Audizione del professor Raffaele Torino, docente di diritto comparato presso l’Università degli Studi Roma Tre.

  

CAMERA DEI DEPUTATI – XIV LEGISLATURA
Resoconto stenografico della II Commissione permanente (Giustizia)
Seduta del 18 gennaio 2005

Indagine conoscitiva sulle tematiche riguardanti le unioni di fatto ed il patto civile di solidarietà.

Audizione del professor Raffaele Torino, docente di diritto comparato presso ‘Università degli Studi Roma Tre.

(Fonte: www.parlamento.it)

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GAETANO PECORELLA

La seduta comincia alle 12,40.

PRESIDENTE. ‘ordine del giorno reca, nel’ambito del’indagine conoscitiva sulle tematiche riguardanti le unioni di fatto ed il patto civile di solidarietà, ‘audizione del professor Raffaele Torino, docente di diritto comparato presso ‘Università degli studi Roma Tre.
‘indagine conoscitiva si svolge, ai sensi del’articolo 79, comma 5, del regolamento, nel’ambito del’esame in sede referente delle proposte di legge C. 3296 Grillini ed altri, C. 795 Bellillo ed altri, C. 4442 Buemi, C. 4478 Bellillo ed altri, C. 4334 Rivolta ed altri, C. 4588 ‘iniziativa del Consiglio regionale della Toscana e C. 4585 Moroni, in materia di unioni di fatto e di patto civile di solidarietà.
La ringrazio, professor Torino, per il contributo che ci fornirà e per la sua presenza in questa Commissione. Per noi è particolarmente rilevante conoscere, soprattutto, le situazioni dei paesi europei, anche in relazione alla omogeneizzazione delle legislazioni in materia familiare.
La invito ad esporre la sua relazione.

