Prendiamo atto con apprensione che il Centro Cattolico di Bioetica dell’Arcidiocesi di Torino ha inviato, al Consiglio della Regione Piemonte, un comunicato col quale rende noto il “proprio punto di vista” a proposito della proposta di Legge Regionale n. 79/2010, “Norme sulla parità di trattamento e sul divieto di ogni forma di discriminazione”.
Su tale legge, attesa da anni dalle donne, dagli stranieri e dalla comunità omosessuale, su cui si costruì la piattaforma del Torino Pride 2009, il Centro diocesano chiede che “non abbia come risultato la censura o l’incriminazione di chi ritiene di affermare che la famiglia fondata sul matrimonio monogamico tra uomo e donna non va considerata solo come una delle tante unioni o convivenze possibili”.
Ci domandiamo su cosa si fondi tale preoccupazione, dal momento che nessuno tra i proponenti della legge, né tantomeno nessun esponente del movimento LGBT, ha mai fatto propaganda per la distruzione della famiglia. Ci domandiamo poi, in seconda istanza, quando sia stata l’ultima volta che la Curia abbia parlato con i suoi fedeli, visto che la realtà della vita quotidiana di milioni di italiani e italiane, qualunque sia il loro orientamento sessuale, è la convivenza fuori dal matrimonio, fondata però sugli stessi presupposti di amore ed accudimento, che lo Stato continua a non voler riconoscere.
Il documento chiede poi di garantire che “non venga discriminato, censurato o ostacolato (anche nell’accesso a finanziamenti) chi con metodo scientifico coltiva le tesi che l’omosessualità sia curabile”. Ci preme ricordare che tutta la comunità scientifica nega con certezza che l’omosessualità sia una malattia, e che l’Organizzazione Mondiale della Sanità l’ha derubricata da anni dall’elenco delle malattie. La pervicacia con cui alcuni ecclesiastici continuano ad affermare il contrario, conferma che il loro atteggiamento è sostenuto unicamente da un interessato pregiudizio, e li pone, scientificamente, fuori dal mondo.
Infine: “nelle prestazioni sanitarie, nelle politiche sociali, nelle politiche per il lavoro, nel diritto alla casa, altri tipi di unione o convivenza non siano preferiti o anche solo equiparati alla famiglia”. Facciamo presente che le politiche sanitarie, sociali e per il lavoro dovrebbero essere indirizzate alla persona e non alla famiglia, e sarebbe assurdo preferire un malato o un disoccupato spostato rispetto a uno convivente, o un eterosessuale rispetto a un gay.
Ci auguriamo che il Consiglio Regionale del Piemonte non tenga conto di questa anacronistica posizione e sappia fare il proprio dovere ispirandosi a concetti di laicità ed equità.
Arcigay Torino