Finalmente si parla di AIDS

  

Da "La Repubblica" del 28.11.04
Mtv e La7, tv col fiocchetto rosso per la battaglia contro l´Aids
Per il primo dicembre, giornata che promuove la lotta contro la malattia, le reti si mobilitano – Da martedì in prima tv la serie "Angels in America" con Al Pacino e Meryl Streep

Angels in America

Angels in America

L´Aids non è stata vinta ma è un pericolo pronto a colpire chiunque abbia comportamenti a rischio. È questo in sintesi il messaggio lanciato, in occasione della Giornata Mondiale per la Lotta all´Aids (il primo dicembre) da La7 e Mtv, che hanno rivoluzionato il loro palinsesto dedicando ampi spazi e iniziative legate alla raccolta fondi a favore della Lila, Lega italiana contro l´Aids. «Lo spettro d´azione è molto ampio» spiega Antonio Campo Dall´Orto, amministratore delegato di Mtv Italia e direttore dei programmi de La7, «visto che circa 12-13 milioni di spettatori al giorno seguono La7 e 7-8 milioni Mtv. Dopo il boom dei primi anni ?80, l´informazione dei media sull´Aids è scemata, mentre il problema sta crescendo».

Per la prima volta, oltre a Mtv, quindi, anche La7 "indosserà" il fiocchetto rosso, simbolo della lotta all´Aids. Il 30 novembre, il primo e il 2 dicembre, La7 presenta in prima tv Angels in America – A gay fantasia on the national themes, la pluripremiata serie (5 Golden Globe, 11 premi Emi Emmy, un record), diretta da Mike Nichols con Al Pacino, Meryl Streep ed Emma Thompson, che affronta il tema dell´Aids e dell´omosessualità. Nata come pièce teatrale è valsa all´autore Tony Cushner il premio Pulitzer come miglior dramma nel ?93, oltre a vari Tony awards. Tradotta in film dall´Hbo nel 2003, ha segnato gli spettatori americani, aprendo una discussione sulla malattia. Ambientata a New York, Angels in America racconta la relazione gay fra Louis Ironson e Prior Walter e il matrimonio fra l´avvocato mormone Joe Pitt e Harper, giovane moglie depressa. Spicca il personaggio, realmente esistito, di Roy Cohn, famoso avvocato e faccendiere. Le storie per puro caso si intrecciano stravolgendo il destino dei protagonisti. Tante iniziative anche su Mtv. Il primo dicembre Camila Raznovich condurrà una puntata in diretta di Loveline; alle 13, alle 22 e alle 4 andrà in onda uno speciale coprodotto da Mtv e Cnn sui disagi della malattia. Andranno in onda anche promo sul World Aids Day e la nuova campagna Save the humans, con gli animali protagonisti che discutono sul virus e si impegnano a fare qualcosa per «salvare la razza umana».


Da "La Stampa" del 28.11.04 di m. acc.
«Aids, a rischio sempre più eterosessuali»

«L’Aids continua a contagiare, anche perché si è abbassata la guardia pensando che coi nuovi farmaci sia diventato un problema minore…». Valter Galante, assessore regionale alla Sanità, non nasconde la sua preoccupazione. I numeri presentati ieri a Torino, alla vigilia della Giornata mondiale contro l’Aids, dicono che tre nuove infezioni su quattro sono a trasmissione sessuale. L’Aids è sempre meno la malattia degli omossessuali e dei tossicodipendenti, e sempre più il flagello di tanti uomini e donne eterosessuali.

Un problema di prevenzione, quindi, ma anche un problema di risorse, visto che i nuovi farmaci hanno aumentato la sopravvivenza. «I pazienti di un tempo vivono più a lungo grazie alle medicine», sottolinea la dottoressa Chiara Pasqualini, del Servizio regionale di Epidemiologia per la sorveglianza, la prevenzione e il conrollo delle Malattie Infettive. «Questo significa che non possiamo abbandonarli a se stessi, ma sarà sempre necessario inserire la questione negli obiettivi e nelle strategie delle politiche sociali». I nuovi casi di infezione in Piemonte sono circa 300 l’anno, in andamento costante. Significa quasi nove casi ogni 100 mila abitanti, valore superiore a quello stimato a livello nazionale. «Negli ultimi cinque anni – sottolinea in particolare il professor Giovanni Di Perri, direttore della Clinica per malattie infettive dell’Università di Torino – il 40 per cento dei nuovi casi di infezione è arrivato alla diagnosi troppo tardi, o perché già in Aids conclamato, o perché l’infezione è progredita al punto da compromettere il successo delle cure». «I numeri parlano chiaro: la principale strada della prevenzione – è stato detto ieri – sono le campagne per il “sesso sicuro”. Campagne che invece continuano a non decollare, nella convinzione errata che parlarne sia come spingere i giovani ad avere rapporti sessuali. E così, silenzio dopo silenzio, continuiamo a fare i conti con i contagi»


