Era il 1998 quando al’improvviso si capì che uomini e donne non avevano davanti a sé due sole strade, il matrimonio o la convivenza. La terza via del’amore in due si chiamava unione di fatto. Olanda e Belgio furono i primi Paesi a offrire il diritto ufficiale di non sposarsi. Bruxelles fece anche qualcosa di più, a dire il vero: evitò di inserire limiti di sesso, estendendo i diritti anche alle unioni gay. Nel 1999 ‘onda delle nuove coppie dì fatto raggiunse la Francia. Nacquero i Pacs, i Patti civili di solidarietà, e una nuova parola, pacsée, a definire i conviventi regolarizzati. Non necessariamente omosessuali, come a volte si pensa. Piuttosto coppie spaventate dalle responsabilità del matrimonio tradizionale, coppie alla ricerca di garanzie, dalla pensione di reversibilità alle graduatorie nei concorsi pubblici. Dalla Francia ‘onda dei Pacs giunse scuotere un Italia dove fino ad allora una sola volta la parola "omosessualità" era risuonata nelle aule del parlamento: nel 1961, quando fu presentata una proposta di legge per punire «con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da lire 50 mila a lire 500 mila» gli atti gay.
Quasi quaran’anni erano trascorsi da quel bizzarro esordio degli omosessuali nelle ovattate stanze del potere. Il clima politico sarebbe stato anche favorevole, per la prima volta gli ex comunisti si trovavano al governo. E poi fra gli italiani si avvertiva il bisogno di una famiglia più leggera. Come in Francia e un p’ ovunque in Europa i matrimoni apparivano in calo, mentre separazioni, divorzi e convivenze erano in aumento. Livia Turco, allora ministro della Solidarietà Sociale, tentò una prima sortita lanciando ‘argomento nel dibattito parlamentare. E però ‘Italia non era ancora pronta. La famiglia si disgregava, ma meno che altrove: se in Francia il 46% delle coppie dai 16 ai 30 anni era coppie di fatto, in Germania il 45%, in Inghilterra il 40%, in Italia la percentuale raggiungeva a stento il 6%. E, poi, anche se adesso è difficile ricordarlo, nel 1999 si viveva in un clima da pre-Giubileo. Livia Turco si fermò. I tempi non erano maturi.
La politica si accorse degli omosessuali nel Duemila, nel bel mezzo del’Anno Santo. Era giugno quando si organizzò un imponente Gay Pride in una Roma gíà invasa dai pellegrini di tutto il mondo. Mezzo milione di persone sfilarono, i partiti ne presero atto: alle elezioni del 2001 i Ds candidarono Franco Grillini, fino ad allora presidente del’ArciGay, Rifondazione rispose con Titti De Simone, figura emergente nella ideazione del riuscito corteo romano.
Una volta in Parlamento, Franco Grillini non perse tempo: presentò diverse proposte di legge finché nel’ottobre 2002 depositò quella che per la prima volta prevedeva ‘istituzione dei Patti. Trentuno articoli, un p’ vaghi come molti accordi sofferti, ma firmati da Ulivo e Rifondazione. In base alla proposta, due persone, dello stesso sesso o di sesso diverso, possono andare davanti a un pubblico ufficiale, iscriversi in un registro e fissare le condizioni che determinano il rapporto. Rimasero una proposta, il governo Berlusconi non avrebbe mai dato il via libera a nulla del genere e il centrosinistra non aveva in quel momento la forza per creare una maggioranza trasversale.
L’Italia continuò ad essere il Paese in cui coesistevano bizzarre situazioni. Da un lato Carmen Di Pietro, la vedova di Sandro Paternostro, che si rifiutava di sposare il suo nuovo compagno perché – confessava in tv – avrebbe perso la sua cospicua pensione di reversibilità. Dal’altro Adele Parrillo – compagna per anni del regista Stefano Rolla, morto durante la strage di Nassiriya – non poteva nemmeno andare ai funerali di Stato nella sua veste di vedova. Il tempo delle proposte potrebbe scadere presto. Il prossimo autunno sui Pacs si giocherà la battaglia decisiva, quella parlamentare. Franco Grillini, rieletto deputato, ha già ripresentato il suo progetto di legge e ‘Italia si prepara a rivivere il clima di guerra di religione del maggio 2005, al’epoca del referendum sulla fecondazione assistita. Il governo Prodi sul’argomento rischia la vita. Sulle coppie di fatto si creeranno alleanze trasversali, blocchi di deputati e senatori del centrosinistra che trasmigreranno con i loro voti verso il centrodestra. A meno che non si raggiunga un accordo, e cioè si affronti ‘esame in Parlamento soltanto dopo aver messo nero su bianco il compromesso raggiunto.