RAFFAELE TORINO, Docente di diritto comparato presso ‘Università degli studi Roma Tre. Innanzitutto, vi ringrazio per avermi invitato e per consentirmi di esporre il risultato dei miei pensieri e delle mie ricerche di questi ultimi anni in materia di nuovi modelli familiari, soprattutto in u’ottica comparatistica. Ritengo che il diritto comparato possa svolgere un ruolo fondamentale nel’evoluzione della nostra società, in quanto esso è stato considerato sempre e giustamente una école de vérité, una scuola di verità, almeno sotto due profili. Sotto un primo profilo, il diritto comparato è uno strumento per individuare soluzioni e modelli da confrontare, migliori o peggiori, rispetto ad un bisogno di regolamentazione, ad un bisogno di diritto e di giuridicizzazione. Sotto un altro profilo, il diritto comparato è una sorta di occhiale demistificante, che possiamo inforcare per capire meglio perché certe soluzioni, certe strutture giuridiche possano o meno essere adottate nel nostro ordinamento nazionale. Sotto questi due profili e alla luce di queste due potenzialità del diritto comparato mi propongo di esaminare ‘argomento di oggi.
Evidentemente, nel’ordinamento giuridico italiano si avverte il bisogno di regolamentare i rapporti interpersonali di stampo familiare – volutamente mi esprimo in modo generico, per il momento – in maniera differente dal matrimonio. Dal mio punto di vista e in base alle mie ricerche, ciò è dimostrato da avvenimenti. Il primo è ‘esistenza di una giurisprudenza sempre più cospicua in tema di famiglia di fatto, una giurisprudenza che, però, non manca di incertezze. Ecco, allora, che dove ‘è giurisprudenza, dove i giudici sono chiamati ad intervenire, evidentemente ‘è domanda di diritto. Senza nulla togliere al valore del formante giurisprudenziale, che, pure, risolve tante situazioni concrete ai cittadini, ritengo che nel’ordinamento italiano su questa materia manchi ‘espressione del formante principale, per noi cittadini e giuristi dei paesi di civil law. In questa materia, cioè, non ‘è una legge scritta, non ‘è un istituto giuridico che, in maniera chiara, fornisca un punto di riferimento. ‘altro elemento dal quale risulta evidente ‘esigenza di uno strumento giuridico in qualche modo alternativo – vedremo, in seguito, in che misura – al matrimonio è dato dal’esistenza, sotto vari profili, di pressioni da parte di diversi gruppi di cittadini, sia da parte di quelli che non vogliono accedere al matrimonio per loro scelta, ma vogliono una tutela da parte del diritto e danno luogo a quella giurisprudenza cui abbiamo fatto riferimento, sia da parte di coloro che non possono accedere al matrimonio, perché è considerato uno strumento giuridico eterosessuale; mi riferisco, evidentemente, alle cosiddette coppie di fatto omosessuali.
Volendo rimanere fedele al ruolo che mi è stato assegnato, quello di comparatista, non intendo scendere in un esame dettagliato delle argomentazioni che nel nostro ordinamento possano essere addotte per opporci o meno alla introduzione di forme istituzionalizzate, di schemi legali alternativi al matrimonio. Mi limiterò, dunque, a tre profili principali: segnalare quali soluzioni siano state individuate negli altri ordinamenti, per rispondere al bisogno cui in precedenza ho fatto riferimento; individuare quali tendenze siano rintracciabili nelle soluzioni accolte in altri ordinamenti, quale main stream – per usare una espressione un p’ invalsa – sia presente adesso nella società occidentale; infine, fornire una rapida riflessione finale su quali potrebbero essere eventuali schemi legali alternativi al matrimonio accoglibili e sostenibili nel nostro ordinamento. Infatti, noi comparatisti sappiamo che qualsiasi trapianto di norme giuridiche può dare luogo ad un rigetto e, quindi, un trapianto legale deve essere bene analizzato e riflettuto.
Le diverse soluzioni costituiscono il primo aspetto della mia relazione. Sotto questo profilo, svolgerò ciò che classicamente è considerato come il primo livello della comparazione, ossia ‘individuazione di quali siano le differenze presenti tra ‘ordinamento giuridico italiano e i principali ordinamenti giuridici della tradizione occidentale. Devo effettuare una precisazione in proposito: limiterò la mia attenzione, fondamentalmente, al formante legislativo, non perché le soluzioni giurisprudenziali siano poco interessati – anzi, spesso la giurisprudenza rappresenta ‘avanguardia sotto il profilo giuridico – ma perché considero il formante legislativo come la migliore e, se mi consentite, forse la più semplice evidenza di come ‘Italia, su questa specifica materia, ormai, sia in una posizione di pressoché totale isolamento.
Infatti, il primo dato è che in pressoché tutti i paesi della tradizione giuridica occidentale esistono schemi legali alternativi al matrimonio. Per quale motivo in Italia non accade la stessa cosa?
La prima ragione è sicuramente data dalla necessità di fornire una tutela a chi non può accedere al matrimonio, segnatamente agli omosessuali. Non è un caso che tutti i nuovi schemi familiari alternativi al matrimonio sono accessibili alle coppie omosessuali e non è neppure un caso il fatto che alcuni di questi schemi familiari sono riservati soltanto agli omosessuali, come in Scandinavia, in Germania e in Inghilterra.
Per le coppie omosessuali la possibilità di disporre di uno schema legale costituisce un importante miglioramento della propria condizione, sia sotto il profilo della tutela giuridica, perché si superano tutte le carenze e le difficoltà date dalla mera supplenza giurisprudenziale, sia sotto il profilo del’accettazione sociale; questo in ragione del valore anche simbolico che nei paesi occidentali si attribuisce al diritto, che non solo riflette i costumi ma li influenza anche.
Avere la possibilità di accedere ad uno schema legale che riconosce la coppia omosessuale consente di avere una maggiore accettazione sociale; tale profilo interessa non soltanto le coppie omosessuali ma anche le coppie eterosessuali che convivono. È evidente che se vi fosse un riconoscimento legislativo della famiglia di fatto, questa sarebbe maggiormente accettata dalla società, una famiglia di fatto che appena quaran’anni fa era considerato immorale avere e che soltanto la recente evoluzione ha portato in un limbo neutro sotto il profilo morale.
La terza ragione per la grande diffusione di questi schemi legali nel resto del mondo è la possibilità di superare e colmare le incertezze e le difficoltà della giurisprudenza. Esistono in Italia delle sentenze che già equiparano le famiglie di fatto alle famiglie matrimoniali, ma quando la famiglia di fatto può essere equiparata alla famiglia legittima? Qual è la durata di questa convivenza? Quali sono i requisiti che un giudice deve accertare per riconoscere alcuni diritti anche al convivente di fatto? Ci sono notevoli difficoltà da parte della giurisprudenza, in assenza di una qualunque minima indicazione legislativa.
Se dunque esistono ragioni per prevedere in Italia uno strumento alternativo al matrimonio, voglio adesso farvi conoscere quanto isolata sia la posizione del’Italia su questo fronte.
Il primo paese in assoluto su scala mondiale che ha introdotto una nuova forma di riconoscimento giuridico delle relazioni interpersonali di coppia alternative al matrimonio è stata la Danimarca ne 1989, con una legge sulla cosiddetta partnership registrata. Questa è stata seguita nel 1993 dalla Norvegia, nel 1994 dalla Svezia e nel 1996 dal’Islanda. Successivamente a questa ondata di paesi scandinavi, anche gli altri paesi europei si sono adeguati.
Nel 1997 ‘Olanda ha introdotto una legge sulla partnership registrata, il Belgio nel 1998 ha introdotto la coabitazione legale, la Francia nel 1999 ha introdotto il cosiddetto pacte civil de solidarité e ha introdotto nel code civil la definizione di concubinato. In Spagna le varie autorità territoriali locali hanno introdotto schemi alternativi di matrimonio: la Catalogna, ‘Aragona, la Navarra, le Baleari, la Valencia, la comunità di Madrid, le Asturie e i Paesi baschi hanno tutte introdotto delle norme.
Di recente, in Germania, nel 2001 una legge ha introdotto un istituto alternativo al matrimonio; tale legge è stata integrata il 26 novembre 2004, consentendo al partner di godere della pensione di reversibilità del’altra parte e di adottarne il figlio.

