La parola “bullismo” evoca in prima istanza immagini di violenza, aggressione, sopruso fisico. Sarà per questo che l’attenzione mediatica che tale fenomeno ha recentemente conquistato in Italia si concentra per lo più su incresciosi episodi di abuso sessuale o molestie corporee ai danni di soggetti deboli che non sono in grado di difendersi. Sarà per questo che una buona percentuale di insegnanti si ostina a negare l’esistenza del bullismo a sfondo omofobico a scuola. In effetti, se per definirlo tale occorre chiamare in causa pestaggi e sevizie, per fortuna parrebbe non trattarsi di un’eventualità tanto frequente.
Ma il bullismo è anche altro: cosa può significare per un adolescente che sta cominciando a fare i conti con un orientamento omosessuale, sentire di continuo parole che apostrofano la propria natura in maniera irrispettosa, discriminante, limitativa o, nella migliore delle ipotesi, ridicolizzante? Il reiterato uso di termini come “frocio”, “checca”, “lesbicona” al puro scopo di offendere o di strappare una risata plateale hanno alla lunga un effetto demolitivo sulla psiche di chi, caso vuole, “frocio” e “lesbicona” lo è. Frasi come “guarda che non sono mica finocchio!” o “non starai mica diventando lesbica?” hanno un costo emotivo altissimo, senza considerare l’abbandono prematuro degli studi, la depressione ed i tentati suicidi. Immaginiamo come si sentirebbero i mancini o le vegetariane se fossero quotidianamente costrett* a leggere sulle piastrelle del bagno e sugli schienali delle sedie le loro rispettive condizioni associate a insulti e prese in giro. Ma no, questo non è bullismo, è solo uno scherzo innocente, spesso sottovalutato dai bersagli stessi che temono peggiori ripercussioni e si vergognano di portare i fatti alla luce. Allora tanto vale lavarsene le mani, che di problemi a scuola ce ne sono già tanti e il benessere delle studentesse e degli studenti non è certo tra i più urgenti da risolvere.
Qui sta il punto: il concetto che fatica a passare è che dedicare attenzione alla prevenzione ed al contrasto dell’omofobia tra i banchi non significa solo favorire la serenità di gay, lesbiche e bisessuali, ma anche migliorare la qualità della vita di tutta la popolazione scolastica, attraverso un clima accogliente ed inclusivo nei confronti di qualsivoglia identità, perfino di quella dei bulli, vittime di un “gioco” più grande di loro. Il bullismo è come la maglietta di una squadra sportiva, con il ruolo cucito sopra: bullo, bersaglio, osservatore. Manca il nome sulla maglia, perché al bullismo non importa nulla di chi la indossa.
Ma se i professori e gli studenti insieme aprissero gli occhi e le orecchie e gridassero un corale, deciso “NO!” all’intolleranza di ogni tipo, forse questo gioco si potrebbe interrompere e finalmente sulle magliette si leggerebbero i nomi delle persone al posto dei ruoli.
Matteo Martelli, coordinatore progetto Schoolmates
SCHOOLMATES
Arcigay è leader di un progetto per prevenire e contrastare il bullismo a sfondo omofobico nelle scuole, realizzato in partnership con associazioni di Madrid, Vienna e Varsavia: si chiama SCHOOLMATES ed è co-finanziato dalla Commissione Europea.
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