Bologna, 17 dicembre 2014 – “Tutto torna”: Flavio Romani, presidente di Arcigay, commenta amaro il voto del Consiglio comunale di Faenza che lunedì sera ha approvato un ordine del giorno a sostegno della “famiglia naturale” e contro i matrimoni tra persone dello stesso sesso. “Quell’ordine del giorno – spiega Romani – è un’esibizione di forza, un trofeo clericale che sta passando in queste settimane di aula in aula per definire in ognuna, tra laici e clericali, chi “comanda”. Un virtuosismo tipico di chi in aula passa il tempo a girarsi i pollici, dal momento che nulla determina e nulla potrebbe mai determinare. L’unica utilità dell’ordine del giorno sta nel fissare una “bandierina”: grazie a quel voto scopriamo che la maggioranza degli eletti di quell’aula sostiene un’istanza incostituzionale e che ricorda nella retorica, nel pensiero sotteso e negli obiettivi il ventennio di Benito Mussolini. A comporre quella maggioranza sono, oltre ai consiglieri di destra, la metà esatta degli eletti del Partito Democratico, sindaco e presidente del consiglio compresi. Per qualcuno questa potrà essere una doccia fredda, non lo è per noi: dalla nascita del Pd denunciamo il diritto di tribuna riservato in quel partito alla lobby clericale, dalla Binetti in poi. Ed è sempre stato sulla pelle di gay, lesbiche e trans, vera e propria ossessione del potere ecclesiastico, che si è giocato l’accordo per corrompere dall’interno il più grande partito di centrosinistra. Quello che veniva descritto come un fenomeno residuale, era ed è in realtà un preciso progetto politico. Il caso del Consiglio faentino è una delle tappe di questo percorso, ormai talmente evidente da aver scatenato conflitti con tutte le parti sociali e da essere tema di dibattito sulle prime pagine dei giornali. Che cos’è il Pd? – chiede Romani – chi lo sostiene? Chi ne fa parte? E per quali obiettivi in realtà corre? Da anni il più grande partito di centrosinistra tiene in ostaggio un Paese, senza sapergli conferire alcun futuro credibile, per l’incapacità di dare una risposta dinanzi a sé stesso e agli elettori e alle elettrici, a queste fondamentali domande. E infatti proprio in Emilia- Romagna, dove il voto a Faenza mostra una metamorfosi già più che avviata, il Pd è in piena emorragia, reduce da primarie con numeri da pallottoliere e da un’affluenza alle urne per le ultime regionali che offende la tradizione democratica di quella regione. Le larghe intese sono dentro al Partito Democratico, non fuori. Il Nuovo Centro Destra è solo la “bad company” del Pd, i clericali di nuova generazione sono allineati dietro Renzi. Lo dicono il voto di Faenza e gli altri numerosissimi episodi come questo: chi lo nega, mistifica. Con questo cavallo di Troia clericofascista a spasso nell’area del centrosinistra, in ogni aula e a tutti i livelli, parlare di riforme è quasi una minaccia. L’abbiamo visto con la Legge contro l’Omotransfobia, che nel suo cammino monco in Parlamento è stata soltanto dotata di un salvacondotto per i neofascisti; lo stiamo vedendo ancora con il Jobs Act e continuiamo a vederlo tutte le volte in cui si parla di diritti, della vita delle persone, della loro dignità. Saremmo a questo punto curiosi di chiedere al neogovernatore dell’Emilia- Romagna, Stefano Bonaccini, al quale è indirizza l’istanza del consiglio comunale di Faenza e che per cinque anni, come segretario regionale, ha tenuto le fila del partito che oggi partorisce questi orrori, se in cuor suo corrisponderebbe agli auspici di quell’ordine del giorno, per far capire a noi e a tutti quanto è grande in realtà la bandiera piazzata l’altra sera dai clericali in Romagna”.