World Pride a Gerusalemme?
Dal 6 al 12 agosto si terrà a Gerusalemme il Gay Pride Mondiale, organizzato da Bait Patuach, una delle più attive e interessanti associazioni GLBT israeliane. L’evento era stato originariamente fissato per l’agosto 2005 ma il coincidente ritiro israeliano dalla Striscia di Gaza portò gli organizzatori a posticipare di un anno quest’importante manifestazione. Alcuni leader del movimento gay affermarono infatti che, in una tale situazione politica e di grande rischio per la sicurezza nazionale, la comunità GLBT non poteva né doveva fornire ulteriori motivi di divisione distogliendo le forze dell’ordine dalle operazioni di sgombero a Gaza. E’ quindi con gioia e grandi aspettative che i gay e le lesbiche israeliani aspettavano l’agosto 2006. Il Pride Mondiale avrebbe dovuto essere un punto d’arrivo per sottolineare i grandi avanzamenti legislativi e sociali avvenuti nello Stato d’Israele negli ultimi anni in favore della comunità GLBT e per offrire un’immagine originale e vivace di Israele.
Gerusalemme, luogo scelto per il Pride, è stata e continua ad essere motivo di disaccordo e dibattito sia per i gay che, soprattutto, per le comunità ortodosse. Le ultime sostengono come questa scelta sia da considerarsi motivo di dissacrazione della città, luogo più santo dell’ebraismo. Da parte loro i gay fanno presente come Gerusalemme non sia territorio esclusivo dell’ortodossia e dell’ultra-ortodossia, ma rappresenti piuttosto un luogo simbolico dell’ebraismo in senso sia culturale che religioso, dove iniziare un percorso di convivenza e tolleranza. Da qui lo slogan dell’evento: “amore senza frontiere”. Il Pride Mondiale dunque si caratterizza come un momento di riflessione sulla situazione israelo-palestinese, gay e non. Gruppi più politicizzati hanno anche proposto manifestazioni nei pressi della barriera di separazione tra Israele e i Territori Occupati. Ciò ha suscitato la preoccupazione di alcuni esponenti gay israeliani che l’evento divenisse, da manifestazione per i diritti GLBT, una protesta contro il governo israeliano. Ciononostante, la comunità è parsa piuttosto unita nel sostenere il Pride, anche annullando l’usuale parata sul lungomare di Tel Aviv, per concentrarsi proprio su Gerusalemme.
In queste settimane i preparativi fervono, siti gay israeliani pubblicano ogni giorno programmi aggiornati degli eventi: convegni, sfilate, tour organizzati nel Negev, serate in discoteca a Tel Aviv… Sul quotidiano Ha’Aretz molti commentatori hanno espresso la propria opinione sui rapporti tra gay e ortodossi, intellettuali quali il poeta Ilan Sheinfeld e politici come il liberal Yossi Beilin hanno portato ognuno il proprio contributo al dibattito.
Negli ultimi giorni, come è noto, la situazione sul confine israelo-libanese, i missili di Hizballah e le conseguenti rappresaglie dell’esercito israeliano hanno fatto entrare Israele e il Libano in uno stato di guerra. E’ scattata una delle operazioni militari più imponenti dalla guerra israelo-libanese del 1982. Beirut e il sud Libano sono stati bombardati, con conseguenti perdite civili e distruzione, oltre che di edifici e persone legate a Hizballah, anche di innocenti villaggi e cittadini libanesi. Dall’altra parte la bella città di Haifa e tutta la Galilea sono sotto il fuoco dei missili della formazione terroristica libanese, famiglie fuggono a sud di Tel Aviv da amici e parenti e, chi rimane, trascorre le giornate chiuso nei rifugi, con il sottofondo assordante delle sirene. Il governo israeliano annuncia che le operazioni non cesseranno fino alla liberazione dei soldati rapiti e la fine del lancio di missili oltreconfine. Gli osservatori internazionali temono il regionalizzarsi del conflitto, con l’inclusione di Siria e Iran, sostenitori e finanziatori di Hizballah. Anche a Gaza e nei Territori Occupati il governo di Hamas non lascia intravedere scenari positivi per il futuro e la crisi umanitaria nella Striscia è ogni giorno più grave.