Perché dì un compromesso si tratterà. Fatta eccezione per la Spagna, la storia vuole che ai Pacs veri e propri si arrivi per gradi come se le società avessero bisogno di prepararsi. Si parte con le unioni di fatto, poi le si estende fino al’obiettivo più alto per la comunità omosessuale: il matrimonio fra gay. Non sarà certo ‘Italia a contravvenire a questa regola. Al di là degli affondi del Vaticano, i numeri della politica non consentono altra soluzione: non Zapatero né la Francia, un riconoscimento un p’ annacquato al’italiana per dare modo al tema di prendere piede, di far capire che non ‘è da spaventarsi, che non saranno un p’ di matrimoni di fatto a far crollare il Paese. Un p’ come capitò con ‘aborto o il divorzio. Alcuni comuni e alcune regioni si stanno muovendo autonomamente con registri simbolici (Cagliari, Roma, la Toscana) e leggi di apertura (la Puglia di Nichi Vendola).
La storia dei Pacs italiani, insomma, è ancora tutta da scrivere. Il finale anche. Chissà che cosa saranno, come si chiameranno, che veste assumeranno. Nel programma, Prodi li ha chiamati Unioni civili. Rutelli ha proposto i Ccs, i Contratti di convivenza solidale. A tutti Emma Bonino ha risposto: «Chiamateli Erminio o come volete voi, sono i contenuti che contano». I contenuti: è questo il problema. Il punto di partenza per il momento resta la legge ripresentata da Grillini. Ma non ‘è dubbio che quando il governo deciderà di occuparsene, probabilmente si partirà da zero con un Parlamento che più diviso non può essere. Perché se in Europa non vale ‘equazione «sinistra=Pacs», «destra=no ai Pacs» (in molti Paesi ad approvarli sono stati i governi conservatori), in Italia la realtà è molto variegata. Glí schieramenti in campo sono almeno quattro, tutti decisi e pronti alla battaglia.
Al primo appartengono gli «irriducibili», quelli che considerano i Pacs un credo politico. Bellicosi, non hanno nessuna intenzione di mollare: sono i politici di Rifondazione, dei Verdi, deI Pdci, della Rosa nel Pugno ‘alleanza tra radicali e socialisti uniti dalla comune avversione contro i proclami lanciati dal Vaticano. ‘ un blocco granitico, sa di essere perdente, ma ha intenzione di vendere cara la pelle. Al loro interno molti i gay. Da Vladimir Luxuria (più propriamente transgender) attore, animatore, eletto alla Camera dei Deputati per Rifondazione. Alfonso Pecoraro Scanio, leader dei Verdi, ora ministro per ‘Ambiente, che nel Duemila aveva svelato la sua bisessualità. Non è gay, ma fra i leader degli irriducibili ‘e Emma Bonino, che le lotte laiche le ha condotte tutte in prima linea, da quella del’aborto in poi.
Al secondo gruppo appartengono i «convincibili»: sono favorevoli ma non a costo di far saltare il governo. Sono i Ds: Piero Fassino e Massimo ‘Alema avevano firmato la proposta di Franco Grillini nel 2002. Però quando si è trattato di discutere il programma ad aprile non sono stati di certo loro a puntare i piedi per includere i Pacs. Di fronte alle proteste dei cattolici del centrosinistra si sono fatti convincere senza protestare troppo. I Ds sono quelli che alla fine una porta aperta alla Chiesa la tengono sempre. Nessuno di Rifondazione o dei Verdi o della Rosa nel Pugno è mai stato ricevuto in Vaticano, mentre a Botteghe Oscure da ‘Alema a Veltroni non mancano le visite Oltretevere.
Ai convincibili appartiene anche ‘ala laica della Margherita, una sorta di fronda anti-Rutelli che non lo segue nella sua crociata anti-Pacs ma non ne fa una questione di vita o di morte. Leader della fronda sono alcuni vecchi amici di Rutelli, compagni di lotte ambientaliste o degli anni in Campidoglio, da Ermete Realacci a Roberto Giochetti e Carla Rocchi. Ma anche Rosi Bindi, oggi ministro della Famiglia, cattolica, ex Dc ma sempre un p’ più a sinistra della Chiesa.
Infine, le spine nel fianco. Ce ne sono in entrambi gli schieramenti. Nel centrosinistra il più pungente è Francesco Rutelli. Il suo passato nel partito radicale, fra i giovani di punta di Marco Pannella, non ha lasciato traccia.
