Hollywood, il trionfo dell’omo

  
Brokeback Mountain

Brokeback Mountain

NEW YORK – Tra le fila di chi assegna gli Oscar rientrano i patiti delle interpretazioni spettacolari, dal naso finto di Nicole Kidman in "The Hours" a un Adrien Brody stremato dal digiuno ne "Il Pianista".

‘ una tradizione talmente radicata che Kate Winslet, interpretando se stessa con strabiliante comicità nella serie televisiva della Hbo "Extras", ha citato un sistema garantito per acciuffare ‘ambita statuetta. "Daniel Day-Lewis ne "Il mio piede sinistro", Oscar. Dustin Hoffman in "Rain Man"? Oscar. Credetemi, se interpreti un pazzo hai ‘Oscar assicurato". Affermazione irriverente, imprecisa ma, fondamentalmente, vera. Considerando questa stagione cinematografica la Winslet avrebbe potuto aggiungere: se interpreti un omosessuale.

Assistiamo ad un boom di film aspiranti al’Oscar in cui attori etero interpretano personaggi omosessuali, travestiti o transessuali. Philip Seymour Hoffman si identifica completamente nel ruolo del gay in "Capote", mentre Cillian Murphy interpreta un travestito nel’Irlanda degli anni’70 nel brioso film di Neil Jordan "Breakfast on Pluto". Jake Gyllenhaal e Heath Ledger sono amanti in "Brokeback Mountain", già noto come "il film del cowboy gay". Ma attori di gran nome si lanciano in ruoli simili anche in pellicole minori. Felicity Huffman si spinge ben oltre "Desperate Housewives" nel ruolo di un uomo sul punto di cambiare sesso in "Transamerica" e Peter Sarsgaard interpreta uno sceneggiatore gay di Hollywood legato ad un produttore che nasconde la propria omosessualità ed è sposato in "Dying Gaul".

Nuova non è ‘idea in sé, ma il numero di ruoli incentrati sulla diversità sessuale. Gli attori non fanno che seguire il cammino tracciato dieci anni fa da Tom Hanks, che ottenne ‘Oscar per la sua interpretazione del gay malato di Aids in "Philadelphia", seguito da Hilary Swank nel ruolo della protagonista en travesti di "Boys do’t cry" e da Charlize Theron, che in "Monster" mise a segno una tripletta di incantesimi cattura-Oscar, aumentando di peso, indossando denti finti e interpretando il ruolo di una lesbica. Certi di veder ricompensati i propri sforzi e rassicurati da un pubblico ormai abituato ai personaggi omosessuali nei film e nei telefilm, gli attori famosi sembrano ansiosi di interpretare questo genere di ruoli. Ralph Fiennes, per esempio, è impegnato nelle riprese di "Bernard and Doris", in cui è il maggiordomo gay della miliardaria Doris Duke (Susan Sarandon).

A quanto ne sappiamo i gay sullo schermo sono etero nella vita (a prescindere dalle voci che circolano su Internet, dove, si sa, si trova di tutto), dettaglio questo che ha importanza solo perché rientra, se pur non in forma esplicita, negli abili calcoli dei cineasti. In particolare in quella che è oggi la cultura delle celebrità il confine tra la vita privata del’attore e i film non si cancella mai completamente. Conoscere gli attori al di fuori del ruolo interpretato sullo schermo rende più facile agli spettatori della classe media eterosessuali- un gruppo che, dopo tutto, include la maggior parte di noi tra il pubblico ? accettare personaggi di cui non condividiamo le preferenze sessuali. Pragmatismo politicamente scorretto a parte, interpretare personaggi omosessuali, travestiti e transessuali permette agli attori di attingere ad un enorme riserva di espedienti ? parrucche e costumi, linguaggio e pose ? ovvero di Recitare. La vera magia è far sì che la finzione ceda il passo al personaggio, come accade nelle migliori di queste performance.

