In accordo con quanto affermato nel documento “Ali alla libertà” in cui si esprime in termini chiari che “Le nostre lotte si radicano nel pensiero democratico e liberale e si esprimono in una cultura radicale nei contenuti e riformista nei metodi di azione ma, soprattutto, autonoma dai tentativi di subordinare la libertà degli individui e i diritti umani e civili ad altre priorità.”
E che:
“Il principio dell’autonomia della nostra azione e dei diritti che rappresentiamo continuerà a guidarci nella nostra azione sociale, nelle alleanze politiche, nei comportamenti elettorali: mai ci schiereremo con chi non si schiera con noi, mai consegneremo cambiali in bianco ai partiti politici, mai chiameremo la nostra comunità ad esprimere il suo voto a favore di chi non si sia impegnato in modo chiaro e deciso nella promozione dei nostri diritti e delle nostre libertà.”
In accordo con tali affermazioni, che costituiscono i pilastri fondanti delle nostre azioni.
In accordo con alcuni concetti come:
le dinamiche con cui si attuano le rivendicazioni condizionano i risultati ottenuti. Esse non sono solo mero strumento di emersione, ma devono tradursi in esemplificazione dei principi rivendicati.
i diritti fondamentali della persona non sono in alcun modo barattabili,
Noi siamo persone libere e nessuna cultura e nessuna istituzione p(uò)ossono farci credere il contrario,
e tenuto conto che:
la scelta di una coerente dinamica rivendicativa parte dalla:
– corretta analisi dei meccanismi sociali che determinano e veicolano le discriminazioni
– completa individuazione degli imprinting culturali omofobici presenti nella nostra formazione personale
– coerente ricerca degli strumenti condivisi da quanti lottano per la liberazione dai dispositivi discriminanti e liberticidi.
– corretta individuazione dei bersagli su cui focalizzare la nostra azione
risulta che alcune dinamiche rivendicative, pur apparentemente in linea con tali principi, possono in ultima analisi comportare un risultato diverso da quello atteso.
Si chiede quindi al Consiglio Nazionale di promuovere all’interno delle nostre associazioni e in tutte le strutture culturali competenti, in collaborazione con tutte le anime del movimento, una serie di dibattiti volti a chiarire le corrette strategie per perseguire i nostri obbiettivi.
Chiediamo al Consiglio Nazionale di promuovere la diffusione di tali informazioni all’interno della Comunità in modo che queste analisi diventino patrimonio comune e strumento di unione tra Comunità e Movimento.
Alcuni esempi a riguardo:
1) la volontà comune della Comunità è quella di esigere uno Stato laico. Di esigere, pur nel rispetto assoluto delle credenze religiose di ognuno, l’estraneità del pensiero religioso nella definizione/determinazione dei diritti fondamentali della persona. Per questo la scelta di non considerare pertinente in tali ambiti della presenza dialettica di entità religiose come quella del “Vaticano”, appare scontato. Ma esistono meccanismi che di fatto annullano questa volontà: interloquire con quei partiti che con loro atti assecondano le “direttive” religiose, vuol dire permettere al Vaticano di essere comunque indirettamente presente. Quindi la scelta dell’interlocutore visceralmente laico è indispensabile, e certe trasversalità politiche sono inconcepibili.
2) Nel testo “Ali alla libertà” si afferma: “ Il tema di una radicale liberazione degli individui dal maschilismo e dall’eterosessismo non può essere subordinato a questa o quell’altra priorità politica”. Se si persegue il meraviglioso significato di queste parole, si capisce che non è concepibile avere riconosciuti i Nostri Diritti da Ambiti politici che si fondano su questi principi. Il compromesso strategico e la mediazione mirata con questi partiti, così come la ricerca di una ipotetica trasversalità, va solo nella direzione di cedere nel significato intrinseco delle nostre rivendicazioni, dei nostri principi, dei nostri percorsi e delle nostre vite. La “radicalità” affermata nel testo “ali alla libertà” va perseguita anche con la convinzione che non tutti possono essere nostri interlocutori.
3) Chiedere ad un sistema maschilista e prevaricante di riconoscere dei diritti a una minoranza attraverso una “lotta di forza o di lobby” o comunque attraverso qualsiasi forma di pressione o ricatto, utilizzando quindi le stesse strategie su cui si fonda il sistema, comporta in ultima analisi la condiscendenza al sistema e la perpetrazione delle dinamiche discriminatorie.
4) Agire per “inserire” gruppi di persone discriminate in una società che non le “ingloba culturalmente”, non risulta efficace se non si cancellano gli “schematismi mentali” che li sostengono, ad esempio, quelli presenti nei confronti dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere.
Nel momento in cui noi salvaguardiamo una categoria, anche attraverso atti verbali, e non combattiamo il principio che genera la differenzia e la loro esclusione dalla società, ribadiamo sia la separazione, sia il principio che attua la separazione.
5) Il “controllo” che lo Stato ha sul cittadino si esplica principalmente attraverso la gestione e della libertà e della sessualità dell’individuo. Molti aspetti omofobici e discriminativi presenti nella nostra società partono da questa necessità. Parimenti, l’estrema gerarchizzazione delle strutture sociali, espressione più di una volontà di controllo che di organizzazione funzionale, deve essere abiurata ed esclusa dai nostri piani organizzativi associativi, che viceversa debbono fondarsi ed essere costruiti, al pari di quanto affermato nel testo “Ali alla libertà” , :” con i nostri corpi e le nostre vite prima ancora che con le nostre azioni politiche e le nostre forme organizzative”.
Fabio Pellegatta
Paolo Epis
Pier Cesare Notaro
Circolo Arcigay CIG – Milano