Roma – Sit in in tutta Italia e una fiaccolata davanti a Montecitorio, con tanto di distribuzione di 10mila cartoline (da inviare a palazzo Chigi) con su stampata la promessa fatta in novembre da Romano Prodi in persona. E che ora per ‘appunto il premier pare non voler mantenere. I gay italiani hanno deciso di dire apertamente la loro sulla vicenda infinita delle coppie di fatto. «Un governo che consideriamo amico ha mostrato in realtà ben scarse aperture alle nostre richieste – come dice nel’apposita conferenza stampa Giorgio Morelli, di DìGayProject – Noi ora vogliamo portarle in piazza per dare una sveglia al’esecutivo. E siamo pronti a organizzare una manifestazione nazionale per il 10 marzo». Mentre da Padova Alessandro Zan, il consigliere comunale diessino del’Arcigay, già dice che il governo «si sta inchinando ai diktat di Ruini». Ma la comunità gay e lesbica forse questa volta non si ritroverà da sola, visto che da ieri al suo fianco ora ‘è anche Rifondazione comunista. Rappresentata non solo da Luxuria, ma anche dalla sua collega alla camera Titti De Simone che si dice pronta a «una battaglia durissima, ad aprire un conflitto al’interno della maggioranza se non si arriverà a una proposta più dignitosa del decreto Bindi-Pollastrini».
Sempre che il decreto ci sia. Perché in realtà ieri ‘Unione non è riuscita nemmeno a mettersi ‘accordo su una mozione comune da presentare alla camera. La riunione dei capigruppo del centrosinistra, appositamente convocata, è finita in un nulla di fatto. ‘Udeur ha rifiutato di ritirare il suo ordine del giorno che chiede che il governo non si pronunci sul’argomento, e lo stesso ha fatto quindi la Rosa nel pugno che rivendica invece ‘introduzione anche in Italia dei Pacs. Un p’ più arrendevoli si sarebbero mostrati Verdi, Pdci e il capogruppo del Prc, disposti a discutere il testo presentato da Franceschini della Margherita. Poche frasi, per impegnare il governo a presentare «entro il 15 febbraio un disegno di legge sul tema del riconoscimento giuridico di diritti, prerogrative e facoltà delle persone che fanno parte delle unioni di fatto». Ovvero una fotocopia delle famose sette righe del programma elettorale. ‘unica buona notizia della giornata è stata così il rinvio del voto, che ci sarà a questo punto solo martedì prossimo. Nella speranza che, per quella data, da palazzo Chigi emerga il fatidico disegno di legge sulle coppie di fatto. E ‘Udeur, sulla cui mozione potrebbe convergere, dichiara La Russa di An, ‘intera Casa delle libertà.
Così i tecnici dei ministeri, Pari opportunità e Famiglia, si sono rimboccate le maniche. ‘obiettivo è di definire finalmente il testo, e strappare ‘accordo di tutti, proprio per martedì, ovvero in tempo se non per il consiglio dei ministri almeno in pre-consiglio. Il nodo da sciogliere però è sempre lo stesso. Perché ancora ieri Rosi Bindi, nelle interviste e nel question time alla Camera, è tornata a dire che non si deve creare per le coppie di fatto «un registro pubblico che risulterebbe una sorta di strumento parallelo al registro dei matrimoni». Al suo posto, insiste la Bindi, ci dovrebbe essere invece solo un certificato anagrafico.
In realtà più che alla disputa sul nome dello strumento che deve sancire chi fa parte e chi no di una coppia di fatto, bisognerà stare attenti alla sostanza. Ovvero a quali saranno i diritti riconosciuti alle poco riconosciute nuove famiglie. La proposta uscita già prima di Natale dal ministero delle Pari opportunità parlava infatti non solo di assistenza sanitaria, reversibilità delle pensioni, graduatorie occupazionali e contratti di affitto ma anche di diritti alla successione. Proprio il punto che, inserito nella finanziaria, aveva fatto saltare il banco al Senato a metà dicembre.