Al’inizio lo dicevano solo i sogni. «Quando ero piccola, o forse dovrei dire piccolo, sognavo di indossare un vestito da bambina e andare a una festa. Anche dopo 50 anni ricordo come fosse ieri quel turbamento al risveglio». Quando inizia a raccontare la sua storia a Panorama, la voce tradisce la sua femminilità: gesti aggraziati, grandi occhi azzurri, capelli legati da un nastro, tailleur e collana di perle.
Carla, 55 anni, è una delle molte persone che ogni martedì siedono nello studio di Maurizio Bini, sessuologo e direttore del centro di sterilità al’ospedale Niguarda di Milano, per ricevere le cure necessarie in vista di un cambiamento di sesso.
Come lei circa 40 pazienti al mese ottengono al Niguarda un referto psichiatrico per la trasformazione chirurgica (conversione in termini scientifici) da uomo a donna o da donna a uomo.
«Le spese per le cure ormonali e ‘operazione, che si può effettuare in città come Roma, Napoli, Trieste e Bologna, sono coperte dal Servizio sanitario nazionale» dice Bini.
Una terapia, pesante e costosa
Al’estero, in Germania, Gran Bretagna e Paesi Bassi, dove è a carico del cittadino, la sola operazione costa 10-15 mila euro. «Chi ha un disagio legato al’identità sessuale e cerca assistenza medica basta che si rivolga al’Onig (Osservatorio nazionale sul’identità di genere), che si trova in alcuni ospedali, o al’Arcitrans, per i diritti di queste persone».
Quello da intraprendere è un iter, terapeutico e legale, lungo e difficile, stabilito in Italia dalla legge 164/82. Il referto psichiatrico dato dal’ospedale servirà per dimostrare a un giudice che il paziente soffre davvero di transessualismo. Ricevuto ‘ok dal tribunale, occorre mettersi in lista ‘attesa per ‘operazione.
E solo dopo ‘intervento sarà possibile ottenere la correzione anche nei documenti. «In questo periodo di tempo non ci viene riconosciuto il sesso che noi percepiamo» fa notare Mirella Izzo, presidente di Crisalide Azione trans, una delle associazioni che offre sostegno a queste persone. «In altri paesi la legge consente di ottenere con più facilità il cambio di genere, una volta stabilito il disturbo.
Da noi la giurisprudenza interpreta la 164/82 in senso restrittivo: la legge infatti ammetterebbe che un giudice possa accogliere la domanda di cambio di genere per "intervenute modificazioni dei suoi caratteri sessuali". Che non sono necessariamente i genitali».
Nel frattempo il disagio fisico si somma a quello psicologico. «È stato un crescendo. Certo, anche nel pieno della giovinezza avevo sempre ‘ansia di essere u’altra persona, ma riuscivo a vivere. E le donne non mi dispiacevano. Tanto che alla fine mi sono sposata e ho avuto figli. Ma nascondevo la verità, tenevo in casa vestiti femminili in attesa di essere sola».
Nel mondo, dicono gli studi, una persona su 12 mila sente un rifiuto per il sesso maschile in cui è imprigionata.
E in Italia? Sono 11 mila circa i transessuali che si sono già sottoposti al’intervento e sono diventati donne. È alta anche la percentuale di donne che vogliono diventare uomini: «Prima una su ogni otto transessuali, ora una su cinque. E il motivo del’aumento non è chiaro» per Bini.
La sensazione di essere nati nel sesso sbagliato viene avvertita in genere prima della pubertà e si manifesta con un disagio nei confronti dei propri genitali, e per lo sviluppo di interessi tipici del’altro sesso.
«Le mie sofferenze aumentavano, come una bolla che si gonfiava. Ci sarà pure una causa» dice Carla. Quale sia ‘origine del transessualismo è ancora un mistero. Si sa che esistono ormoni che a livello prenatale indirizzano determinate strutture del sistema nervoso centrale in senso maschile o femminile.
«Un processo che, se alterato, potrebbe portare a un orientamento psicologico che non coincide con quello della biologia. Tuttavia, non abbiamo risposte certe: a fattori come questo, di natura neurobiologica, potrebbero sommarsene altri di natura comportamentale» aggiunge Bini.
