"Cultur-e, tracce di cultura in rete" (http://www.cultur-e.it/rivista), è u'e-zine che si propone come osservatorio dei fenomeni in Rete, al di là dei confini culturali e delle restrizioni alla navigazione che alcuni governi impongono. ' nata per offrire spunti di riflessione e per stimolare la curiosità, le sue inchieste sono dettate da una certa visione della Rete, come villaggio globale e senza confini e come luogo virtuale di partecipazione diretta.
Immagine tratta da Gayegypt.com
Arcigay.it è lieta di pubblicare parte del dossier dedicato al'Egitto e ai suoi problemi di censura e repressione nel'uso della Rete.
Il primo articolo riguarda le ricerche operate sul web dalla Polizia per scovare i cybercriminali: in carcere sono finiti finora solo omosessuali e liberi pensatori.
Il secondo articolo è u'intervista a Ali Asali, uno dei fondatori di GayEgypt.com, che spiega trucchi e segreti per far cadere nella "Rete" gli stessi censori
Sotto controllo
di Cristina Biordi
15/11/2003 – La polizia naviga per scovare i cybercriminali. In carcere finora solo omosessuali e liberi pensatori
Il Web è arrivato anche lungo il Nilo. Lo sviluppo dell’Information Tecnology ha aperto agli egiziani una finestra sul mondo. Lanciare uno sguardo oltre i confini sta cambiando i costumi della società non senza problemi. Navigare on line è diventato più facile, ma anche essere sorvegliati. Lo affermano Gamal Aieed, avvocato e attivista per i diritti umani, che denuncia 'esistenza di una “Internet police”, e il generale Ahmed Shehab quando ammette che «la Rete in Egitto viene strettamente controllata come le strade delle città». Un "controllo" che spesso diventa una vera e propria censura.
Sono stati realizzati gruppi di cyberpoliziotti con la scusa di fermare i "criminali" del Web. Recentemente è finito in manette Andy Ibrahim Shoukri, studente di diciannove anni, accusato di aver creato allarmismo, con e-mail che riportavano la falsa notizia della presenza di un serial killer per le strade del Cairo. A fare maggiore scalpore, sono le "retate telematiche" di omosessuali (che si aggiungono alle numerose effettuate nelle Queen Boat sul Nilo). Gli agenti dell’unità speciale della polizia si nascondono dietro l’anonimato della Rete per contattare i cosiddetti "diversi", incontrarli e arrestarli.
Questi soprusi vengono costantemente denunciati da associazioni internazionali come Al-Fatiha, dedicata ai musulmani omosessuali e bisessuali, e dalle più note Amnesty International e Human Right Watch che pubblicano on line le petizioni da inviare per il rilascio dei prigionieri.
Per bloccare le persecuzioni è intervenuto anche il Parlamento Europeo approvando, nel'aprile scorso, la risoluzione 'urgenza sui diritti umani in Egitto.
Internet: trappola per gay
16 gennaio 2003. Wissam Tawfiq Abyad, un libanese di 26 anni, ha un appuntamento al buio. Sul sito Gaydar.Com ha conosciuto Raoul, un ragazzo spagnolo. 'incontro è nel quartiere di Heliopolis, al Cairo. Ma il "principe azzurro" si rivela un poliziotto. Wissan viene arrestato per “depravazione abituale”, e le sue e-mail utilizzate come prova del reato. Il ragazzo è uno dei tanti caduti nella trappola digitale per gay. Da allora si ha notizia di altri 15 casi simili che hanno coinvolto 21 persone, ma il numero forse è più alto.
Una delle prime operazioni di “adescamento” on line è stata quella che ha portato al'arresto di Zaki Sayid Zaki ‘Abd al-Malak. Il 25 gennaio 2002 'uomo è stato condannato a tre anni di carcere, in base alla legge 10/1961, per atti abituali di depravazione contro la morale pubblica. In Egitto 'omosessualità non costituisce reato, ma le autorità puniscono i "diversi" appellandosi alle norme sul buon costume.
Anche se constantemente nel mirino della polizia, i gay continuano ad usare Internet per comunicare. Su Gayegypt.tk, ad esempio, un sondaggio chiede in che misura 'Egyptian National Human Rights Council – istituito per proteggere e promuovere i diritti umani in Egitto – possa tutelare gli omosessuali, mentre su Gayegypt.com gli utenti sono avvisati del rischio di incappare nella “sex police”. Ancora oggi, infatti, continuano gli adescamenti in Rete.
Il destino del padre…
On line la censura non perseguita solo i gay. Una ricerca redatta da Privacy International e da GreenNet Educational Trust di Londra, denuncia gli attacchi alla libertà di parola su Internet, nel nome della lotta al terrorismo.
Caso emblematico è quello del'ex webmaster del settimanale Al-Ahram Weekly, Shohdy Surur, prima persona al mondo finita in tribunale per aver pubblicato un poema su Internet.
