Toni e Giorgio, morti di pregiudizio

  

Da "La Repubblica" del 10.07.05 di Jenner Meletti

Toni e Giorgio, morti di pregiudizio "Diedero coraggio all´altra Italia"

A Giarre, 25 anni fa si uccisero – o forse furono uccisi – due omosessuali rifiutati dalla città.

Catania

Catania

Il pino. C´era un pino marittimo nel luogo in cui furono trovati morti i due giovani. Ora è stato tagliato la città. La città dopo la tragedia si chiuse a riccio, come se temesse di essere contaminata dal "disonore" la confessione. Un bambino di 13 anni raccontò ai carabinieri: mi hanno ordinato loro di ucciderli con un colpo alla testa l´arci. Dopo quella vicenda nacque a Catania il circolo Pegaso´s e i gay uscirono allo scoperto

GIARRE (Catania) – Non c´è più il pino marittimo, che svettava alto sopra gli aranci. I vecchi del paese dicevano che «soltanto il pino aveva visto», solo «il pino sapeva». Sapeva della morte di Giorgio Agatino Giammona, 25 anni, e di Antonio Galatola detto Toni, 15 anni. Erano andati a farsi uccidere sotto i suoi rami, i due «puppi», come con disprezzo ancora oggi vengono chiamati, in terra catanese, gli omosessuali. Il più grande, Giorgio, era addirittura «puppu cu´ bullu», perché a sedici anni era stato sorpreso in auto con un altro ragazzo ed i carabinieri lo avevano denunciato.

Omosessuale con tanto di bollo. Sono passati 25 anni e del pino marittimo è rimasto soltanto il ceppo, tagliato a raso in quello che oggi è un parcheggio davanti all´istituto Itis di Giarre. Non ci sono più gli aranci. Solo case, condomini, supermercati, istituti di bellezza e scuole. E per Giorgio e Toni, nel paese fra l´Etna e il mar Jonio, non c´è più nemmeno la memoria.

Eppure, ogni volta che gli uomini e le donne dell´Arci gay si riuniscono per un congresso nazionale o un Gay Pride le prime parole sono «per Toni e Giorgio, i due ragazzi di Giarre». «Si sono fatti ammazzare da un bambino di 13 anni perché non sopportavano gli insulti di tutto il paese». «Il loro sacrificio ha spinto tanti di noi a uscire allo scoperto. Due mesi dopo la loro morte proprio in Sicilia, a Palermo, è nato il primo circolo dell´Arci gay».

Ci sono anche le giostrine per i bambini, nel luogo dove Giorgio e Toni furono trovati morti il 31 ottobre 1980. «Erano quasi abbracciati e si tenevano per mano». I due ragazzi erano spariti da casa due settimane prima, dopo che in paese qualcuno aveva cominciato a chiamarli «´i ziti», i fidanzati. I carabinieri indagano e trovano subito un «colpevole» che ha 13 anni e dunque non può essere punito. Franco M., il bambino omicida, è nipote di Toni e racconta una strana storia. «Lo zio e Giorgio mi hanno portato in campagna e mi hanno detto: o ci uccidi, o noi uccidiamo te. Mi hanno messo una pistola in mano e si sono sdraiati sull´erba, come per dormire. Mi hanno dato un orologio, come ricompensa. Ho dovuto sparare alla testa, come mi avevano detto loro».

Due giorni dopo il bambino ritratta. «Ho confessato perché i carabinieri mi hanno dato gli schiaffi». Giarre si chiude a riccio quando giornalisti e telecamere arrivano pure da Roma per raccontare la tragedia. «Che vergogna. Penseranno a Giarre come al paese dei finocchi». Il funerale è già una sentenza. Duemila persone dietro al feretro del ragazzo di 15 anni, nessuno per Giorgio Giammona, «puppu cu´ bullu». L´inchiesta rimpalla fra Giarre e Catania e non approda a nulla. Franco M., il bambino di allora, adesso ha 38 anni. Porta addosso i segni pesanti di quella tragedia.

Paolo Patanè, avvocato di 37 anni, vice presidente del Pegaso´s club di Catania, associato all´Arcigay, abita a Giarre. «Ero bambino, quando è successo il fatto. Ma ricordo la paura che c´era in paese e soprattutto la vergogna dei grandi». Quel sacrificio ha cambiato un pezzo d´Italia, ma non ha cambiato Giarre. «Forse si è ridimensionato il peso del giudizio sociale, ma l´ipocrisia resta sovrana. Prima, se eri gay, ti volevano schiacciare. Ora si accontentano di ignorarti. Puoi anche vivere con il tuo compagno, basta che non si sappia. Dentro le case continuano le tragedie di chi è costretto a vivere l´omosessualità come una malattia. Conosco ragazzi che sono stati costretti a lasciare l´università così non incontravano "altri malati". Altri ragazzi, quando hanno parlato con i genitori, sono stati portati dallo psichiatra». La libertà di vivere è a poco più di venti chilometri, a Catania.

Qui c´è il circolo Pegaso´s, con discoteca gay che conta 7.000 iscritti. Il presidente è Giovanni Caloggero, che nell´ottobre 1980 aveva 29 anni. «Allora ero dirigente di banca, sposato con una donna e gay. Quella tragedia ci disse che se avessimo continuato a restare nell´ombra avremmo potuto finire come loro, quei poveri ragazzi forse suicidi forse assassinati a freddo». Il Pegaso´s ha una pista da ballo sotto un grande tendone da circo, e in estate un´altra accanto ad una piscina ombreggiata dagli eucalipti. «Quando ci sono le feste arrivano quasi duemila persone. Noi, comunque, siamo un´isola nell´isola. Arrivano da Trapani, 330 chilometri di macchina, per venire a ballare qui. Arrivano dalle centinaia di Giarre sparse in Sicilia. E´ importante, il Pegaso´s. E´ l´unico luogo dove puoi vivere senza paura la tua omosessualità, dove puoi discutere e conoscere la vita degli altri». Dopo il primo circolo di Palermo, fondato da don Marco Bisceglia, prete del dissenso, altri circoli nacquero in tutta Italia. «Qui a Catania – racconta Giovanni Caloggero – siamo riusciti ad aprire il nostro primo locale solo nel 1993. Era un appartamento di 100 metri quadri, non aveva nemmeno il frigorifero. Tenevamo la birra nel ghiaccio. Ma quel primo appartamento, preso in affitto dalla Chiesa Evangelica, è stato una pietra miliare».

«Ecco, potremmo costruirlo qui, un segno che ricordi i due ragazzi uccisi». L´avvocato Paolo Patanè è accanto al ceppo del pino marittimo di Giarre, testimone silenzioso della tragedia. «Il Pegaso´s di Catania è importante ma non basta. La Sicilia e l´Italia sono fatti di paesi dove essere gay è ancora ignominia. Noi potremo essere liberi quando, nella scuola che è qui di fronte, i presidi e i professori chiameranno i ragazzi e anche noi a parlare di libertà civile, di omosessualità, di identità sessuale. Proporremo al Comune di mettere una lapide per ricordare Toni e Giorgio. Hanno diritto almeno a una memoria».


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