Nel 2001 il Portogallo ha approvato una legge sulle unioni di fatto. La Finlandia nel 2001 ha introdotto una legge sulle convivenze registrate; il Lussemburgo nel 2004 ha approvato una legge sui partenariat, la Svizzera nel 2004 ha approvato una legge analoga.
Il 17 novembre del 2004 ‘Inghilterra ha approvato il Civil partnership bill, che entrerà in vigore il prossimo autunno. Un discorso a parte meriterebbe ‘apertura di tali schemi tra persone dello stesso sesso, ma mi rendo conto che questo non è argomento di questa audizione e quindi lo accantono; vi basti sapere che ‘Olanda, il Belgio e da poco la Spagna ammettono il matrimonio tra persone dello stesso sesso.
In Europa ‘Italia è ormai in una posizione che la vede accompagnata soltanto da Irlanda, Austria e Grecia. Ciò non vuol dire che ‘Italia debba necessariamente adeguarsi ma comunque ciò ci deve spingere a riflettere. La situazione è tale non solo in Europa ma anche in altre parti del mondo. In Canada tutte le province canadesi equiparano le coppie conviventi anche omosessuali alle coppie sposate.
Negli Stati Uniti avete sicuramente seguito il vasto dibattito che ‘è stato in occasione delle elezioni politiche americane sul’ammissibilità o meno del matrimonio tra omosessuali. Questo dibattito è la punta del’iceberg, perché è stato travisato un concetto fondamentale. Negli Stati Uniti ‘America ciascuno Stato è autonomo sotto il profilo del diritto familiare: il Vermount, le Hawaii e il Massachusetts riconoscono forme di matrimonio
tra omosessuali. La grande bagarre ‘è stata poiché alcuni Stati vogliono vedersi riconosciuto il diritto di non dare efficacia a queste forme alternative al matrimonio nel loro ordinamento. Su questo si è espresso anche il legislatore federale. Anche negli Stati Uniti ci sono Stati che ammettono forme giuridiche familiari alternative al matrimonio.
La posizione isolata del’Italia in Europa porterà presto ad alcuni problemi, che in realtà già stanno emergendo. Come prima ricordava il presidente, ‘Italia fa parte, insieme agli altri paesi membri del’Unione europea, di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia e con ‘adesione ai principi fondamentali dei trattati di Roma e alla Costituzione recentemente approvata, i cittadini comunitari hanno un diritto alla libera circolazione su tutto il territorio europeo, cui si aggiunge un diritto al ricongiungimento familiare. Ebbene, cosa faranno i nostri giudici o i nostri amministratori quando una coppia di un pacte francese, che si trasferisce in Italia, o una coppia di un matrimonio omosessuale olandese, residente in Italia, chiederanno il riconoscimento?
È evidente che ‘Unione europea ci spingerà a riconoscere queste forme giuridiche familiari con i loro diritti, perché facciamo parte di una Unione che richiede tale riconoscimento e ‘Italia non può ergersi a decisore della moralità o eticità di scelte prese in altri ordinamenti. Quindi, se altri ordinamenti richiamano e riconoscono certe forme alternative al matrimonio, anche noi dovremo fornire qualche tipo di riconoscimento. Si tratta di problemi che incontreremo molto presto.
Fatta una rapida carrellata su quanti paesi riconoscano forme legali alternative al matrimonio, intendo ora tracciare alcune linee generali di tendenza presenti in tutti i paesi occidentali. Una prima linea generale è sicuramente ‘apertura della famiglia, dello schema giuridico familiare alle coppie omosessuali. ‘omosessualità non è più antitetica al’idea di famiglia e gli omosessuali nella percezione occidentale possono ormai "fare famiglia". Non scendo nel’analisi di questo aspetto, non essendo u’audizione sui diritti degli omosessuali, ma intendo esporre un dato di fatto, la nuova concezione della famiglia. Aggiungo una notazione: nuovi schemi familiari non interessano soltanto gli omosessuali, ma spesso molto di più gli eterosessuali. Dal 1997, in Olanda è possibile istituire partnership registrate per persone sia dello stesso sesso sia di sesso differente. Ci si sarebbe potuti attendere che esse fossero utilizzate soprattutto dalle coppie omosessuali che non potevano accedere al matrimonio in Olanda, almeno fino al 2002. In realtà, il dato è stato sconvolgente: tra il 1998 ed il 2002 le coppie eterosessuali che hanno registrato partnership sono state il doppio di quelle omosessuali, 14 mila contro quasi 7 mila, a dimostrazione di quanto detto prima, cioè che il bisogno di schema familiare è avvertito trasversalmente sia dalle coppie omosessuali sia da quelle eterosessuali.
La seconda linea generale di tendenza è la forma giuridica data ai nuovi schemi familiari. I giuristi che si occupano di schemi familiari distinguono due tipologie principali, le cosiddette forme giuridiche presuntive e quelle opzionali. In queste ultime il riconoscimento della famiglia alternativa al matrimonio richiede che i partner pubblicizzino questa loro necessità, da cui discende la presenza di una registrazione di questa forma familiare in un registro, presso un notaio, nelle forme più disparate; i partner scelgono, opzionano questa possibilità e la rendono pubblica. Questa è sicuramente la soluzione accolta nella maggior parte degli ordinamenti, ossia ‘opzionalità dello schema giuridico familiare alternativo. Altri ordinamenti, invece, come in Portogallo o in alcune soluzioni locali spagnole, hanno scelto la cosiddetta forma giuridica presuntiva, per cui non vi è necessità di dare pubblicità alla sussistenza di questa relazione – chiamiamola ancora una volta – di fatto, ma è il diritto che in presenza di certi requisiti, come ad esempio la coabitazione per un certo numero di anni, attribuisce ai partner della coppia diritti reciproci e nei confronti dello Stato. ‘esempio tipico è quello del Portogallo,
dove vi sono unioni di fatto in cui è sufficiente una coabitazione per due anni, passati i quali se la coppia si scioglie per motivi interni i partner hanno reciprocamente alcuni diritti patrimoniali uno verso ‘altro. Perché scegliere la forma giuridica presuntiva invece di quella opzionale? Ciò è stato realizzato dagli ordinamenti che avevano maggior timore di non tutelare il partner debole della coppia, dato che nella forma giuridica opzionale bisogna comunque addivenire ad una registrazione consensuale, mentre in quella presuntiva è sufficiente una situazione di fatto, cioè il fare coppia.
La terza linea generale di tendenza riguarda i requisiti di costituzione. È evidente che in tutti i paesi occidentali per formare una famiglia alternativa al matrimonio sia necessario uno stato libero. Ciò che più mi interessa portare alla vostra attenzione è che non sempre è richiesta ‘esistenza di una relazione affettivo-sessuale o meglio ‘esistenza di una relazione affettivo-sessuale distingue le forme giuridiche alternative al matrimonio da quelle che invece sono considerate unioni di mutuo soccorso, che possono sussistere tra il partner anziano e quello più giovane o tra gli studenti. Tutte, invece, le forme giuridiche veramente alternative al matrimonio richiedono che sussista tra i due partner un legame affettivo-sessuale. A volte tale legame deve essere richiesto direttamente (ad esempio, in Catalogna la legge prevede che la coppia sia stabile e vi sia un rapporto di affettività analogo al coniugio); a volte…

PRESIDENTE. Spesso nel rapporto di coniugio non vi è rapporto sessuale.

