lesbica meneghina perchè offriva, come via di fuga alla sindrome suddetta, la ricetta della coppia «insieme-non insieme». Aperta, insomma. Un disastro.
Il pubblico ride molto. «Perchè la morte del letto lesbico è un problema serio e diffusissimo» giura Eleonora. «Ed è proprio per sfuggire alla noia del sesso coniugale che tra le coppie consolidate, soprattutto a Milano e a Bologna, ‘è attualmente una deriva molto forte verso il sado-maso». Ma che ‘è di male? Anche questo fa parte del laboratorio sentimentale in cui le coppie gay inventano percorsi per crescere e riprodursi, con una creatività ai limiti della spregiudicatezza. «Coppie pioniere»: così le definisce Roberta Calì, anni, una delle fondatrici della «portala» www.listalesbica.com. Offre forum sulla storica sfida «Tampax versus Ob» o sul «dress code» che distingue le butch dalle lipstick. Ma co’è che i dibattiti più roventi non sono quelli sul sadomaso ma sulla maternità? «Forse perchè la natalità italiana si sta salvando grazie alle lesbiche» spiega Roberta.
Come? Cosa? Tenetevi forte: tra le lesbiche è in atto un baby boom. «’è chi va a fare ‘inseminazione artificiale in Belgio, chi la Fivet in Olanda, chi trova in Italia un ginecologo compiacente o cerca un donatore tra gli amici, meglio se gay» spiega Rosaria Iodice, portavoce del Pride di Bari, che a 37 anni ha scelto di non aver figli ma è amica personale di molte coppie di madri. «’è una grande voglia di maternità, soprattutto tra chi ha superato i 30 anni, vive un rapporto stabile e ha fatto un suo percorso di visibilità. Però la riproduzione assistita al’estero costa ‘iradiddio. E nel nostro Paese la figura della co-madre non ha nessun riconoscimento giuridico». Con tutti i rischi del caso. «Quando la madre biologica e la compagna si separano, la gestione dei figli rischia di diventare un dramma » testimonia Delia Vaccarello, 42 anni, giornalista e scrittrice (ha appena curato per Mondadori ‘antologia lesbica Principesse azzurre). «Tutto è affidato alla buona volontà delle singole persone, visto che patti, contratti, scritture private rischiano di diventare carta straccia in caso di conflitto. Si procede per tentativi e per errori. A volte si sbaglia. Ma conosco coppie di madri meravigliose; e bambini felicissimi».
Però: se non fosse proprio così? Se i bambini non fossero, sempre e comunque, felicissimi? E se ‘amico donatore ci ripensasse, magari reclamando un ruolo paterno che prima non era previsto; e se la co-madre se ne andasse; o la madre biologica morisse; oppure… oppure… Come stupirsi se è proprio sulla maternità che le coppie lesbiche litigano di più, in questi tempi? Che le storie entrano in crisi e i rapporti si sfasciano? «Oh, è tutto così difficile…» sospira Imma Battaglia, passandosi la mano tra i capelli cortissimi. È in crisi con Simona, la donna della sua vita, perchè Simona voleva un figlio. Panico. «Non ci sono modelli, per noi, non ci sono tutele, non ‘è un supporto culturale. E ‘è, diciamolo!, anche il rischio di mettere al mondo degli emarginati». Così Imma ha avuto paura. Ha esitato. Forse troppo. Adesso dice: «I rischi bisogna correrli, se si vogliono cambiare le cose». E a quarantatrè anni, dice, è pronta a diventare mamma.