Dopo anni di matrimonio civile, nel 1995 decise di sposarsi in Chiesa rendendo evidente il suo nuovo corso spirituale. Persa la sfida con Berlusconi nel 2001, creò un suo partito, la Margherita, che oggi è una testa di ponte del mondo cattolico al’interno del centrosinistra. Al suo interno sono stati eletti religiosi militanti come Paola Binetti, una delle leader del movimento che affossò il referendum sulla fecondazione artificiale, e Luigi Bobba, ex presidente delle Acli. E così proprio ‘enfant-prodige di Pannella oggi è il primo baluardo contro il quale il centrosinistra deve lottare al suo interno per far approvare i Pacs. Al suo no nello scorso dicembre fece seguire una controproposta, i Ccs, ovvero i Contratti di convivenza sociale, privi di riconoscimento pubblico ma validi al’interno della coppia e nei rapporti con terzi quanto ogni altro contratto privato.
La seconda spina nel centrosinistra sí chiama Clemente Mastella. In questo caso il passato democristiano non lascia dubbi sulle sue posizioni, ma quando fu presentata la proposta di Franco Grillini annunciò in televisione il suo sostegno. Qualche giorno dopo Nichi Vendola, gay dichiarato di Rifondazione, ora governatore della Puglia, gli chiese: «E ora come la metti con la scomunica del Vaticano»? Mastella, tranquillo, rispose: «Sottoscrivo la proposta di legge poi non la voto».
Anche il centrodestra ha le sue spine, il che rende ben complicato il quadro delle eventuali alleanze trasversali che sí creeranno in Parlamento al momento della discussione. Dario Rivolta, di Forza Italia e Nino Strano di An, ad esempio, hanno firmato due progetti di legge. In nessuno dei due si parla di Pacs, ma si pongono il problema di regolare le coppie di fatto e non si tirerebbero indietro se si trattasse di votare un compromesso accettabile. Così come hanno annunciato il loro sostegno alle unioni di fatto molti parlamentari di Forza Italia, dal’ex ministro per le Pari Opportunità, Stefania Prestigiacomo, a Chiara Moroni e Stefania Craxi.
Il capo di questa composita macchina da guerra dei Pacs al’italiana si chiama Romano Prodi, presidente del Consiglio e conosce molto bene i pericoli che corre. Cattolico convinto, amico di Ruini che ne aveva celebrato anche il matrimonio, da quando è diventato leader di una coalizione di centro-sinistra con il presidente della Cei ha visto raffreddarsi i rapporti. Lo scorso anno ebbe ‘incauta idea di promettere a Franco Grillini ‘inserimento dei Pacs nel programma di governo, finì per incorrere in un deciso altolà del Vaticano, che lo costrinse a una rapida marcia indietro. Le chiamò Unioni civili scontentando e mettendo ‘accordo tutti allo stesso tempo. Chissà se fra qualche mese riuscirà a compiere lo stesso miracolo.
MA PER LA CHIESA SONO UN AMORE DEBOLE
Papa Benedetto XVI lo considera un «amore debole», il presidente della Cei, Camillo ‘aveva definito «matrimonio piccolo»: al Vaticano i Pacs non piacciono e non si stanca di ripeterlo. Non ‘è sortita del mondo laico per chiedere ‘ufficializzazione delle coppie di fatto — anche gay — che non sia seguita da una risposta della Santa Sede. Le parole cambiano, il no è sempre lo stesso. Per Ratzinger ‘unica forma di amore possibile è «la roccia del’amore totale e irrevocabile tra uomo e donna», come ha ripetuto lo scorso 11 maggio. Il matrimonio è una «roccia», dunque, da contrapporre alle «altre unioni basate su un amore debole». Alcune associazioni di gay hanno esultato dopo aver ascoltato queste parole, intravedendo una apertura verso gli omosessuali: «Finalmente il pontefice riconosce il nostro amore e non ci considera soltanto dei malati».
Sbagliato. Il papa non ha cambiato idea. ‘amore «debole» si riferiva soltanto alle unioni di fatto tra uomo e donna, quelle gay non erano proprio prese in considerazione. E pazienza se secondo gli ultimi dati forniti del’Eurispes il 68,7% dei cattolici italiani è favorevole ai Pacs. La Chiesa non cede di un millimetro. Quando la Spagna annunciò il progetto di legge sui Pacs, Ratzinger, allora cardinale, parlò di «u’Europa che perde Dio». Quando il progetto fu approvato, il Vaticano chiese ai funzionari pubblici di boicottare le registrazioni. ‘Italia è avvertita.