RAFFAELE TORINO, Docente di diritto comparato presso ‘Università degli studi Roma Tre. A volte la richiesta di affettività è indiretta. Nel PACS francese, ad esempio, non è richiesta dalla legge ‘esistenza di questa affettività; tuttavia il Conseil constitutionnel francese che ha esaminato il PACS prima della sua approvazione ha autorizzato questo strumento giuridico sottolineando che nella coppia vi debba essere una veritable vie de couple, intendendo ciò che i francesi chiamano una communion de lit et pas seulement de toit, comunione di letto e non soltanto di tetto. In Norvegia la celebrazione della registrazione della partnership riporta, nella formula, le parole amore e fedeltà.
Un altro aspetto da considerare, sempre sotto il profilo della costituzione – aspetto che forse può interessare particolarmente – è che inizialmente, almeno in Danimarca ed in Olanda, queste forme giuridiche alternative al matrimonio necessitavano che i partner avessero la cittadinanza nazionale, in quanto si voleva evitare il cosiddetto turismo para matrimoniale. Questi paesi precursori, essendo i primi a riconoscere forme alternative al matrimonio, volevano evitare che vi fosse una corsa di etero ed omosessuali al loro istituto giuridico. Questa linea di tendenza, peraltro, oggi sembra ampiamente superata, in quanto la maggior parte dei paesi ritengono sufficiente la residenza. Il motivo del superamento della richiesta della cittadinanza nazionale risiede nel fatto che ormai quasi tutti i paesi riconoscono forme alternative al matrimonio e dunque non vi è più il timore della corsa a prendere la cittadinanza in un paese od in un altro per sposarsi ed avere una forma giuridica alternativa.
Una quarta linea generale di tendenza riguarda il regime giuridico patrimoniale tra i due partner della nuova forma di famiglia. Ci sono due schemi principali. In Scandinavia ed in Olanda si è scelto quale regime patrimoniale un semplice rinvio alla disciplina matrimoniale. La partnership registrata ha una disciplina patrimoniale assolutamente analoga ed identica – vi è un semplice rinvio – alla disciplina patrimoniale del matrimonio. Aggiungo una piccola notazione: ciò avviene, probabilmente, perché in questi paesi lo strumento è nato innanzitutto per venire incontro alle esigenze degli omosessuali ed era quindi considerato come una forma – mi dispiace usare questo termine – di matrimonio di serie B.
La maggior parte dei paesi – Francia, Germania, Spagna e Gran Bretagna –
hanno scelto, invece, una soluzione differente, hanno scelto, cioè, di dettare una dettagliata disciplina del regime giuridico patrimoniale fra i due partner, molto spesso lasciando ad essi ampia autonomia sotto questo profilo. Sono rimasto impressionato quando ho esaminato la disciplina contenuta nel Civil partnership bill inglese, approvato il 17 novembre. Si tratta di un volume di 300 pagine, redatto dagli inglesi con estrema minuzia e dettagliando tutte le possibili ipotesi. Ciò fa parte della tecnica legislativa inglese; tuttavia, tale scelta evidenzia una maggiore attenzione alla questione specifica.
Oltre ai rapporti patrimoniali, evidentemente, tra i due partner della nuova famiglia esistono anche i rapporti personali, che sono, forse, i più delicati. Non è un caso se, spesso, gli ordinamenti ignorano quale tipo di rapporti personali debbano esistere. Solo ‘ordinamento olandese chiaramente afferma che nella partnership registrata sussiste per i partner il reciproco dovere di fedeltà, aiuto e assistenza. Il silenzio degli altri ordinamenti lascia intendere, evidentemente, il massimo rispetto della libertà personale.
Passiamo ora ad uno dei temi, forse, più scottanti tra quelli legati al riconoscimento di schemi familiari alternativi al matrimonio, cioè il rapporto di filiazione. Si tratta di una questione assai delicata, specie rispetto agli schemi aperti alle coppie omosessuali. Il discorso ci condurrebbe molto lontano e non è questa la sede per svolgerlo; sarebbe necessaria u’altra audizione su questo tema. Fatto sta che, solitamente, i primi esperimenti di schemi familiari alternativi al matrimonio, quelli danese, olandese e dei paesi scandinavi, non contenevano disposizioni in materia di rapporto di filiazione nella partnership registrata. Però, oggi la tendenza si è invertita: gli ordinamenti della Germania, con la modifica appena ricordata, del’Olanda e della Danimarca, con alcune modifiche, e anche la recente disciplina inglese della partnership, tutti prevedono, ormai, la possibilità per i partner, anche se non sono uniti in matrimonio, di ricorrere al’istituto del’adozione sia di un bambino esterno alla coppia, terzo rispetto alla coppia, sia del bambino del’altro partner. Sotto il primo profilo, è evidente la assimilazione di una coppia che abbia scelto uno schema familiare alternativo ad una coppia sposata: se ques’ultima può rappresentare un nucleo idoneo a crescere un bambino, può rappresentarlo anche una coppia non sposata che conduca una partnership registrata da un certo numero di anni. Quanto al’adozione del figlio del’altro partner, con tale previsione si intende dare tutela proprio al bambino. Immaginate, infatti, che cosa potrebbe accadere se al’interno di un nucleo familiare composto da due eterosessuali o, anche, due omosessuali (ad esempio, due donne) ci fosse un bambino, abituato a convivere con i due partner da un lungo periodo, e se al’ottavo anno di età di ques’ultimo uno dei partner, il suo genitore naturale, morisse. Che cosa si dovrebbe fare? Si dovrebbe mettere questo bambino in stato di adottabilità, strappandolo al’altro partner che, pure, ha svolto un ruolo genitoriale? Il timore di questa lesione del’interesse del minore ha spinto Olanda, Germania, Inghilterra e paesi scandinavi a riconoscere la possibilità del’esistenza di rapporti genitoriali anche in assenza di matrimonio e in presenza di questi nuovi schemi familiari.
Come ultimo profilo, desidero esaminare quello dello scioglimento del rapporto, cioè lo scioglimento di questi schemi familiari alternativi al matrimonio. Da questo punto di vista ‘è u’assoluta valorizzazione della volontà delle parti. Basta la semplice dichiarazione di volontà di uno dei partner per sciogliere, ad esempio, il PACS francese o la partnership registrata danese. ‘ordinamento della Germania è un p’ più rigoroso: occorre aspettare da uno a tre anni prima dello scioglimento poiché si vuole che i partner riflettano con una certa attenzione, come accade nel matrimonio. Noto che in alcuni ordinamenti – quelli di Belgio, Francia, Portogallo e Spagna – la semplice stipulazione di un matrimonio automaticamente fa sciogliere lo schema familiare alternativo mentre non è vero il contrario, poiché ‘instaurazione di uno schema familiare alternativo non scioglie il matrimonio. A voi la riflessione su questo tema.
Sotto il profilo patrimoniale, in caso di scioglimento del rapporto tutti gli ordinamenti, o quasi tutti, dettano una disciplinato ad hoc a tutela del partner debole. Soltanto ‘ordinamento francese rimette anche i rapporti patrimoniali conseguenti allo scioglimento del rapporto al’autonomia delle parti, sebbene vi sia un certo intervento del giudice (ma non è il caso di scendere in particolari).
In conclusione, è possibile avere schemi legali alternativi al matrimonio in Italia? Come ho affermato in precedenza, non spetta a me rispondere su questa possibilità. È indubbio che in Italia ci sia una certa ostilità, o almeno ci sia stata fino ad ora, verso questi schemi legali familiari alternativi. Mi limito a rilevare, innanzitutto, che, se possiamo trarre un insegnamento dagli altri ordinamenti, ormai, siamo isolati. Mi piace in proposito richiamare la frase di un giurista tedesco, Jhering, del 1855, che affermava che nessuno si preoccuperà di cercare lontano ciò di cui dispone altrettanto bene a casa propria ma soltanto uno stolto rifiuterà la chinina perché non è cresciuta nel proprio orto. Il secondo aspetto che voglio evidenziare è che in tutti gli ordinamenti giuridici in cui sono stati introdotti questi schemi legali alternativi al matrimonio non vi sono stati sconvolgimenti sotto il profilo ordinamentale, anzi.
Se è vero che potrebbero essere introdotti in Italia uno o più schemi giuridici alternativi al matrimonio, la mia riflessione finale vuole concentrarsi su quali potrebbero essere questi schemi, necessari o utili per ricondurre ‘Italia nel main stream dei paesi occidentali. Quello che ho immaginato – consideratela come una mia riflessione, una ipotesi della mia ricerca – è la possibilità di avere, contemporaneamente, sia un sistema opzionale, sia un sistema presuntivo. Ricordo quanto ho affermato al’inizio: in un sistema opzionale, sulla base di un accordo tra le parti, due soggetti possono scegliere di istituire una partnership nella quale è lasciata ampia autonomia su alcuni aspetti, quali i rapporti patrimoniali e i diritti successori, permanendo, tuttavia, un nucleo duro, costituito da un contenuto minimo inderogabile e, cioè, il reciproco aiuto materiale, non del tutto sopprimibile, il diritto agli alimenti, il diritto al’abitazione comune ed una solidarietà verso i terzi per le obbligazioni assunte nel’interesse comune, perché anche i terzi hanno necessità di essere tutelati, evidentemente. Questo sarebbe il sistema, o schema, opzionale (dategli pure la definizione che ritenete opportuna), al quale aggiungerei uno schema presuntivo minimale, cioè uno schema ridotto veramente al minimo – limitato, a mio avviso, al diritto agli alimenti e al diritto al’abitazione comune – per tutelare quei soggetti, quei partner deboli che non riescono nemmeno ad accedere ad una condivisa partnership registrata.
Con questo ho concluso e resto a disposizione per qualsiasi integrazione.