E’ quindi con qualche ragione che il movimento GLBT ha iniziato a porsi la domanda che tutti, in silenzio, temevano: forse che sia necessario spostare e/o annullare il Pride? Se la situazione non dovesse migliorare nelle prossime due o tre settimane, sarà inevitabile annullare la manifestazione. Innanzi tutto per non ostacolare il lavoro dell’esercito e delle forze dell’ordine, ma anche per non trasformare una manifestazione per i diritti dei gay in un corteo politico, che poco ha a che fare con gli intenti fissati dai suoi organizzatori. Alcuni israeliani, con un po’ di cinismo ma non senza ragione, hanno scritto che posticipare il Pride una seconda volta significherebbe rimandarlo per sempre, aggiungendo che in Israele “ogni estate c’è una guerra”. Purtroppo è così. Con rassegnazione bisogna forse prendere atto che in questo momento, in questi anni, non è possibile organizzare in Israele una manifestazione della portata del Pride Mondiale. Nonostante i Pride nazionali che ogni anno attirano migliaia di israeliani, la situazione regionale e il conflitto israelo-palestinese fanno pesare la loro presenza e trasformerebbero il Pride in una manifestazione politica in senso stretto, più che in una contro l’omofobia e per i diritti GLBT.
Allo stato attuale è impossibile valutare quali conseguenze avrà il conflitto tra Israele e Libano. Le parole e le azioni del primo ministro israeliano Olmert e del libanese Siniora, fanno pensare a tempi non brevi per la fine delle azioni militari tra i due paesi. In queste condizioni è impensabile marciare per le strade di Gerusalemme con slogan belli e necessari ma al momento fuori posto, come quelli del Pride. Che fare? Se rimandare vuol dire allontanare per sempre, almeno per il prossimo futuro, la possibilità di tenere il Pride Mondiale in Israele, ciò è anche un atto di maturità e lungimiranza politica da parte della comunità gay. Rinunciare una seconda volta a Gerusalemme non è facile, ma forse è l’unica cosa da fare a fronte di una situazione così complessa e delicata. Se le cose dovessero migliorare, c’è ancora spazio per sfilare tutti insieme con orgoglio per Gerusalemme? Forse no. Forse neppure in questa seconda ipotesi, sarebbe opportuno continuare con il Pride. Innanzi tutto perché nonostante un’ipotetica tregua tra Israele e Libano, gli strascichi del conflitto andrebbero avanti per molto altro tempo, e il pensare ad altro, lo sfilare come se niente fosse accaduto diverrebbe impossibile. D’altra parte, come detto sopra, la totale politicizzazione del Pride lo svilirebbe del suo senso intrinseco, deformandolo irrimediabilmente.
Israele è una nazione che si è sempre caratterizzata per una grande unità nei momenti più difficili della sua storia. I suoi cittadini hanno saputo affrontare le prove più dolorose con coraggio e con forza. Ai gay israeliani non si può chiedere più di quanto già non abbiano fatto. Non possiamo pretendere che essi si trasformino in alfieri della tolleranza e della convivenza, in difensori della pace mentre amici e parenti fuggono impauriti dalle loro case di Haifa e i kibbutzim della Galilea vivono ore di assedio.
L’ultimo verso della haggadah, il racconto, letto ogni anno durante la festa di Pesach dagli ebrei di tutto il mondo è stato per millenni speranza di un prossimo ritorno nella Terra dei Padri: “l’anno prossimo a Gerusalemme”. Per il Pride si era pensato, con una buona dose di umorismo ebraico, ad uno scanzonato “l’estate prossima a Gerusalemme”: prima 2005, poi 2006, poi…
Forse per i gay israeliani dovranno trascorrere ancora molte altre estati prima che sopra il cielo di Gerusalemme sventolino le bandiere arcobaleno.