«Il mio lavoro? Sono andata sempre avanti e ora sono un manager. Cercavo di vivere una vita normale. Ma ai problemi quotidiani si aggiungeva la mia battaglia. Ho detto a me stessa: o mi butto da un ponte o cambio la mia vita».
Il suicidio è negli Usa la prima causa di morte tra i transessuali. «Ho deciso di vivere. In ufficio si erano abituati agli abiti femminili.
Ma mia moglie mi ha accusato di disonestà, per averle detto la verità dopo tanti anni. E ‘era persino chi pensava che potessi trasmettere malattie» rivela Carla.
«Ora il problema è diventato il fatto che la mia carta di identità dice che io sono Carlo».
Bini commenta: «Nei Paesi Bassi e in Gran Bretagna è più semplice: una volta fatto ‘inquadramento psicosessuologico, si passa in pochi giorni alla fase chirurgica. E il nome originale di battesimo resta solo nel’atto di nascita».
In Italia trascorrono almeno quattro anni prima di essere sottoposti al’intervento, occorre completare gli esami, raccogliere i documenti legali a spese proprie e aspettare il verdetto del giudice, il quale si basa anche sul parere medico e psicologico.
A quel punto è possibile cambiare il nome nella carta ‘identità, secondo quanto prescrive la legge 164/82.
Che le norme italiane siano severe ha un vantaggio: «A volte la perizia psichiatrica così scrupolosa scopre che qualcuno non è un vero trans ma un matto». Questi ritardi comunque acuiscono il disagio.
Carla lo sa bene: «Ti costringono a vergognarti: al’università hai un altro sesso perché così dicono i documenti, sul’autobus il controllore ti dice che la tua carta ‘identità non è valida e alcuni medici si rifiutano di prescrivere gli estrogeni perché ‘indicazione è per il sesso femminile».
E così i transessuali chiedono quella che chiamano «la piccola soluzione». «Significa concedere il cambio nei documenti ufficiali prima della lunga attesa del’intervento» spiega Bini. «Proposte di legge in tal senso giacciono da tempo al Senato». Ma per ora nulla si muove e chi ne ha le possibilità economiche si reca al’estero. «Voglio operarmi. Gli ormoni che prendo non mi bastano» sostiene Carla. Poi abbassando il tono della voce: «Il dottore ha la mano leggera, vorrei dosi più alte».
Le operazioni chirurgiche sono complesse: la vagina viene creata usando come parete il cilindro cutaneo che riveste il corpo del pene e la lubrificazione è data dal segmento uretrale. «È poco sensibile ed elastica, ma consente ai trans il piacere mentale di contenere ‘uomo che amano» dice Bini.
Per le donne ‘intervento è assai più complicato, al punto che molte si fermano al’asportazione di ovaie e utero. Occorre infatti costruire di sana pianta il fallo modellando un lembo fascio-cutaneo del’avambraccio.
Nessuno di loro, neouomini o neodonne, potrà avere figli, ma molti chiederanno di adottarne. La maggior parte si accontenta di un compagno o di una compagna. Come Carla: «Il futuro? Sì, forse vorrei un uomo, ma sono ormai vecchia per poterne avere uno giovane e carino. Però almeno sarò me stessa».
CHE COSA PREVEDE LA LEGGE
Anni di attesa prima del cambio sui documenti
È il 14 aprile 1982 la data fatidica: in Italia viene approvata una legge che tuttora regola il fenomeno del transessualismo. Prima di allora, in Europa, solo ex Germania occidentale e Svezia avevano leggi in materia.
Questa legge, la 164/82, stabilisce che la domanda di cambio di genere sui documenti deve essere proposta con ricorso al tribunale. Lo specialista certifica che il paziente soffre di transessualismo, sarà poi il tribunale ad autorizzare ‘intervento chirurgico.
Per il cambio di genere nei documenti occorre però attendere u’altra sentenza del tribunale, con cui il giudice prende atto delle modificazioni sessuali in seguito al’operazione.
Il paziente è preso in cura dal Sistema sanitario nazionale che offre tutte le risorse necessarie al’intervento di cambiamento di sesso.