PRESIDENTE. Ringrazio davvero molto il professor Torino, il cui apporto ci è stato utilissimo. Noto che lei ha recato con sé un documento che consiste, se non in una relazione, in appunti ragionati; le chiederei, se fosse possibile, di consegnare a questa Commissione un testo scritto, perché molti passaggi, evidentemente, richiedono di essere riletti.
Invito i componenti questa Commissione a formulare le loro domande.

CIRO FALANGA. Ho provato particolare interesse sul tema dello scioglimento e vorrei una precisazione. Lei, professore, ha riferito che in taluni paesi lo scioglimento dello schema giuridico può avvenire semplicemente mediante il contrarre un eventuale altro matrimonio. Naturalmente – immagino – ciò avviene in quei paesi dove non vi è la necessità di uno schema scritto, altrimenti si metterebbe in discussione la natura giuridica dello schema. Penso che anche lei, come me, si sia domandato quale natura giuridica rivesta lo schema: se essa è contrattuale, è chiaro che se si stipula con un atto scritto, lo scioglimento non può che avvenire con manifestazione di volontà espressa e dichiarata in maniera scritta. Sulla base dello studio delle situazioni degli altri paesi, lei può fornire chiarimenti e suggerimenti anche sulla natura giuridica da fornire ad un eventuale schema.
Per quanto riguarda, invece, la giurisprudenza italiana, anche se sono poco informato in merito agli ultimi orientamenti, non abbiamo precedenti in tema di diritti dei partner di una famiglia cosiddetta di fatto, ancora non riconosciuta nel nostro paese. Esiste qualche precedente giurisprudenziale che in maniera indiretta (vorrei da lei una conferma) afferma il diritto del partner di una famiglia di fatto. Ad esempio, in tema di risarcimento danni vi è stata qualche sporadica sentenza che ha riconosciuto tale risarcimento, ma – ripeto – in maniera del tutto indiretta, come nel danno doloris con cui si è sostenuto che chi conviveva da venti anni con il soggetto morto in un incidente stradale avesse diritto al risarcimento dal soggetto colpevole del fatto. Mancano invece orientamenti giurisprudenziali precisi e puntuali volti ad affermare il diritto del partner della famiglia di fatto.

