Sta per uscire "Machi di carta – Confessioni di un omosessuale cubano" di Alejandro Torreguitart Ruiz, un libro sconvolgente, una storia di sesso e sofferenza che racconta un amore gay con finale a sorpresa. Il tutto si svolge a Cuba, nella decadente atmosfera della vecchia Avana di fine secolo.
Arcigay.it vi offre in anteprima un estratto del romanzo: potete leggere il primo capitolo, u’accorato confronto di emozioni tra la vita in Italia e quella cubana.
Potete trovare il libro in tutte le librerie ‘Italia al’interno della Collana Eretica di Stampa Alternativa nella traduzione di Gordiano Lupi. Oppure potete ordinarlo sul sito di STAMPA ALTERNATIVA: www.stampalternativa.it.
I maschi cubani in generale, molto più di quelli italiani, si vantano delle loro doti amatorie e più degli altri manifestano esplicitamente il loro disprezzo per i gay.
Ma nella Cuba dei nostri giorni, al’Avana, capita che un giovanissimo gay e travestito susciti gli appetiti erotici di più d’un grande amatore, tanto da scatenare passioni e gelosie, in barba a tutte le esibite manifestazioni di machismo.
Una Cuba inedita, descritta in questa opera prima, dove — in camera da letto — tutti iconclamati pregiudizi antigay rovinano come castelli di carta, svelando che, se di “machi” si potrà ancora parlare, si tratterà di “machi di carta”.
1. Mi presento
Per cominciare dirò che mi chiamo Maicol, ho ventitré anni e la pelle mulatta, però ho i capelli neri e lisci come un bianco. Questo ci tengo a precisarlo perché da noi è importante. Si dice che a Cuba non c’è razzismo, ma non è mica vero. Persino i neri tra loro dicono scherzando che “in casa mia di nero basto io…”. Sono abbastanza alto, ho le gambe lunghe e il sedere stretto, le labbra carnose e il naso piccolino, gli occhi neri e sottili dal taglio cinese, le mani delicate. Le ragazze si innamorano del mio sorriso, dicono che dà luce a tutto il viso. Quando vengono a sapere che sono omosessuale ci restano male. Tutti dicono che la mia bellezza è femminile, delicata e che ho poco da invidiare a una donna. Quando ballo mi muovo con eleganza e conosco a memoria i passi della salsa e del merengue. Da quando sono in Italia insegno danza e mi esibisco in qualche festa. Vivo a Livorno, una città di mare che ricorda un po’ L’Avana e mi fa sentire meno la nostalgia. C’è addirittura un piccolo Malecón nella zona dell’Ardenza, simile al nostro però più basso e stretto. Nelle giornate di libeccio mi fermo a guardare il mare e il volo dei gabbiani. Sogno L’Avana. Sogno i bambini schizzati dal salmastro. Qui non accade, il mare se ne sta buono al di là del muro e un po’ ci resto deluso, ma comunque è bello stare con il volto proteso sulle onde a respirare il profumo del mare, specie quando il tempo è cattivo. Qui non c’è pericolo di cicloni e si può fare. Mi hanno detto che il libeccio, per quanto violento, non fa mai i danni delle nostre tempeste. A Livorno d’estate si può andare al mare e d’inverno non è che il freddo sia così terribile. Si sopporta. Basta un cappotto e fare l’abitudine ai maglioni di lana. Pizzicano un po’ e fanno arrossare la pelle, però ci si abitua. Vivo qui con Luca, un avvocato di trent’anni che ho conosciuto all’Avana. Luca è un bel ragazzo dai capelli castani e gli occhi verdi, alto, interessante. Mi ha affascinato subito per il suo modo di fare, così diverso da quello di tanti turisti che vengono a Cuba. Galante, romantico, sensibile. Mi ha detto che in Italia ha sempre fatto tutto di nascosto, temeva per la sua professione specie i primi tempi. Adesso è un avvocato inserito, ha rilevato lo studio del padre e ha un bel giro di clienti. L’omosessualità non è più un problema. Ecco l’Italia mi piace per questo: io e Luca possiamo vivere insieme alla luce del sole e nessuno ci trova niente da dire. Certo i pettegolezzi dei vicini di casa sono inevitabili, ma all’Avana sarebbe stato peggio.
Luca era venuto a Cuba in cerca di qualcosa di diverso, aveva letto Garcia Lorca e il diario dove confessa che soltanto all’Avana si sentiva libero di esprimere la sua omosessualità. Vedeva Cuba come il paradiso dei gay, un posto dove era possibile essere se stessi senza problemi. Avevo letto anch’io Garcia Lorca, che diamine. E avevo letto anche Lezama Lima e Senel Paz, però mi ero convinto che fosse soltanto letteratura. Letteratura e leggenda romantica. Forse L’Avana era così per uno straniero pieno di dollari, per un turista. Non per un cubano che ci doveva vivere. Perché vivere all’Avana da gay è dura, è sempre stata dura.
