Facciamoci sentire da Ahmadinejad

  

Dal 1979 ad oggi, secondo le organizzazioni internazionali umanitarie più di 4000 gay e lesbiche sono state condannate a morte.

La guida spirituale e politica della rivoluzione islamica iraniana l’ayatollah Khomeini, pubblicò una fatwa sulla transessualità che la definiva una condizione medica che andava curata con la chirurgia. Da allora sono state migliaia le operazioni effettuate sotto la stretta sorveglianza dei guardiani della rivoluzione.

Quindi, la legge in Iran prevede la morte per chi pratica l’omosessualità mentre il governo iraniano fornisce 5mila dollari a ogni persona che vuole cambiare sesso, oltre ai costi della terapia ormonale. Le transessuali sono oggi in Iran circa 150 mila, un numero percentualmente spropositato se si pensa che le transessuali italiane sono circa 25mila.

Moltissimi gay iraniani, pur di scampare a persecuzioni e morte, sono "portati" ad operarsi, a mutilare il proprio corpo, vittime di un’inaudita violenza psicologica.

Con questi numeri si presenta il presidente della Repubblica Islamica dell’Iran a Roma per la Conferenza della Fao. Ringrazio il Riformista di aver acceso un potente faro sul caso Iran. Per Arcigay, questa è anche la migliore occasione per rilanciare l’allarme sulla situazione dei diritti umani in Iran, diventata sempre più insostenibile a seguito di un’articolata campagna repressiva.

L’Iran non è l’unico paese al mondo che ammazza per legge i gay e le lesbiche, gli fanno compagnia Arabia Saudita, Sudan, Yemen, Mauritania, Pakistan. Un’altra ottantina di Stati prevede condanne severe, anche il carcere a vita, e permette, quando non sollecita, torture, violenze, discriminazioni.

Ma l’Iran ha un triste primato nel reprimere con la violenza ogni diritto delle persone omosessuali. Nei primi anni ’80, per esempio, 70 persone sono state trucidate dopo aver tentato di organizzarsi in un’associazione gay e lesbica. Altri 100 omosessuali sono stati condannati a morte nel 1992 dopo un’incursione della polizia ad una festa privata.

Negli ultimi anni, proprio da quando si è insediato Ahmadinejad, la persecuzione contro gli omosessuali ha conosciuto un’escalation. Sotto il suo governo sono state portate a termine esecuzioni pubbliche dimostrative di giovani accusati di violenze contro i minori, ma in verità solo incolpevoli vittime, orrendamente scelte come prova di forza. D’altronde l’accusa di sodomia è utilizzata, e in questo l’Iran fa buona compagnia a tanti regimi sanguinari odierni e del passato, come arma politica di eliminazione dei dissidenti e degli avversari politici. I metodi più usati per uccidere le persone accusate di omosessualità sono la decapitazione, il taglio in due con la scimitarra, la lapidazione, il rogo al palo e il lancio da un precipizio o dal tetto di un palazzo, anche se di recente si preferisce l’impiccagione perché consente una maggiore teatralità e coinvolgimento popolare.

Ho avuto un sobbalzo quando ieri ho letto su la Repubblica l’intervento di Lucio Caracciolo, che derubrica Mahmud Ahmadinejad a diavoletto subdolo e odioso. L’articolo, summa di real politik, non può certamente tenere conto della scia di sangue che accompagna il presidente iraniano. Quando si tratta di diplomazia tra stati, strategie regionali e mondiali, per alcuni la vita delle persone slitta in secondo piano, diventa una variabile indifferente.

Sappiamo bene che l’Italia, sia per ragioni commerciali sia per il suo ruolo di componente della Comitato per diritti umani dell’Onu, assunto il 20 Giugno 2007, sarebbe una voce ascoltata in Iran. Per queste ragioni e per riaffermare la ferma e fattiva promozione del diritto alla vita, che ha fatto dell’Italia uno dei principali attori della battaglia per la moratoria universale contro la pena di morte, chiediamo che il Governo, sia con azioni diplomatiche dirette, sia con iniziative coordinate in sede europea, faccia il possibile per scongiurare il perpetuarsi di questa situazione di oltraggio alla vita e ai diritti umani fondamentali, richiami l’Iran al rispetto dei trattati internazionali e sostenga i movimenti per i diritti civili presenti nel paese.

Aurelio Mancuso – presidente nazionale Arcigay


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