GIULIANO PISAPIA. Innanzitutto ringrazio il professore per la sua esposizione estremamente lucida e chiara. Vorrei in primo luogo sapere se, rispetto ai paesi in cui esistono tali istituti, vi siano stati referendum abrogativi o consultivi, per capire quale tipo di adesione abbia avuto una determinata scelta del legislatore rispetto ai possibili utenti di queste forme di unione civile.
Inoltre, per quanto è a sua conoscenza, la maggior parte delle modifiche sono inserite nel codice civile o si tratta di leggi ad hoc? Le chiedo anche una media minima (non pretendo che si rifaccia a tutti i casi da lei considerati) del tempo necessario per ottenere il riconoscimento del’unione, naturalmente non considerando i paesi in cui essa è affidata alla presunzione. Penso che alcuni Stati richiedano almeno due anni ed altri un tempo decisamente maggiore; sarebbe anche sufficiente sapere il tempo minimo e quello massimo richiesto.
Infine, ho sottolineato una sua frase significativa secondo cui non vi sono stati sconvolgimenti nel sistema giuridico e ritengo si tratti di un dato estremamente positivo. Per quanto è a sua conoscenza la cessazione non consensuale di queste unioni ha comportato spesso contenziosi di carattere civile? Sappiamo cosa comporti la separazione o lo scioglimento del matrimonio e vorrei capire se quella che stiamo considerando possa essere ritenuta una situazione più semplice.

FRANCO GRILLINI. In primo luogo mi associo ai complimenti rivolti al professore Torino per la sua chiarezza e soprattutto per la completezza del’esposizione. Intervengo su una questione che ha appena considerato ‘onorevole Pisapia, cioè gli effetti sociali della legislazione in Europa, dato che uno degli elementi, probabilmente il principale, di polemica in Italia riguarda ‘introduzione nel nostro ordinamento di questa nuova legislazione, che non definirei alternativa al matrimonio ma aggiuntiva rispetto al diritto di famiglia attuale. La mia idea è quella di una pluralità di istituti giuridici che dia alla persona una reale possibilità di scelta su come sistemare nel modo migliore le proprie relazioni affettive, personali, di mutuo soccorso e così via. Sarebbe, quindi, interessante sapere qualcosa di più sugli effetti della legislazione anche perché parliamo di leggi che sono in vigore da 15 anni, come nel caso della Danimarca, o comunque da diverso tempo, come per ‘area scandinava e la Francia.
In Italia si polemizza sugli effetti dirompenti che la legislazione potrebbe comportare (è stato persino detto che essa minerebbe alle fondamenta ‘esistenza stessa dello Stato, espressione iperbolica ascoltata in diverse occasioni), mentre lei stesso ha affermato che nulla di tutto ciò è successo nei paesi considerati. Sarebbe anche interessante capire cosa sia realmente accaduto. Mi risulta che vi sia stata una condivisione da parte del’opinione pubblica molto forte; per rispondere alla domanda posta dal’onorevole Pisapia riguardante eventuali referendum, mi sembra che soltanto la Svizzera realizzerà un referendum popolare su questo tema e sarà interessante vedere se il risultato del referendum coinciderà con quanto riportato dai sondaggi, i quali considerano che la percentuale di popolazione ‘accordo con questa legislazione, nei paesi dove è stata approvata, è pari al 70 per cento. La condivisione popolare è stato uno dei principali motivi che hanno indotto il premier spagnolo a varare tale legislazione.
Un altro aspetto è quello riguardante gli effetti sociali, oltre che giuridici, della legislazione. Mi risulta che sul piano sociale vi sia stato un notevole utilizzo di queste forme legislative e che ciò non abbia inciso sul nucleo familiare tradizionale. La legislazione, che definirei aggiuntiva, viene presentata come un pericolo per il matrimonio tradizionale.
Mi risulta che in alcuni paesi, come la Svezia e la Francia, dopo ‘introduzione di queste normative i matrimoni tradizionali addirittura sono aumentati ed è aumentata persino la natalità. Naturalmente, non voglio individuarvi un rapporto di causa ed effetto, è probabile che ci siano alcuni elementi di casualità. Sta di fatto che questi dati numerici e matematici – la matematica, come si suol dire, non è u’opinione – smentiscono una presunta contraddittorietà in negativo tra gli istituti giuridici aggiuntivi ed il matrimonio tradizionale. Mi interesserebbe sapere quale sia la sua opinione al riguardo.