Da "’Unità" del 29.11.04 di Cristiana Pulcinelli
La doppia vulnerabilità delle donne

Quasi la metà delle persone che vivono con ‘infezione da Hiv in tutto il mondo sono donne. In Asia, Europa del’Est e America Latina la percentuale di donne tra i sieropositivi è in crescita. Nel’Africa sub sahariana le ragazze tra i 15 e i 24 anni hanno una probabilità di infettarsi 3 volte superiore rispetto ai loro coetanei maschi, mentre in tutto il mondo le donne hanno una probabilità doppia rispetto agli uomini di prendere ‘Hiv da un unico rapporto sessuale non protetto. Una maggiore vulnerabilità biologica che si accompagna anche a una maggiore vulnerabilità sociale: spesso le donne sono in una posizione di dipendenza dagli uomini ai quali non sono in grado di imporre ‘uso di metodi di prevenzione, come ad esempio il preservativo.
I dati del rapporto annuale stilato dal’Unaids, il programma delle Nazioni Unite per la lotta contro ‘Aids, riguardano soprattutto ‘universo femminile. Si capisce, dunque, come mai la giornata mondiale contro ‘Aids, prevista per il primo dicembre, ques’anno sia dedicata proprio a loro: le donne.

Il crescere del’infezione nella popolazione femminile ha un doppio valore negativo. Le donne, infatti, si prendono cura della casa e della famiglia. Se si ammalano, ‘intero nucleo familiare ne soffrirà. Nei paesi più poveri, dove anche i servizi pubblici sono scarsi, ‘espandersi del’epidemia tra le donne avrà quindi conseguenze drammatiche dal punto di vista sociale, economico e sanitario. E si crea facilmente un circolo vizioso: nei paesi maggiormente colpiti dal’epidemia, le ragazze vengono costrette ad abbandonare la scuola per accudire un parente malato o i fratelli più piccoli a cui la mamma malata non può stare più dietro. Ma frequentare la scuola è un fattore importante nel’acquisire la capacità di proteggersi dal’infezione. Così, come si vede nella tabella che pubblichiamo in questa pagina, sono molto poche le ragazze che conoscono i metodi per prevenire il contagio.

Il rapporto del’Unaids sottolinea una novità importante nel modo in cui ‘Aids si diffonde nelle varie regioni del pianeta. Mentre in Africa le donne sono state colpite dal’epidemia fin dal primo momento, questo fenomeno è andato crescendo recentemente in altre parti del mondo. Infatti, spesso ‘inizio del’epidemia da Hiv è caratterizzato dalla rapida diffusione del contagio in gruppi di popolazione relativamente ristretti, ma caratterizzati da comportamenti ad alto rischio. Ad esempio, al’inizio degli anni Ottanta ‘epidemia è cominciata tra gli omosessuali maschi negli Stati Uniti o tra i tossicodipendenti (in grande maggioranza maschi) nei paesi del’Europa mediterranea. Alla fine degli anni Ottanta, invece, tossicodipendenti e prostitute sono stati il focolaio iniziale del’epidemia nel sud est asiatico e i tossicodipendenti sono stati anche il gruppo in cui è iniziata ‘epidemia negli anni Novanta nei paesi del’ex blocco sovietico.

‘epidemia, al’interno di questi gruppi, nella sua fase iniziale ha un andamento esplosivo: molte persone si contagiano perché sono molte le occasioni di contagio (lo scambio di siringhe o i rapporti con molti partner diversi). Tuttavia, si tratta pur sempre di gruppi relativamente poco numerosi al’interno della popolazione. Se, quindi, ‘infezione rimanesse confinata al’interno di questi gruppi, sarebbe destinata ad esaurirsi. Non è questo però quello che è accaduto con ‘Aids. Il contagio è passato anche alla cosiddetta popolazione generale, ossia a persone con comportamenti a minor rischio. E la via di diffusione è stata il contagio eterosessuale.

