Questo ti avrei detto, se ci fossimo parlati…

  

Matteo, 16 anni, frequentava l’Istituto Tecnico Sommellier di Torino. Dallo scorso anno scolastico era stato preso di mira dai compagni, che lo deridevano perché lo identificavano come omosessuale. Martedì 3 aprile, Matteo si è gettato da una finestra della sua abitazione al quarto piano.

Buona Pasqua, Matteo. Ti scrivo per la prima e l’ultima volta, sapendo che non ci conosceremo mai. Avremmo potuto, però. Avrei potuto essere quella signora spettinata dall’aria stramba, chiamata a parlare di nonviolenza nella tua scuola, quella che dopo i saluti avrebbe esordito dicendo: «Vorrei ricambiare il vostro benvenuto dandovi il mio. Il mio benvenuto alle vostre differenze. Ai vostri corpi. A coloro che vivono con un problema di salute, visibile o meno. Ai vostri sogni, ai vostri desideri, alle vostre passioni. Alle vostre emozioni: gioia, dolore, rabbia, indignazione, contentezza Alle lingue che parlate. Ai sopravvissuti e sopravvissute a qualsiasi tipo di violenza. Ai gay, alle lesbiche, ai bisessuali, agli eterosessuali. A coloro che vi sostengono e credono sia importante che voi continuiate a studiare. Alle vostre famiglie. A coloro che amate. A coloro che ci erano cari e sono scomparsi… Qualcun altro desidera ricevere un benvenuto?».

E poi avremmo parlato e raccontato e fatto qualche esperimento, ed avremmo riso e pensato e giocato, e a volte ci sarebbe scappata pure una lacrima di commozione. Forse, come mi è accaduto spesso, mi avresti fermato nel corridoio, dopo l’incontro, con una scusa qualsiasi, e poi mi avresti parlato di te. Ma tu sei volato via, come un angelo o un uccellino, e non accadrà.

Io non sono credente, pure, se mai ho desiderato che ci fosse un’esistenza dopo la morte, Matteo, l’ho desiderato oggi, per te di cui non conosco nulla tranne la sofferenza che ti ha condotto alla fine del viaggio.

Sarebbe facile e troppo comodo, e lo so, mettere il fermo immagine al tuo salto nel vuoto e rivolgere a chi piange la tua scomparsa solo parole di conforto e cordoglio. Quel salto è terminato nella morte, ed io la sequenza la vedo intera. So che parleranno molto di te, per qualche giorno, sino a che una notizia più “fresca” e appetibile ti cancellerà. Ci saranno gli psicologi e i sociologi e i docenti e i sacerdoti interpellati dai giornali: neppure loro ti hanno mai conosciuto, ma diranno di te come se avessero fra le dita la tua anima da sfogliare, giustificheranno e ammoniranno, ognuno in una direzione differente che li confermi nelle ideologie o teorie che propugnano.

Io intendo fare qualcosa di diverso, per te.

Innanzitutto dire a coloro che per settimane e mesi, nel nostro paese, hanno invaso i media italiani con una campagna d’odio contro le persone omosessuali che il bullismo di cui sei stato vittima a scuola si nutre delle loro parole. Che se ci sono “cattivi maestri” per la gioventù sono proprio loro. Che il tuo suicidio è uno dei risultati finali dei loro sforzi: e che devono fermarsi, deporre odio e disprezzo e cominciare a riflettere su quel che fanno, perché di brutti risultati possono essercene ancora. Che se vogliono difendere le famiglie avrebbero potuto cominciare da quelle come la tua, in cui oggi una madre si ripete singhiozzando: «Perché me lo hanno trattato così? Non aveva fatto niente di male, era un essere umano come tutti loro».

Desidero assicurarti questo, Matteo, che assieme a tanti altri ed altre lotterò perché non capiti di nuovo. Voglio i ragazzi e le ragazze qui, etero o omo, di qualsiasi colore e fede, qui, per discuterci e progettare e costruire, e persino per litigare se serve, ma li voglio qui. Perché nessun essere umano è superfluo, e amare non è mai sbagliato. Questo ti avrei detto, se ci fossimo parlati in quel corridoio.


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