Suo padre, l’attore e poeta Naguib Surur, prima di morire lo aveva avvisato sulle possibili dure reazioni del governo. Ma Shohdy ha voluto onorare il testamento paterno, pubblicando Ummiyyat, 'opera più famosa del genitore, sul sito Wadada.net. Nel poema, l’Egitto viene paragonato ad una prostituta, una metafora che già negli anni Settanta provocò l’intervento della censura, la stessa che trent’anni dopo ha colpito Shohdy.
Il tributo telematico, infatti, è costato a Surur un anno di lavori forzati (condanna sentenziata il 30 giugno 2002), per “possesso e distribuzione di materiale immorale, con l’intenzione di corrompere 'opinione pubblica”. Curiosamente, Wadada.net (creato per raccogliere l’opera di Naguib Surur e ospitato da un server statunitense) è stato on line circa tre anni, prima che le autorità si accorgessero dei versi incriminati e – fatto ancora più curioso – il poema è tuttora in Rete.
'ex webmaster oggi è in esilio. Non sappiamo in quale angolo del mondo, ma sicuramente – come egli stesso ha affermato – è «felice di aver diffuso l’opera del padre».
Strategie di libertà digitale
di Silvia Santoni
15/11/2003 – Ali Asali, uno dei fondatori di GayEgypt.com spiega trucchi e segreti per far cadere nella "Rete" gli stessi censori
Egitto
«Sembra quasi un sito amatoriale, eppure conta più di 2000 contatti al giorno». Così inizia a raccontare la storia di GayEgypt.com uno dei suoi creatori, Ali Asali. Secondo la legge egiziana, l’omosessualità non è un reato ma la sodomia, afferma la Sharhiia (la legge coranica), va punita come la zina (l’adulterio o i rapporti illegittimi tra uomo e donna). Con cento frustate e la lapidazione. L’Egitto ha optato per il carcere. In questa intervista Alì ci svela i motivi della rapida e sbalorditiva crescita e diffusione di Internet in Egitto, testimoniando ancora una volta le contraddizioni di una Rete capace di rappresentare, allo stesso tempo, u'oasi di libertà e una pericolosa trappola.
A che punto è lo sviluppo di Internet in Egitto?
L’uso del Web ha superato ogni realistica previsione se rapportato al generale livello di sviluppo economico del paese e al reddito pro-capite. Questa enorme diffusione di Internet è dovuta all’intervento del governo che sovvenziona l’uso della Rete per gli studenti e, paradossalmente, alla rigida censura che lo stesse autorità esercitano nei media tradizionali. Gli egiziani, infatti, sempre più spesso ricorrono ad Internet per leggere versioni integrali di articoli "tagliati" sui giornali o per conoscere resoconti di fatti del tutto sottaciuti o alterati nella loro veridicità.
Quindi il Web è sinonimo di libertà d’informazione?
In alcuni casi sì. Ad esempio, sul settimanale Cairo Times spesso le notizie subiscono un’evidente censura. I lettori quindi vanno puntualmente a visitare la versione integrale on line.
La censura colpisce la stampa, la televisione, il cinema quando affrontano temi sulla sessualità. Il risultato è che i gay egiziani si riversano sulla Rete per trovare un luogo dove poter discutere delle loro problematiche, così come fanno le donne che vogliono parlare dei propri diritti e denunciare soprusi.
La Rete non subisce nessuna forma di controllo?
La sorveglianza sui contenuti dell’informazione colpisce anche Internet. Molti sostengono che proprio i siti radicali come il nostro si sono trasformati in strumenti che la polizia utilizza per catturare i gay. Ovviamente non è così. Sappiamo bene che le autorità sorvegliano la nostra sezione di “appuntamenti”, e per questo avvisiamo gli utenti del pericolo di essere adescati on line da agenti dell’ordine. Sempre sul sito, forniamo una serie di regole di comportamento nel caso di cattura: ad esempio, rifiutare di rispondere a qualsiasi domanda, e soprattutto non pronunciare mai la parola “yes”, perché potrebbe essere registrata come assenso nel contesto di una falsa confessione.
Fissiamo anche pseudo-appuntamenti che distraggono la cosiddetta “cybercop”, depistandola in luoghi lontani dai punti di ritrovo per omosessuali.
Fornite quindi un vero e proprio servizio di protezione dalla polizia?
Può sembrare strano a voi occidentali, ma qui funziona così. Due anni fa abbiamo pubblicato indicazioni su alcuni appuntamenti in codice: in realtà si trattava di semplici formule prese a caso da un libro, cui abbiamo sostituito qualche lettera per farle apparire come messaggi cifrati. Persino il quotidiano francese Le Monde dedicò un articolo ai "codici segreti", descrivendoli come un nuovo fenomeno che si stava diffondendo su GayEgypt.com. Il nostro obiettivo è stato così raggiunto: la “gay cybercop” era completamente assorbita nella decodificazione dei finti messaggi, e quindi ha interrotto la persecuzione degli omosessuali. Ancora oggi forse qualche unità delle forze dell’ordine sta cercando la chiave d’accesso di quei codici misteriosi.