Ho consociuto Porpora al corso di Alta Formazione Welfare State e Cittadinanza Gay, Lesbica, Bisex, Trans; lei insegnante, io studente. Il suo volto non mi era nuovo, l’avevo già vista alle manifestazioni in giro per Bologna ma non conoscevo il suo ruolo all’interno dell’associazionismo. Sin dall’inizio, grazie ai suoi racconti, ho provato un profondo rispetto e una inaspettata curiosità. Quando ci ha detto che scriveva ho acquistato due dei suoi libri “Tra le rose e le viole” e “Antologaia”. Quest’ultimo è stato una vera e propria illuminazione su cosa abbiano significato gli anni ’70 per il popolo omosessuale facendo crescere in me una sana gelosia e una profonda autoanalisi.
Io sono nato nel 1976 e degli anni'70 ho sempre sentito parlare come di anni bui e pericolosi per la nostra storia. Non sapevo neppure ci fosse stata una rivolta così profonda nel nostro paese, la ritenevo legata all’America e all’Inghilterra. Conoscevo le lotte femministe, la nascita dei collettivi, le rivolte nelle principali città ma non avevo mai approfondito questi avvenimenti e, soprattutto, la mia mente li aveva legati tutti a episodi negativi che riguardavano gruppi armati, rapimenti, omicidi e scontri con la polizia.
Nonostante mio padre mi raccontasse delle sue partecipazioni alle manifestazioni di quel periodo poco o nulla avevo compreso della profonda trasformazione sociale in atto. Il suo manifestare era legato ai diritti degli operai e non alla rivoluzione sessuale, culturale e di genere; lui faceva parte di quella parte di comunisti “seri” che non capivano, e, forse, neppure conoscevano il nascente movimento omosessuale e la realtà GLBT.
Solo anni dopo, grazie alla conoscenza con Luciana Tufani, tutto il mondo della rivista “Leggere Donna” e del “Centro Documentazione Donna” di Ferrara, ho cominciato a comprendere la rivolta femminile, di affermazione sessuale e di genere ma è stato grazie ai ricordi di Porpora se ora ne comprendo il senso.
La mia generazione appartiene a quella fascia di persone cresciuta con il terrore dell’AIDS, con la diffidenza nei confronti delle persone GLBT e con un forte senso di oppressione e di senso del peccato. Sensazione che non mi ha mai abbandonato del tutto. Ricordo che il messaggio che passava quando ero bambino era quello del frocio-macchietta che importunava i “maschi” elemosinando sesso e, per questo, veniva emarginato e/o picchiato, che non si ribellava mai perché, in fondo, sapeva di meritarsi quel trattamento. Erano gli anni della pubblicità che invitava a “evitare” l’AIDS (ricordo ancora quell’aura viola che circondava gli “infetti” con la voce fuori campo che diceva “AIDS se la conosci la eviti, se la conosci non ti uccide”) e quindi tutti coloro che ne erano affetti. Era anche il periodo dei primi videotape, dei capelli cotonati, dei nascenti yuppies e dei paninari. Il nascente consumismo che ci avrebbe sommersi con la sua banalità.
Per me l’AIDS era una maledizione divina, solo ora mi rendo conto di quale arma sociale sia stata. I potenti, stato e chiesa (inutile, a questo punto della storia, continuare ad illuderci che ci sia ancora una qualche differenza fra le due istituzioni), avevano trovato il modo di fermare la rivoluzione in atto colpevolizzando la libertà sessuale e indicando come “untori” i personaggi sgraditi al sistema.
L’omosessualità tornava ad essere una colpa punita addirittura dal divino e gli/le omosessuali non hanno potuto far altro che correre ai ripari aspettando che la verità venisse a galla. Oggi mi sembra che tutt* vogliano dimenticare quel periodo e, francamente, non ne comprendo il motivo. Dovrebbe essere la nostra bandiera. Dovremmo ricordare a tutt* che, se l’AIDS ha decimato fisicamente molte persone, i potenti lo hanno fatto moralmente creando una vergognosa caccia alle streghe. Dovrebbe continuare e rinforzarsi il nostro impegno; dimenticare il dolore è naturale ma il nostro dovere è quello di far vivere la memoria.
