Il confronto sui preti gay

  

Nota stampa Arcigay – 9 gennaio 2009
AVVENIRE: APPREZZABILE IL CONFRONTO SUI PRETI GAY
Siamo in relazione con diversi ambienti cattolici, consapevoli che centinaia di migliaia di gay e lesbiche italiane sono credenti

E’ apprezzabile il confronto sui preti gay avviato con un articolo dello psichiatra Vittorino Andreoli su Avvenire.

Dentro la Chiesa Cattolica si sta sviluppando, nonostante l’ostilità di gran parte delle alte gerarchie, un confronto sul tema dell’omosessualità. Dopo la riflessione svolta dalla rivista dei Gesuiti nel luglio del 2008, l’articolo dell’Avvenire, pur con le prudenze tipiche, rivela come soprattutto tra i fedeli la questione dei consacrati omosessuali puo’ essere affrontata.

Solamente un tradizionale pessimismo sulla sessualità, quale essa sia, ha impedito anche in tempi recenti alla chiesa cattolica di aprirsi al mondo moderno con vero spirito d’ascolto. Ma l’iniziativa dell’Avvenire, e di altri giornali, riviste, gruppi cattolici rivelano un fermento assolutamente positivo, che potrebbe consentire un dialogo, nel rispetto delle reciproche e distanti posizioni, tra il movimento lgbt e l’articolato mondo cattolico italiano.

Non abbiamo mai fatto sconti alle dichiarazioni contro la dignità delle persone omosessuali da parte di Papi, cardinali, vescovi e mass media cattolici, ma questo non ci ha impedito, come ripetiamo da molto tempo, di mantenere relazioni con diversi ambienti cattolici, consapevoli che centinaia di migliaia di gay e lesbiche italiane sono credenti e soffrono per l’atteggiamento ufficiale della Chiesa rispetto alla loro vita e alle loro relazioni.

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Da Il Secolo XIX del 9 gennaio 2009
«IO, PRETE GAY ALL’ATTACCO DELL’IPOCRISIA CATTOLICA»
Padre Felice esce allo scoperto: ora ho una storia, chi sa lo accetta


di Patrizia Albanese


«Come vive la propria omosessualità un prete come me? Con molta serenità». Padre Felice, 50 anni, parroco in un Comune della Liguria, parla con il tono leggero di chi questa «serenità» non soltanto la vive davvero, ma la trasmette pure agli altri. Anche perché se l’è conquistata a caro prezzo. Con anni di tormenti, iniziati da adolescente. E poi in seminario, dove confida di aver «avuto la fortuna di una relazione con un altro seminarista». Una bella storia d’amore, «poetica, durata a lungo: per 15 anni». Ma che non gli ha risparmiato riflessioni interminabili e molto critiche. Sia verso se stesso, sia verso la Chiesa. Oggi che anche il quotidiano dei vescovi Avvenire ha aperto il dibattito su sacerdozio e omosessualità, padre Felice può rivelare tranquillamente di essere un prete gay.

«Sì, sono gay come molte altre persone all’interno della Chiesa, sebbene non tutte si manifestino». Appunto. Molti religiosi – preti e suore – sono omosessuali. Ma difficilmente ne parlano. Tantomeno in pubblico. Invece Italo, come si chiamava padre Felice nel mondo laico, quando ancora abitava in Lombardia con la famiglia, non soltanto ne parla, ma lo fa con estrema naturalezza. Conferma padre Felice: «Per vivere l’omosessualità con serenità occorre accettare se stessi. E mettere un filtro alla dinamica della gerarchia ecclesiastica e omofobica».

Padre, non è che qui parte una sospensione a divinis?


«All’inizio, vivi con terrore. Nascondendolo a te stesso. Poi capisci che devi accettarti, facendo un cammino di maturazione affettiva. Un cammino che di solito viene negato. Basta leggersi "Il diario di un curato di campagna" di George Bernanos per capire che cosa prova il classico pretino schiacciato».


Quando ha realizzato di essere gay?


Da ragazzino, si percepisce. In seminario, si realizza pienamente. Verso i vent’anni, si arriva all’accettazione».

Di nascosto? Pregando e macerandosi?


«Ho avuto la fortuna di una relazione con un altro seminarista. Era tutto molto poetico. Si hanno vent’anni. E tutta l’incoerenza dei vent’anni. Ma con la speranza data dalle aperture del Concilio. Così almeno si pensava allora. Perché poi è arrivata la Restaurazione. Ma la Chiesa non è una compagnia militare. È una comunione di più voci. Di più anime».

Quant’è durata la storia in seminario?


«Quindici anni. Anche lui è diventato prete. Poi ci siamo lasciati. L’amicizia è rimasta. Ora è missionario in Centro America».