Hoffman in "Capote" e Murphy in "Pluto" usano ‘esteriorità (abiti e pose) per farci cogliere ‘essenza degli uomini che interpretano, per definire una personalità che va oltre la sessualità del personaggio, pur essendovi strettamente connessa. La trasformazione del corpulento Hoffman è così totale che lo spettatore dopo essersi chiesto sbalordito per i primi cinque minuti se quello sullo schermo sia proprio Philip Seymour Hoffman, lo dimentica, assorbito dal personaggio.

In u’interpretazione altrettanto geniale, Murphy usa le pose del suo personaggio travestito, Patrick Braden, che preferisce essere chiamato Kitten, per rendere "Breakfast on Pluto" commovente. Figlio di un prete irlandese e della sua giovanissima governante, Kitten viene abbandonato appena nato sulla soglia della canonica e raccolto da una madre adottiva che lo rifiuta quando lo scopre a provarsi un abito da donna. Da adulto gli abiti colorati e il trucco sgargiante anni’70 di Kitten fanno parte del suo atteggiamento nei confronti della vita. Ma ques’aria spensierata è maschera e scudo di un personaggio che soffre e ha troppo bisogno di essere amato ed accettato per prendere la vita sul serio. Come tante donne, a Kitten piacciono gli uomini sbagliati e si innamora di un contrabbandiere ‘armi del’Ira. Senza mai abbandonare il tono brioso, il film di Jordan, falsamente frivolo, permette al pubblico di provare le profonde emozioni che Kitten tenta di tenere a distanza di sicurezza anche quando si mette in cerca della madre che lo ha abbandonato. Anche se Kitten sullo schermo è una ragazza bella e civetta non dimentichiamo mai che è un uomo, ma il personaggio è talmente convincente da farci scordare che è Murphy a interpretarlo. Non è indispensabile e forse in prospettiva del’Oscar neppure auspicabile, che un attore si annulli nel personaggio.

"Brokeback Mountain" ci dice che anche una recitazione più vistosa può dare emozioni. Nel ruolo di Jack Twist, Gyllenhaal appare al’inizio del film in piedi con una mano sul fianco, come se fosse in posa per una pubblicità; ‘atteggiamento da indossatore sparisce al’istante ma indica che dei due protagonisti è lui quello più a suo agio nel ruolo. Il personaggio di Ledger, Ennis Del Mar, è il tipo taciturno, quello che tiene lo sguardo basso e farfuglia quattro parole, talmente a disagio di fronte ai propri desideri sessuali e talmente irritato dal fatto di provarli, che a volte non sa se vuole baciare Jack o dargli un pugno. Non sorprende che giri voce di un Oscar per Ledger. Questo non va a scapito del film che è chiaramente pensato per un pubblico tradizionale, a dispetto di alcune scene di sesso tra i due uomini.

"Transamerica" si presenta anche come un film sui rapporti tra genitori e figli. La Huffman interpreta Bree, un uomo che conduce una vita da donna, e che, prima di sottoporsi al’intervento chirurgico per cambiare sesso, va dalla California a New York a rintracciare il figlio, ormai grande, di cui è padre. Durante il viaggio di ritorno in macchina, i due passano a trovare i genitori di Bree e lo spettatore nota come sono cambiate le dinamiche familiari ora che lei non è più Stanley. Nonostante ‘elemento universale della famiglia però, questo modesto film è tutto incentrato sulla performance della Huffman, che abbassa il tono di voce, indossa vistose parrucche e unghie finte, e permette alla realtà emotiva del personaggio di trasparire attraverso uno strato intenzionale di artificio.

Anche "The Dying Gaul" si fonda sulla recitazione, anche se in questo caso non basta. Il produttore bisex , interpretato da Campbell mostra le sue inclinazioni solo con lampi nello sguardo. Il ruolo vistoso tocca a Sarsgaard che lo spinge al limite della caricatura. Questo thriller psicologico trasforma il personaggio simpatico di Sarsgaard, distrutto dal produttore, in un soggetto pericoloso. Ma "The Dying Gaul" è ucciso da uno stile claustrofobico e da una sceneggiatura strampalata. Nessun exploit degli attori può salvarlo. A volte le pose fanno il personaggio, ma a volte i trucchi restano quello che sono.

(Copyright New York Times – La Repubblica. Traduzione di Emilia Benghi)


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