In realtà, il rischio medio di infettarsi per le persone sessualmente attive nei paesi occidentali è relativamente basso, ma interessa praticamente chiunque non abbia rapporti reciprocamente monogami o sempre protetti: quindi una fetta molto ampia della popolazione. Questo fa sì che anche nei paesi industrializzati si contino ogni anno migliaia di nuove infezioni che interessano entrambi i sessi.

Nei primi anni Novanta si era temuto che questo passaggio alla popolazione generale potesse comportare anche per i paesi occidentali o del’Asia un andamento dilagante del contagio paragonabile a quello dell’Africa. Questo non è avvenuto e sono in molti a interrogarsi sul perché di questa differenza. Tra le risposte possibili ci sono la capacità della società di rispondere a un problema sanitario o fattori biologici come la frequenza di altre infezioni sessuali che potrebbero favorire la diffusione del’Hiv. Inoltre, come suggeriscono Daniel Halperin e Helen Epstein dello Us Agency for International Development in un articolo pubblicato su Lancet a luglio di ques’anno, un ruolo importante potrebbe avere la differenza nel tipo di comportamenti sessuali. Differenza che non riguarda il numero dei partner, ma il fatto che in Africa si abbia frequentemente più di una relazione stabile nello stesso tempo. Il periodo di massima contagiosità è, infatti, quello che segue immediatamente il momento in cui ci si infetta. Avere rapporti sessuali con un altro partner subito dopo aver contratto il virus aumenta la probabilità di trasmettere il contagio.


Da "Il Riformista" del 30.11.04 di GIANCARLO MANCINI
Anche gli angeli hanno l’Aids
SU LA 7 IL FILM PRODOTTO DA HBO.

Giunge finalmente sui nostri schermi televisivi, dopo l’incetta di premi agli ultimi Emmy Awards, Angels in America, un grande affresco degli Stati Uniti nell’era reaganiana diretto da Mike Nichols, il regista de Il Laureato e Conoscenza carnale, con un cast d’eccezione in cui figurano Al Pacino, Meryl Streep ed Emma Thompson. Il film, della durata di sei ore divise in varie puntate, sarà trasmesso da La7 a partire da oggi e nei giorni dedicati alla lotta contro l’Aids. Già perché il tema centrale del testo di Tony Kushner, da cui è tratto, capace di segnare un’epoca nella produzione drammaturgica nordamericana è proprio la trasformazione della vita costretta a fare i conti con una delle più grandi malattie della storia umana. Ancora oggi vale la pena chiederci se davvero sono evaporati i pregiudizi, le ipocrisie, le false credenze riguardanti l’omosessualità, il diritto ad infrangere i tabù dettati da religioni o morali troppo invasive della sfera individuale.

Certo di paralleli tra quel 1985 in cui inizia il racconto e l’odierno stato delle cose, con dibattiti tra ateobigotti e veteroprogressisti dal passo sempre più debole, se ne possono trovare molti dentro e fuori il recinto propriamente delimitato dal film, a testimonianza della sua affascinante architettura testuale. Non a caso si inizia con un Rabbi che denuncia l’ipocrita compiutezza del melting pot, il progetto di amalgama delle varie razze ideato dai padri fondatori della Nazione, le diversità sono rimaste tali, è avanzata invece l’ansia di successo, il rampantismo, l’egoismo ultrapragmatico della generazione degli Yuppie.

Nella prima parte Millennium Approaches si dipinge un panorama di desolante decadenza dell’occidente, impreparato di fronte alle rovine di un sistema di vita basato sulla competività giunto ormai al collasso.

Ray Cohn (Pacino), importante personaggio della nomenclatura governativa sin dalla Commissione contro le infiltrazioni di comunisti istituita negli anni cinquanta dal senatore Mc Carthy, rifiuta di confessare la propria malattia, derivata da attenzioni troppo morbose sui bambini, scegliendo di acquistare sottobanco partite di Azt, l’unica medicina al tempo ritenuta efficace, in cambio del proprio silenzio sui tanti affari sporchi a cui ha partecipato nella propria carriera. Opposta è la reazione di Prior, un trentenne caduto in disperazione dopo l’abbandono del fidanzato, inizia ad avere visioni di un affascinante angelo (Emma Thompson), determinato a farlo diventare un profeta di sventura per il genere umano. Film corale in cui gli attori spesso interpretano più ruoli, come la Thompson o la strepitosa Meryl Streep, nei panni contemporaneamente di Ethel Rosenberg una donna condannata molti anni prima da Cohn alla sedia elettrica per il sospetto di essere comunista. Ma anche di una caparbia mamma giunta a New York dopo la perdita del figlio, dedita alla compassionevole opera di sussidio dei più sfortunati.