MARCELLA LUCIDI. Ringrazio molto il professor Torino per la sua illustrazione completa e, come già espresso da altri colleghi, anche molto comprensibile e logica. È ovvio che, in virtù del compito che siamo chiamati a svolgere, mi interessi maggiormente la terza parte della sua riflessione e, cioè, come si possa immaginare de iure condendo una compatibilità tra le tendenze europee in atto ed il nostro sistema giuridico. È chiaro che da questo discende una preoccupazione che, come lei saprà, è ben presente nel nostro Parlamento ed è stata espressa in più di una occasione con riferimento ad altri provvedimenti (cito, ad esempio, la legge sulle adozioni oppure la legge sulla fecondazione assistita), cioè quella di tenere ben distinto ‘intervento normativo sulle unioni di fatto dalla disciplina del matrimonio.
Certamente, il discorso sarebbe lunghissimo ma sarebbe interessante capire come il nodo si sia posto al’interno degli altri paesi. Lei ci ha dato la soluzione ma non so, ad esempio, quale sia la disciplina. So che cosa afferma la carta di Nizza, che ha spostato completamente ‘asse rispetto alla Costituzione italiana. Tuttavia, con questa Costituzione noi dobbiamo fare i conti e questa Costituzione rappresenta anche ampia parte di un pensiero che è presente nel Parlamento e che chiede al legislatore di intervenire, tenendo ben presente la necessità di distinguere. Siccome questo problema me lo pongo, per un verso sono rassicurata quando ragioniamo su di un profilo opzionale quale soluzione offerta alla coppia, cioè su di uno strumento pattizio che consente di non stare in un sistema nel quale dal’unione di fatto discendono alcune conseguenze giuridiche ipso iure.
Mi piace anche ‘idea di una tutela presuntiva minima. A mio parere, la giustificazione sta nel fatto che, comunque, noi dobbiamo assicurare una tutela alla parte più debole al’interno del rapporto. Il legislatore può tranquillamente assumere questo compito, a mio avviso. Il problema, però, è dove stabilire il confine e dove questo confine debba diventare ben chiaro. Tale è il quesito che mi pongo. Ad esempio, in tema di status si può delineare un confine? Negli altri ordinamenti è stato stabilito un confine in proposito? Potrebbe essere interessante un approfondimento perché, mentre dal matrimonio discendono status per i coniugi, dalle unioni di fatto noi non facciamo discendere alcuno status personale per i partner. Mi domando se in altri ordinamenti questo status ci sia e le chiedo di illustrarci brevemente in che modo sia stato definito questo confine.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PIER PAOLO CENTO

BEATRICE MARIA MAGNOLFI. Ringrazio anc’io il professor Torino. Credo che se audizioni come quella odierna, che delineano con tanto nitore ‘isolamento del’Italia in queste materie, si svolgessero sempre (mi riferisco, soprattutto, alla vicenda relativa alla disciplina della procreazione assistita) saremmo in condizione di compiere scelte che, anziché rafforzare tale isolamento, lo ridurrebbero.
In assenza di norme statali su questo problema sociale enormemente sentito, alcune regioni hanno legiferato autonomamente: è il caso della Toscana alla quale, per fortuna, una sentenza della Corte costituzionale ha riconosciuto questo diritto. Tuttavia, sul piano dei diritti e della uguaglianza dei diritti fra tutti i cittadini tutto ciò che cosa può produrre? Non ci troveremo un paese come una pezza a colori, in cui queste forme di turismo, anziché su scala europea, si verificano su scala nazionale? Non si lede in tal modo il principio fondamentale della condizioni di eguaglianza fra i cittadini? Che conseguenze può portare questo? Si faceva riferimento agli Stati americani, alcuni dei quali non vogliono riconoscere questa normativa di carattere generale, e al’autonomia delle realtà amministrative della Spagna, che hanno dettato regole ciascuna per proprio conto e, immagino, diverse ‘una dal’altra. Credo che questo sia uno dei motivi per cui dobbiamo dotarci di una legislazione nazionale. Infatti, quando i problemi sono maturi – evidentemente questo lo è – le amministrazioni più sensibili finiscono per cercare di darvi una risposta autonoma, creando, però, in qualche modo, disparità fra i cittadini che, a mio parere, possono comportare anche alcune conseguenze.

PRESIDENTE. Ringrazio i colleghi intervenuti e invito il professor Torino ad una replica.