Lei è così tranquillo…


«Guardi che conosco molti preti omosessuali, molto tranquilli e altrettanto sereni. Diverso è il caso di quelli che rifiutano di accettarlo e di accettarsi. Sono i primi a scagliarsi…».

Lei è single?


«Ho una storia da sei mesi. Con un coetaneo. Prete? No, pure lui single».

Scusi, padre, e la comunità?


«Non tutti sanno tutto. Mica siamo a un reality. Però chi sa accetta. E non ha problemi. Anzi, proprio per questo sono diventato un punto di riferimento per chi ha problemi d’amore. No, non soltanto gay. Anzi. Direi che si rivolgono a me i ragazzi etero. Sanno che posso comprenderli».

Scusi, ma la castità?


«Bella domanda. Soltanto i monaci e i frati fanno voto di castità sul modello greco di perfezione. Noi preti facciamo promessa di celibato».

Ossia?


«In realtà è frutto di un diktat della Chiesa del 1200, decisa a evitare che i patrimoni finissero alle famiglie dei religiosi. In realtà, non c’è mai stato obbligo di celibato. Tant’è che non esiste nelle altre religioni. E fino al 1200 neppure per noi. Francamente, penso che il fatto di vivere da soli non faccia maturare. Non ti fa preoccupare dell’altro».

Come dire che senza un partner e dei figli non si possono comprendere gli affanni quotidiani dei fedeli?


«Concordo. Ma sempre più la famiglia etero viene usata come scudo contro gli omosessuali. È la tragedia del nostro tempo. Che esiste solo da noi. Non in Africa, per esempio. La vita celibataria nelle Missioni non esiste. È importante, però, non farlo sapere. È il gap tra realtà e gerarchie ecclesiastiche. Che all’inizio tutelavano i patrimoni, ora disprezzano la sessualità. A parole. Nell’ipocrisia cattolica, basta non farlo sapere».

Invece lei fa coming out. È innamorato?


«Sì, felicemente. Da sei mesi. Una cosa molto serena».

Chi ha fatto il primo passo?


«Direi lui, eravamo in vacanza. Abbiamo iniziato parlando molto. Ci incontravamo».

E ora quando vi vedete? Nel fine settimana?


«Veramente, sabato e domenica io non posso… – ride – Ma nei giorni feriali, stiamo insieme».

Allora, auguri.


«Grazie di cuore».

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Da La Repubblica del 9 gennaio 2009
Parroco e omosex, non mi nascondo sono i vescovi a temere lo scandalo
Don Z., sacerdote di campagna: "I miei fedeli lo sanno, spesso la gente è più avanti di quel che si pensi". Cominciò tutto in seminario, mi innamorai di un ragazzo: ora è andato via, siamo amici

di MARCO POLITI

ROMA – Prete, gay, cinquantenne. Don Z. non è rimasto affatto colpito dal fatto che si stia aprendo una breccia nel muro di tabù che nella Chiesa circonda ancora l´omosessualità.

«L´Avvenire – risponde sorridendo – agli occhi del clero rappresenta un po´ il giornale governativo. Certo affermare la normalità dell´omosessualità diventa importante per quei fedeli i quali attendono ancora la linea dalla gerarchia. Però interessa meno a quei preti che da tempo vivono liberi la propria affettività».

Don Z. è parroco di campagna, è stato ordinato circa una ventina di anni fa e in un certo senso è gay da sempre.

Quando ha scoperto il suo orientamento sessuale?
«Da adolescente, come molti, e poi più chiaramente al seminario».

Cosa è successo?
«Mi sono innamorato di un altro seminarista. È una storia durata qualche anno, anche lui è diventato prete, ha cambiato città e siamo rimasti buoni amici».

Non siete stati scoperti?
«In seminario ognuno si faceva gli affari propri. C´era una vita abbastanza libera e su una trentina di allievi circa sette, otto avevano relazioni. Etero oppure omosessuali».

Prima dell´ordinazione ha avuto dubbi?
«No».

Poi ha avuto altre storie?
«Ci sono stati anche periodi in cui sono stato per conto mio, una breve stagione in cui ho frequentato ritrovi gay, ma in complesso ho vissuto una vita tranquilla. Adesso da un anno ho una nuova relazione. Credo che tutto dipenda dalla maturazione di una persona. Ci sono preti bravissimi che non hanno alcuna relazione e preti altrettanto bravi che hanno un rapporto».

Tutto avviene sempre in maniera così serena?
«Niente affatto. Ci sono preti che vivono la loro situazione con grande sofferenza, perché oscillano fra liberazione e repressione. Non hanno il coraggio di essere chiari con se stessi. Non c´è cosa più drammatica che rifiutare se stessi e contemporaneamente abbandonarsi ad una sessualità sregolata e poi ricadere nel bisogno di colpevolizzazione. Alla fine è essenziale chiarirsi e affrontare la vita con maturità».