Molti altri ancora sarebbero i personaggi di cui parlare, tanto è vasta la genia umana di questa variegata opera di Kushner, non restio a tributare il dovuto omaggio ai maestri Brecht e Melville. L’Aids, terribile flagello dell’America e dell’Occidente, ma più tardi e con un peso ancor maggiore in Africa, è posto come una prova del fuoco che nella nostra epoca gli uomini hanno dovuto sostenere per mettere alla prova della concreta realtà quegli ideali di rinnovamento della società e della convivenza tanto declamati negli anni settanta. E’ una perestroika, il titolo della seconda parte, su cui poter e dover scommettere, resistendo titanicamente come Prior, o volgendosi completamente verso il prossimo come la Streep. Molti sono gli stati d’animo attraversati in queste sei d’ore tramite i volti dei protagonisti di questa importante produzione della Hbo, la televisione via cavo che ha confezionato successi come I Soprano e Sex and the city. Chissà se ai nostri produttori, imbolsiti sui soliti quattro soggetti, con monache di clausura, preti, frati, poliziotti e carabinieri, sempre più giù fino ai fascisti dal cuore buono, non soggiunga qualche pizzicotto tra le paffute gote nel vedere la fattura e la serietà di questo lavoro. In fondo anche da noi qualche angelo del tubo catodico dovrà pur esserci.


Da "La Gazzetta del Sud" del 27.11.04
Aids, u’infezione ogni due ore
Ogni anno in Italia quattromila nuovi sieropositivi. A Milano il congresso nazionale Anlaids. Nuovo allarme: molti scoprono di essere ammalati solo dopo i 60 anni

MILANO — Quattromila sono ogni anno in Italia coloro che si infettano col virus Hiv, una persona ogni 2 ore; ma uno su due non sa di essere sieropositivo, e come una “mina vagante” andrà a infettare altre persone per anni prima di scoprirsi malato di Aids, magari a oltre i 60 come capita oggi a un malato su 20. Cosa che spinge gli esperti a dire che ‘Aids «comincia ad avere i capelli bianchi…». ‘ la nuova immagine del’Aids con i numeri forniti dagli esperti alla vigilia del 18/o Congresso del’Associazione Nazionale per la Lotta contro ‘Aids (Anlaids), che si aprirà domani a Milano presieduto da Tiziana Ferrario e Mauro Moroni, per chiudersi martedì 30 dopo tre giorni di lavori. Numeri che destano la preoccupazione degli infettivologi italiani che, alla conferenza stampa di presentazione del congresso, hanno lanciato un allarme: «Non abbassare la guardia. Il trend decrescente dei nuovi casi annuali, che ‘anno scorso si attestava su 3500 (contro i 12 mila del 1995), si è interrotto e ‘Italia, con 4000 nuovi casi annui torna a essere un Paese a rischio di crescita del’epidemia». U’epidemia diversa da quella degli anni passati, che non interessa più gruppi particolari, come gli omosessuali (nei primi anni in Usa) o i tossicodipendenti (come in Europa), ma riguarda in modo generale tutti, «tanto che — sottolinea Moroni — cresce il pianeta dei capelli bianchi: sempre più persone non giovani (oggi 1 su 20 ha 60 anni e oltre) si infettano col virus durante rapporti a rischio mentre vanno alla ricerca di sensazioni forti. E spesso si tratta di persone insospettabili, di vedovi e vedove, di benestanti che viaggiano molto, di persone dalla vita apparentemente tranquilla».

