Pubblichiamo un articolo di Susanna Marzolla apparso oggi, 30 luglio 2008, sul quotidiano "La stampa".
Innovativo riconoscere in Italia il valore di un Pacs stipulato in Francia da due cittadine francesi? Sicuramente; ma ancor più innovativo ciò che è avvenuto, con discrezione, in uno studio legale di Milano. Che ha ottenuto per una donna italiana, il risarcimento dei danni "affettivi e morali" causati dalla morte della sua compagna, italiana pure lei. Un risarcimento "congruo" tal quale sarebbe stato se a morire fosse stato un compagno: la società di assicurazione dell’ospedale ha considerato i rapporto omosessuale al pari del tradizionale "more uxorio".
E non lo ha fatto ieri – magari spinta dalla notizia di quanto le Generali avevano deciso per la coppia gay francese di Venezia – lo ha fatto intorno a Pasqua. E le avvocatesse Elisabetta Arrigoni e Laura Granata, dopo aver assistito la vedova, avevano tranquillamente archiviato quel dossier. Consce, sì, di aver ottenuto un risultato importante, ma non ritenendolo talmente innovativo da renderlo pubblico. Ma proprio l’eco del risarcimento veneziano le ha spinte a segnalare all’Arcigay quanto avvenuto alla coppia di donne milanesi. "Ed è una novità assoluta – dice Aurelio Mancuso – presidente dell’associazione – perché qui, lo sappiamo, non c’è nessun pacs, nessuna legge. La società si mostra molto più avanti della politica e si adegua alla realtà".
La realtà è quella di due signore che stanno assieme per quasi vent’anni, condividendo casa e vita affettiva. Non sono più giovani: la più anziana ha quasi settant’anni quando viene ricoverata in uno dei "più importanti e noti ospedali di Milano". Non ci sono nomi in questa vicenda perché, spiegano Arrigoni e Granata, "si è trattato di un accordo extragiudiziale; non c’è una sentenza e tutto quindi deve restare coperto dalla privacy". Ma la storia c’è tutta, ed è quella di "un errore medico che, dopo un’operazione, provoca complicazioni che portano alla morte della paziente". I familiari della donna si rivolgono allo studio legale; comincia una trattativa e, per evitare una causa, l’ospedale riconosce l’errore; l’assicurazione, "una primaria compagnia nazionale", paga il risarcimento.
A tutti: i parenti "di sangue" (una sorella, nipoti) e anche alla sua compagnia. Rimasta sola a 55 anni, privata della persona con cui aveva passato buona parte della sua vita. E non c’entra se ci fosse o meno un lascito della morta a suo favore: "L’assicurazione – sottolinea Laura Granata – ha riconosciuto il danno affettivo e morale patito, dando valore alla convivenza ventennale tra le due donne, che noi abbiamo dimostrato attraverso le testimonianze".
Non c’era, non poteva esserci un foglio di carta a certificare quella che è stata comunque riconosciuta come una "comunione patrimoniale e morale" tra due persone. Il risarcimento è venuto di conseguenza: "Ed è stato congruo; cioè – spiega Elisabetta Arrigoni – non è stato per nulla pregiudicato dal fatto che si trattasse d una coppia omosessuale". La donna rimasta sola ha ottenuto così il riconoscimento – sebbene postumo – di una lunga convivenza affettiva: "prossima congiunta" per la compagnia di assicurazione; "vedova" della sua compagna per amici e parenti; ma ancora niente per lo stato civile.