I vescovi sanno?
«I vescovi sono terrorizzati, soprattutto in questa fase di restaurazione in Vaticano. Se c´è scandalo, cercano di coprire. Se tutto avviene senza scalpore, spesso fingono di non vedere. Magari vengono a sapere che un prete ha un nipote in canonica che nipote non è, ma sono restii a intervenire o suggeriscono semplicemente di non creare situazioni che possano creare scompiglio».

I suoi fedeli lo sanno di avere un parroco gay?
«Alcuni sì. Spesso i fedeli sono più avanti di quanto si pensi. "Sappiamo che quel prete ha amici – dicono – ma è bravo, predica bene, confessa bene, assiste gli anziani. Apprezziamo quello che fa". Da me in parrocchia i ragazzi e i giovani lo sanno».

Come l´hanno scoperto?
«Gliel´ho detto io».

Sul serio?
«Ho alcuni gruppi di ragazzi. Un giorno uno di loro ha detto di non sopportare gli omosessuali. Allora gli ho risposto: guarda, che ne hai uno davanti! I ragazzi hanno reagito in modo molto tranquillo, nessuno è andato in giro a dire niente. D´altronde uno di loro ha una zia lesbica, in paese lo sanno tutti e niente più».

In confessione ha incontrato fedeli, che hanno sollevato il problema di essere gay?
«Qualche volta. In genere, giovani angosciati dall´insegnamento cattolico tradizionale, che li spinge a non accettarsi, quasi a odiarsi, perché l´omosessualità è presentata come una cosa orribile e mostruosa».

E lei cosa fa?
«Li consiglio a rivolgersi a qualcuno che possa aiutarli a capire meglio se stessi».

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Comunicato Stampa ARCIGAY – 10 gennaio 2009
Avvenire, Boffo si scusi con i colleghi del Secolo XIX
Chiarisca se il suo giornale è di norma votato alla “inutile crudeltà” verso le persone omosessuali. Senza preti gay il vaticano sarebbe semi-vuoto

Basta che emerga la realtà dei preti omosessuali e c’è chi si agita, come accade a Dino Boffo, direttore di Avvenire che in un editoriale di oggi attacca lancia in resta i colleghi del Secolo XIX, e di riflesso quelli di Repubblica, per aver raccontato la storia di un prete omosessuale della Liguria, e ne mette in dubbio l’autenticità.

Nel livore contro il quotidiano genovese, Dino Boffo si fa sfuggire dichiarazioni gravissime. Dalle sue parole sembra che la linea editoriale di Avvenire rispetto alle persone omosessuali sia di indulgere in “inutile crudeltà” verso le persone omosessuali.

Boffo parlando dell’articolo di Vittorino Andreoli relativo all’omosessualità pubblicato da Avvenire e contestando che esso sia una “svolta” rispetto all’impostazione fino allora tenuta dal giornale, dichiara: “Semplicemente non c’erano, nel lessico pur franco dello psicanalista Andreoli, accenti di inutile crudeltà. Ebbene, approfittare di questo, per attribuire al giornale cattolico il contrario di quanto normalmente sostiene e di ciò che ha argomentato anche nella presente circostanza, è un’operazione indegna”.

“Chiediamo a Dino Boffo – dichiara Riccardo Gottardi, segretario nazionale di Arcigay – di chiarire se la linea editoriale abituale di Avvenire, fatto salvo l’articolo di Andreoli, sia quella della “inutile crudeltà” verso le persone omosessuali.”

“Sminuire il lavoro serio e la professionalità dei giornalisti del Secolo XIX e di Repubblica mettendo in dubbio la veridicità dell’intervista al “prete gay” – continua Gottardi – è sintomo del panico che si scatena ogni volta che viene affrontato il tema dei preti omosessuali. Ma non c’è da spaventarsi, c’è solo da accettare una realtà che non solo esiste, ma è fondamentale per la sopravvivenza della chiesa cattolica.

Se tutti i preti gay (per non parlare degli alti prelati e delle suore lesbiche) venissero allontanati dalla Chiesa, rimarrebbero davvero poche persone a dir messa e i palazzi Vaticani sarebbero semi-vuoti.”

“La reazione di Boffo, al di là del livore giustificabile solo in chi viene punto sul vivo – conclude Gottardi – ha il sapore di un’azione politica di negazionismo della realtà che, per usare le sue stesse parole, “richiama i vizi della propaganda in voga nei regimi oscuri di altre epoche”, e Dino Boffo dovrebbe quindi solo scusarsi con i colleghi del Secolo XIX e di Repubblica.”


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