Bologna. In corteo con fermezza e silenzio

  

Luca è cresciuto nella Torino anni ’70. Ha capito che gli piacevano i ragazzi vedendo un manifesto del FUORI, il primo movimento gay. Presto il padre, un calabrese operaio Fiat, ha smesso di parlargli. Eppure per lui quella è stata una bella epoca: la sua autonomia privata cresceva di pari passo col suo apprendistato politico. Poi negli anni ’80 si è trasferito a Bologna. Qui pubblico e privato hanno iniziato a divergere. Nell’Arcigay prevaleva una vocazione sindacale lontana dal libertarismo suo e del FUORI. In più, a Bologna aveva un ruolo abnorme la battaglia sui simboli: si litigava per una lapide, per l’identità sessuale di un vip o per una provocazione estetica, ma tutti gli scontri finivano o in scaramucce da Camillo e Peppone o in compromessi consociativi dietro cui affiorava la vocazione cattocomunista a «troncare, sopire». Oggi Luca partecipa al Gay Pride, ma rifiuta ogni intervento nel dibattito sul Cassero. Dice a un amico: «Vorrei che non cedessimo di un millimetro, ma che marciassimo muti». E dicendolo si accorge di somigliare sempre più a quel suo padre laconico, che in Fiat affrontava spavaldo manifestazioni e scioperi, ma divideva poche parole coi gruppi sindacali in lotta al suo fianco.


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