In ogni caso io e Luca ci siamo innamorati. Avevamo interessi simili, gusti simili, al di là che mi piaceva molto e io piacevo a lui. Perché il sesso è importante, se manca l’attrazione fisica manca quasi tutto, ma non è che si viva soltanto di sesso.
Luca è un avvocato un po’ particolare, non si occupa solo di codici e leggi, quando stacca dallo studio pensa ad altro. Legge molto, ama la poesia, la letteratura cubana, conosce un sacco di cose che a me sono sempre piaciute. Stiamo bene insieme anche per questo.
E’ stato lui a spingermi a scrivere questa storia della mia vita.
“Ti servirà a guardarti dentro. Scrivere è una liberazione” mi ha detto. Lo fa spesso anche lui di buttar giù dei pensieri, delle brevi poesie, me ne ha scritte di stupende quando eravamo a Cuba e qualche volta me ne scrive ancora.
Luca ha fatto di tutto per farmi venire in Italia. Non è stato facile, però. Da Cuba si esce soltanto sposando uno straniero e tra due uomini non era proprio possibile. Da quando sono qui leggo e ascolto cose che mi sconvolgono. I gay chiedono la legittimazione delle coppie e in qualche paese del nord Europa già succede. Forse un giorno potremo averlo anche noi. Mi sembra un sogno.
Luca è stato davvero grande. Ha portato all’Avana una sua amica omosessuale e mi ha fatto sposare con lei. E’ stato divertente. Un matrimonio in piena regola celebrato a La Maison con firma sui registri e auto d’epoca. Lui ha fatto da testimone e da traduttore ma per noi è stato come sposarci davvero. Paola era soltanto un mezzo per raggiungere lo scopo e alla fine della cerimonia formale ha lasciato il posto a Luca ben volentieri. Abbiamo fatto un giro in auto sul Malecón per scattare qualche foto al tramonto e subito dopo una festa a Regla in casa della nonna, dove abbiamo bevuto e ballato fino al mattino.
Ho dovuto attendere un paio di mesi per ottenere il visto per l’espatrio, ma poi è arrivato. Non potevano rifiutarlo: ero sposato.
Sono arrivato in Italia a gennaio e non posso negare che un po’ la differenza l’ho sentita. Freddo polare, pungente. Vento di tramontana e libeccio. Io ero uscito da Cuba soltanto una volta con il gruppo di ballo, però era agosto quando partimmo per una turnè in Spagna e non avevo sentito una gran differenza. In vita mia non avevo mai indossato niente più che una maglietta di cotone e un paio di pantaloni leggeri. In Italia non era proprio la stessa cosa. E poi mi mancava la musica e il chiasso della mia gente. Uno stereo acceso giorno e notte a tamburellare ritmi di merengue e salsa. Il silenzio è la cosa che ancora fatico ad accettare, soprattutto d’inverno. Perché quando viene l’estate non è che gli italiani siano così diversi dai cubani, con la bella stagione escono fuori dal guscio e sanno divertirsi. E’ anche un problema di clima, in fondo.
Mi mancano anche le vicine di casa che irrompono senza bussare con la scusa di farsi prestare un po’ di zucchero o del caffè e poi si fermano per ore a spettegolare e a commentare le ultime puntate della novela trasmesse dalla televisione.
Qui ognuno vive a casa propria.
Io mi sforzo di riprodurre un’atmosfera cubana, almeno in casa mia. Però non è facile. Per esempio lo stereo va tenuto a basso volume perché dà fastidio ai vicini. I lati negativi sono tanti, è vero. Però anche le cose buone non vanno dimenticate. Qui vivo tranquillo con Luca e poi ho un lavoro, insegno danza latino-americana in una palestra e guadagno dei soldi. Ho una casa vera e una solidità economica, senza dovermi ingegnare ogni giorno a procurarmi pranzo e cena. Non tornerei indietro, certo che no. Anche se Cuba mi manca, perché negarlo? E’ la mia terra. E mi capita spesso di sentire che in fondo al cuore è ancora aperta una ferita di nostalgia.
Alejandro Torreguitart Ruiz (L’Avana, 1979)
è studente di letteratura spagnola all’Università dell’Avana, scrive poesie e racconti per la rivista accademica El Barrio, è poeta repentista e cantautore. Suona in un gruppo rock chiamato Esperanza. Ha scritto il racconto lungo "La Marina del mio passato" che verrà pubblicato in calce al saggio di Gordiano Lupi "Vedere Cuba dalla parte dei cubani" (Terzo Millennio Editore) e il romanzo breve "Confessioni di un omosessuale" che uscirà nel 2003 per Stampa Alternativa. Entrambe le opere sono state tradotte da Gordiano Lupi e sono inedite. Altro materiale inedito è stato tradotto e attende un editore. Tra questi: "Vita da jinetera", romanzo sul mondo della prostituzione e Bozzetti avaneri, una raccolta di racconti che non sono racconti come dice lo stesso Alejandro.