‘immunologo romano Fernando Aiuti sottolinea il grande impegno del’Anlaids, «impegno — dice — quanto mai attuale, visto che oggi ‘infezione da Hiv è cambiata e crea minori preoccupazioni alla gente. Si avverte un enorme abbassamento della guardia, quasi che la malattia fosse sconfitta. Che errore!». E chiede al ministro Sirchia di adoperarsi a far abbassare il prezzo del preservativo, esattamente come ha fatto per il latte in polvere e per il vaccino antinfluenzale. «’uso del preservativo — afferma Aiuti — riduce il numero delle infezioni del 90%, con vantaggi enormi per il singolo individuo, ma anche per la comunità intera. Ma per molti è un problema utilizzarlo a causa del costo giudicato troppo alto». E ricorda i risultati di un test attuato negli Usa, dove ‘ aumento della campagna di informazione sul’Aids e il prezzo del condom portato a zero ha coinciso con ‘aumento del suo utilizzo del 90%. Per questo Aiuti chiede al ministro Sirchia di intervenire per far abbassare, almeno del 50% il prezzo del condom, analogamente a quanto il ministro ha fatto per il latte in polvere e il vaccino antinfluenzale: «Il preservativo — dice — è presidio sanitario di salute pubblica». Oltre a chiedere u’azione verso le industrie del settore, Aiuti invita anche le associazioni dei consumatori a mobilitarsi: «Non dobbiamo guardare al preservativo — conclude — come a un qualcosa che attiene al piacere e al vizio, perchè ‘atto sessuale un un fatto assolutamente normale. Se protetto è meglio». E sul prezzo del profilattico gli danno ragione i risultati di un sondaggio effettuato a cura di Tiziana Ferrario su 1000 studenti di 12 istituti superiori milanesi, interpellati prima e dopo aver assistito a una lezione tenuta da medici esperti di Aids. Molti dei ragazzi hanno detto di non avere preconcetti sul preservativo, e il 98,6% è consapevole che il non usarlo comporti il rischio di trasmissione della malattia. «Ma non lo usano — afferma Ferrario — anche perchè per 4 studenti su 10 costa troppo per il loro bilancio».


Da "Corriere della Sera" del 27.11.04 di A.Bz.
«Vivo, ma il mio corpo cambia»
"…È una domanda che porta soltanto a una maggiore discriminazione. Quella verso i tossicodipendenti, per chi si è infettato con le siringhe. Quella sessuale, per gli uomini omosessuali…"

Prova a cercare un dialogo attraverso Internet con chi, come lei, vive con il virus dell’Aids, ma è difficile. «C’è troppa paura di uscire allo scoperto, c’è troppa diffidenza», racconta Paola, 46 anni, venti vissuti con un «compagno» prima silenzioso, l’Hiv, poi aggressivo, che le ha ucciso il bimbo che Paola aveva cercato di avere, qualche anno fa. Ora il «compagno» pare assopito, nonostante la donna abbia interrotto la terapia. «Fra i nostri desideri di sieropositivi – dice – mettiamo al primo posto la normalità, la voglia di riprogettare una vita. La paura di morire è meno forte di una volta. Allora, quando ho scoperto l’infezione, non si conosceva bene il virus. Non si chiamava nemmeno Hiv come oggi, ma Htlv III. Di sicuro, però si sapeva che era mortale». Come si è infettata?
«Non ha importanza il modo – risponde Paola -. È una domanda che porta soltanto a una maggiore discriminazione. Quella verso i tossicodipendenti, per chi si è infettato con le siringhe. Quella sessuale, per gli uomini omosessuali».

È la discriminazione che spaventa di più? La paura della solitudine ?

«Anche quello. Ricordo bene che anni fa, quando vivevo a Padova – continua Paola, che oggi abita a Perugia – nei bar vicino all’ospedale davano ai sieropositivi i bicchieri di carta».

Oggi è cambiato qualcosa?

«Non molto. Certi eccessi sono stati smussati, ma può essere addirittura peggio. C’è emarginazione sociale e discriminazione nel mondo del lavoro».

Paola ha avuto abbastanza fortuna: all’epoca non c’erano cure e le persone morivano come mosche. Lei è sopravvissuta e ha cominciato a curarsi nel 1999, ma ha avuto problemi con i farmaci. «Per tre anni tutto è andato bene – riprende a raccontare -. Poi sono cominciati gli effetti collaterali. La lipodistrofia soprattutto, questa trasformazione forzata del corpo, che comincia a crescere sulla pancia e assottigliarsi sulle gambe. Una sensazione orribile».

Paola ha avuto il coraggio di dichiarare la sua malattia, ma molti non lo fanno. Al portale Internet del network italiano di persone sieropositive ( www.npsitalia.net ) qualcuno ha paura di mandare una semplice email.


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