Siamo sinceri, un attacco alla nostra associazione così violento e al contempo arrampicato sugli specchi da parte de La Repubblica a firma di Francesco Merlo, non ce lo saremmo mai aspettati.
Non tanto per l’astio che trapela nei nostri confronti, quanto per l’argomentazione populistica e confusa che stravolge completamente la realtà dei fatti e le nostre intenzioni. Certo – se la cultura progressista e liberale italiana di cui almeno teoricamente l’importante quotidiano si fa paladino mette in campo un’autodifesa di questo livello non si può che ritenerlo emblematico dell’arretratezza in cui sono sprofondati la politica, la cultura, il giornalismo italiano.
Da giorni La Repubblica definisce la tragica distruzione di un’intera famiglia omosessuale in quell’incidente, perita assieme a tante altre famiglie simili e diverse, come "la dimensione intima e privata dello steward italiano morto insieme ad un amico". L’omissione del vero rapporto tra quelle persone che oramai non ci sono più e la negazione di dare al loro affetto il nome che merita è riproposta con fredda ostentazione.
Per sostenerla, proprio Merlo riduce gli affetti alla solita cantilena del non si fruga dentro le lenzuola di nessuno, accusando di ossessione chi da anni chiede invano proprio il riconoscimento della dimensione che vada al di là della sessualità, che effettivamente di fronte alla morte – ma anche di fronte ai problemi ed alla discriminazioni della vita quotidiana – diventa un dettaglio ininfluente.
Caro Merlo, sarebbe stato sufficiente verificare i fatti, avere pietà anche di quell’amore distrutto, fra le centinaia squartati da quelle lamiere, e parlare dell’unica vittima italiana proprio nei termini in cui stavano i fatti della sua vita. Invece si è praticata consapevole censura, perché quella famiglia non doveva esistere!
Il resto delle affermazioni contenute nell’editoriale sono solamente una sequela d’insulti al ruolo e all’azione della più grande associazione nazionale gay e lesbica. La triste realtà è che il grande giornale non accetta una critica che coinvolge l’intero sistema di comunicazione italiana, che appena può cancella la cittadinanza e gli amori omosessuali perché li ritiene, come ci ricorda appunto Merlo, pura pratica sessuale a cui si nega sistematicamente il riconoscimento dell’affetto e della vita vissuta e a volte purtroppo spezzata insieme.
Respingiamo al mittente di aver strumentalizzato la morte di Domenico, e soprattutto di non aver voluto vedere l’immensità del dramma che ha colpito oltre 150 persone.
Esprimiamo infine la nostra piena solidarietà a Franco Grillini, già presidente di Arcigay, che è volgarmente attaccato nell’editoriale, quasi come capro espiatorio di un comunicato, sottoscritto da molti leader gay e lesbiche italiane.
Il cripto leghismo paventato nell’editoriale sta proprio nel negare che in questo stupendo e maledetto paese c’è ancora a sinistra l’idea che i gay e le lesbiche debbano vivere il loro orientamento sessuale in privato, non lamentarsi del fatto di essere considerati dei fantasmi sociali, la cui esistenza e realtà di vita viene taciuta nel nome di una eleganza di cui Merlo parla, ma di cui nelle sue parole non si trova traccia.
Aurelio Mancuso
presidente nazionale Arcigay