La nuova primavera dei diritti civili in Spagna ha rilanciato anche in Italia il dibattito sulla necessità di dare un riconoscimento giuridico alle coppie gay e lesbiche. Tuttavia, come già avvenne all’indomani del World Gay Pride del 2000, l’improvviso fiorire di commenti e prese di posizione rischia di produrre una certa confusione sull’oggetto in discussione. Fra Pacs e matrimonio, coppie di fatto e famiglie si rischia un minestrone concettuale che non aiuta.
Il movimento italiano gay, lesbico, bisessuale e transgender (Glbt, secondo l’acronimo ormai internazionalmente diffuso) ha come suo obiettivo l’uguaglianza giuridica delle persone omosessuali e transessuali, così come definito dalla storica risoluzione di Strasburgo dell’8 febbraio 1994. In quella data il Parlamento Europeo chiese di “porre fine agli ostacoli frapposti al matrimonio di coppie omosessuali ovvero a un istituto giuridico equivalente, garantendo pienamente diritti e vantaggi del matrimonio e consentendo la registrazione delle unioni”.
In un paese normale il compito del movimento gay e lesbico italiano, come quello di ogni altro movimento, avrebbe dovuto essere quello di sollevare il problema e indicare gli obiettivi ideali lasciando alle forze politiche il compito di studiare le soluzioni legislative.
Ma l’Italia vive la forte anomalia di una diffusa perdita del senso di laicità, anche a causa della difficoltà della sinistra a ritrovare, come ha fatto quella spagnola sotto la guida di Zapatero, l’orgoglio dei valori basilari, forti e saldi della laicità e della democrazia liberale in modo autonomo dalle verità vaticane. In questo contesto è stato lo stesso movimento Glbt a rimboccarsi le maniche e a farsi carico, all’interno di una strategia gradualista, di proporre come primo significativo passo la proposta di legge sul Pacs.
Il Patto Civile di Solidarietà non è il matrimonio, ma non perchè il movimento omosessuale italiano sia contrario al matrimonio. Quello che è accaduto in Spagna rappresenta il livello più avanzato al mondo di riconoscimento dell’uguaglianza di fronte alla legge delle cittadine e dei cittadini omosessuali. Siamo vicini col cuore a quel paese, entusiasti del suo grado di civiltà e impazienti di andare in quella direzione. Sappiamo però che la situazione politica italiana è arretrata, a tratti primitiva.
Da qui la nostra proposta del Pacs, estranea all’istituto del matrimonio come alla questione dell’adozione, ma ferma nella richiesta di riconoscere alle coppie che vi faranno ricorso un preciso status giuridico. É questo un secondo punto su cui essere precisi: il Pacs non è una legge sulle coppie di fatto, che pure sarebbe necessaria nel nostro paese, soprattutto per tutelare il/la partner più debole, magari dopo una convivenza durata una vita. Il Pacs è la possibilità di scegliere un’emersione al diritto da parte di coppie che sono di fatto per l’impossibilità di accedere al matrimonio (come nel caso delle coppie dello stesso sesso) o per l’assenza di un istituto più leggero adatto, per esempio, a regolare i sempre più diffusi e lunghi periodi di convivenza prematrimoniale.
C’è un terzo punto su cui fare chiarezza: la nostra decisione di rinviare, responsabilmente, la richiesta di accesso al matrimonio civile non ha a che vedere con il concetto di famiglia. Stupisce sentire autorevoli dirigenti della sinistra italiana, pur attenti alla tematica delle coppie dello stesso sesso, affermare che la famiglia è fondata sul matrimonio, quasi che l’art. 29 della Costituzione introducesse un qualche elemento di divieto. Guai a leggere la Costituzione come fonte di divieti più che di diritti. Sarebbe come dire che laddove essa attribuisce ai cittadini italiani la libertà di riunione (art. 17), la libertà di associazione (art. 18) la libertà di associarsi a partiti politici (art. 49) questi diritti fossero considerati non estendibili ai residenti non in possesso della cittadinanza italiana.
Anche in merito alla famiglia la Costituzione non vieta assolutamente nulla: impone alla legge di riconoscere i diritti della famiglia tradizionale, ma non impedisce affatto di riconoscere diritti di nuova generazione. La Carta di Nizza, così come il Trattato costituzionale europeo, hanno sancito la separazione fra il concetto di famiglia e quello di matrimonio. Gli Statuti di diverse regioni italiane hanno fatto altrettanto. Le più avanzate politiche sociali messe in atto dalle amministrazioni di centrosinistra sono giustamente rivolte alla complessità delle forme familiari, al di là del contratto matrimoniale.
Per noi, famiglia è dove c’è affetto e un progetto di vita comune, come in una coppia gay, fra una madre lesbica e la sua bambina o fra due anziani che condividono l’abitazione e la reciproca solidarietà. Per altri lo stesso concetto può avere risonanze emotive diverse, che rispettiamo. Ne potremo discutere in futuro: oggi parliamo di Pacs, una proposta molto pragmatica che accorci la distanza fra il nostro paese e gli altri componenti dell’Unione Europea. Anche in questo campo, stiamo rimanendo preoccupantemente indietro.
Sergio Lo Giudice
Presidente nazionale Arcigay