RAFFAELE TORINO, Docente di diritto comparato presso ‘Università degli studi Roma Tre. Ho preso nota delle vostre domande e cercherò di rispondere con un certo ordine. Sono tutti quesiti molto interessanti, che richiederebbero molto tempo; evidentemente, mi limiterò a risposte sintetiche.
È verissimo, onorevole Falanga, che ‘è una chiara contraddizione tra ammettere la partnership registrata e fare in modo che il matrimonio possa sciogliere automaticamente tale partnership. Questa contraddizione è evidente soprattutto in quegli ordinamenti opzionali puri, come quello della Francia, in cui il PACS, per il semplice fatto del’esistenza di un matrimonio, è sciolto. Questa contraddizione è stata sottolineata da più autori sensibili al problema, anche perché, secondo una opinione unanime della dottrina e del Conseil constitutionnel francese, il PACS è un contratto che, quindi, può essere sciolto solo per unanime consenso delle parti o per legge. ‘unanime consenso delle parti, però, in questo caso è superato dalla esistenza di un matrimonio contratto da uno dei due partner perché si è riconosciuto – per così dire, purtroppo – ancora un ruolo centrale al matrimonio come schema familiare. La Francia, in questo modo, ha tenuto a centralizzare il matrimonio rispetto alle altre forme alternative. Mi spiace di dover essere molto sintetico in proposito ma il tempo a disposizione è scarso.
La giurisprudenza italiana – come lei ricordava – è scarsissima e non ‘è giurisprudenza che riconosca queste unioni in maniera chiara e precisa; ci sono solo riconoscimenti sporadici e limitati. Di qui, la mia sottolineatura del fatto che occorre che il legislatore non faccia compiere più alla giurisprudenza quel ruolo di supplenza evidentemente emergenziale e non adeguato ad un paese civile che rifletta sui diritti dei propri cittadini. Il legislatore deve intervenire su questo punto e non può lasciare soli i giudici.
Rispondendo al’onorevole Pisapia, ricordo che, fino ad oggi, non sono stati svolti referendum nei paesi che hanno introdotto questi schemi familiari aggiuntivi e alternativi. ‘unico referendum programmato è quello della Svizzera, cui ha fatto riferimento ‘onorevole Grillini, in precedenza. Il mancato svolgimento di referendum significa che questi istituti, ormai, sono accettati nella società. Vi porto ‘esempio del Pacte civil de solidarité francese, approvato in una circostanza che è stata ribattezzata come la notte del PACS, cioè in un momento in cui la partecipazione alla seduta del Parlamento francese era particolarmente scarsa. Tale circostanza ha consentito al’opposizione di far approvare questo patto il quale, tuttavia, per la approvazione definitiva, doveva passare al’esame del Conseil constitutionnel. Si è scatenata una vera e attenta riflessione politica, al cui esito il PACS è stato condiviso molto più di quanto non lo fosse quella notte, a dimostrazione di quale sia ‘accoglienza di questi nuovi istituti. Nessun paese, a quanto mi risulta, è tornato indietro o ha ridiscusso istituti giuridici alternativi o aggiuntivi al matrimonio.
Non ‘è una media statistica per rispondere alla domanda se questi istituti siano inseriti nei codici civili o in leggi ad hoc. ‘Inghilterra ha approvato una legge ad hoc; in Francia si è fatto lo stesso riguardo al PACS ma il concubinato è stato regolamentato dal codice civile; alcune comunità spagnole, ma non tutte, li hanno inseriti in leggi organiche in materia di famiglia. Non ‘è una statistica significativa da questo punto di vista.
Per quanto riguarda la durata della coabitazione affinché si possa accedere agli schemi presuntivi, rispondo che nei paesi che hanno adottato uno schema presuntivo, come il Portogallo e alcune comunità spagnole, è di due o tre anni: non meno ma neanche di più.
Queste nuove forme giuridiche familiari hanno dato luogo a un minor numero di contenziosi. Le statistiche, in alcuni casi più ampie e in altri fondate su di una base meno significativa, mostrano che nel’ambito di queste forme giuridiche alternative e aggiuntive si litiga di meno rispetto al matrimonio, forse perché chi compie questa scelta lo fa in maniera ancora più sofferta, condivisa, partecipata e sentita. Nel matrimonio vi è una componente di abitudinarietà.
‘onorevole Grillini domandava quali siano gli effetti sociali di queste legislazioni. Pur non essendo un sociologo, ho letto molto sul’argomento e posso affermare, innanzitutto, che in tutti gli altri paesi ‘è una maggiore riflessione su questo argomento, sotto il profilo sociologico e psicologico. In Italia, invece, questa riflessione scientifica e culturale manca o non è sufficientemente pubblicizzata. Fatto sta che negli altri paesi non ci sono sconvolgimenti sociali e questi schemi sono visti come qualcosa in più che si aggiunge: ove non si possa o non si voglia accedere al matrimonio, si hanno a disposizione uno o più tipi di schemi alternativi che si possono adattare in autonomia. La società li ha accolti molto bene.
‘onorevole Grillini faceva riferimento anche alla pluralità di schemi aggiuntivi al matrimonio. Per fornirvi un dato, ricordo che in Canada, dove questi schemi sono molto diffusi, due anni fa è stata effettuata una ricerca molto approfondita da parte del Governo e delle università canadesi. Di fronte al’esistenza di molti altri schemi, la ricerca si proponeva di verificare se il matrimonio fosse ancora necessario o se dovesse essere abolito. In estrema sintesi, il risultato è stato che il matrimonio ha un ruolo fondamentale nella società canadese e, quindi, non può essere abolito. Anzi, le persone consultate durante le indagini statistiche hanno affermato che non soltanto non vogliono che il matrimonio sia abolito ma ritengono opportuno disporre di un maggior numero di schemi e della possibilità di accedere a tante possibili soluzioni diverse.
‘onorevole Lucidi chiedeva dove possa essere stabilito un confine che ci aiuti a stabilire quando lo schema è opzionale e quando è presuntivo. Gli univoci dati di cui disponiamo sugli schemi presuntivi provengono dal Portogallo e da alcune comunità spagnole, gli unici che hanno scelto tale schema. Tutti gli altri, scelgono lo schema opzionale e una ampia autonomia. In Portogallo, per dimostrare ‘esistenza di un nucleo familiare, sono ammessi tutti i mezzi di prova a disposizione e lo stesso avviene negli ordinamenti spagnoli. In altri termini, uno dei partner può portare qualsiasi prova, dagli scontrini fiscali ai testimoni e ai contratti di lavoro, per dimostrare che con un altro soggetto è stato costituito un nucleo familiare. Evidentemente, ciò conduce ad un rinvio alla giurisprudenza che, tuttavia, su questi argomenti non è molta perché, effettivamente, in queste forme alternative o aggiuntive al matrimonio si litiga poco, per il momento.
‘onorevole Magnolfi ricordava come la Toscana abbia compiuto una scelta diversamente da altre regioni e come questo possa portare a un paese a colori, a un paese arlecchinesco, sotto questo profilo. È vero, esiste ‘esempio spagnolo. In Spagna, ha iniziato la Catalogna e poi si è verificata una rincorsa da parte di tutte le altre comunità spagnole rispetto alla legislazione catalana. È evidente che se una comunità locale garantisce un diritto in più ai cittadini questi tenderanno a spostarsi e si verificherà quello che gli americani definiscono race to the top, cioè una corsa al rialzo. Non è un caso che tutte le comunità spagnole, oggi, abbiano previsto il loro schema familiare alternativo – Catalogna, Navarra, Asturie, Madrid, Valentia, Baleari e, addirittura, i Paesi Baschi – e che il Governo nazionale spagnolo abbia deciso di mettervi un mantello comune, con questa nuova proposta nazionale.
Penso di avere risposto, seppure sinteticamente, a tutte le domande che sono state formulate.

PRESIDENTE. Ringraziamo il professor Torino per la sua esauriente relazione e per le risposte che ha fornito alle domande dei colleghi. Le chiedo, ove sia possibile, per maggiore completezza, di inviare successivamente agli uffici della Commissione un documento scritto, che potrà essere messo agli atti.
Dichiaro conclusa ‘audizione.

La seduta termina alle 13,35.


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