Sono cresciuto con molti preconcetti, non avevo ben chiaro cosa significasse essere gay, per me era sinonimo di dolore e vergogna, ero troppo giovane per ribellarmi alle angherie e alla mentalità corrente. Ho fatto l’amore per la prima volta a 22 anni e, nonostante mi fossi protetto, per mesi ho avuto il terrore di essermi infettato. I primi anni di (scarsa) attività sessuale facevo il test ogni sei mesi, anche quando non ce n’era nessun bisogno. L’AIDS è stata la spada di Damocle che i potenti hanno abilmente tenuto sopra le nostre teste distruggendo quanto si era fatto sino alla sua comparsa, ci hanno trasformati in esseri con una bassa stima di sé, ci hanno fatto credere di essere colpevoli, zittendo le nostre coscienze ancor prima che le nostre voci. Al di là della malattia e del suo corso storico mi rendo conto di quante differenze ci siano tra oggi e gli anni settanta, per quanto riguarda l’omosessualità almeno.
La sessualità, per esempio, si è trasformata da mezzo comunicativo a sistema di controllo. Il piacere non è più ammesso, si sbandiera una libertà sessuale fasulla, ci consideriamo liberi solo perché ci viene data l’opportunità di avere saune, dark, discoteche senza comprendere che ci viene lasciato il sesso per controllarci meglio. Sono d’accordo con i dubbi avanzati da Porpora nei confronti di un certo tipo di tecnologia. Internet ha accorciato le distanze ma ha anche creato una forma diversa di rapporti: asettici, meccanici, inumani. Il sesso non è più un momento di gioia e aggregazione è un atto svuotato di senso. Non abbiamo più neppure il bisogno di toccarci, per godere possiamo guardarci attraverso una web cam: risolto il problema dell’approccio, nessuna malattia, nessun coinvolgimento. Ci siamo assuefatti anche al sesso, non è più una scoperta, non è più un gioco, per eiaculare possiamo andare in una sauna o in un qualche altro luogo del genere. Non abbiamo più bisogno di contatti profondi ne’ di confrontarci con gli/le altr*, non ci serve più neppure quella sintonia che sta alla base dell’attrazione. Abbiamo confuso l’indipendenza con la possibilità di andare in discoteca e/o scopare con chi ci pare senza comprendere che il potere ci ha dato le briciole per spegnere una rivoluzione che dava troppo fastidio. Siamo diventat* parte del sistema, del commercio: vestiti e vacanze, disco e pub, accessori e pubblicità. Ci sentiamo accettati perché l’indifferenza della gente ci ha resi invisibili, chiediamo diritti che nessuno è disposto a darci e vogliamo essere “normali”, ci impegniamo a dare immagini rassicuranti di noi ma la vera vittoria sta nel mantenere la nostra diversità.
La campagna contro di noi è stata talmente violenta che ci siamo convint* che il modello da seguire è quello eterosessuale, che la libertà sessuale è un male, che l’eccesso è sbagliato. Abbiamo rappresentanti GLBT che occupano alte cariche e che ci dicono come vestire ai Pride dimenticando la propria storia per offrire al pubblico un’apparente normalità. Tutto inutilmente perché il potere non ci accetterà mai, ci renderà agnellini schiavi della cintura D&G di turno ma non ci considererà mai cittadini di serie A. Ora che non ci possono più accusare di essere i portatori dell’AIDS (grazie alla medicina che ci ha detto che questa malattia attacca indifferentemente eterosessuali, omosessuali, bisex e trans) ci trasformano in beni di consumo, in qualcosa che fa tendenza. Ci hanno dato la sensazione di essere liberi ma in realtà siamo più schiavi di prima. Il significato nuovo dei gesti si è trasformato in necessità di produrre e di guadagnare: la musica, le arti figurative, persino la scrittura si sottraggono sempre meno alle regole del mercato dimenticando quella che Porpora definisce la “fantasia”.
Oggi tutto è deciso, preconfezionato, ci dicono come vestire, cosa pensare, chi amare. Persino un bacchettone come me capisce che il significato della droga, per esempio, è estremamente mutato dagli anni settanta ad oggi. La droga fa male oggi come lo faceva ieri ma almeno in quel periodo c’era la scusa della sperimentazione, oggi c’è solo lo sballo facile con sostanze sempre più sintetiche e dannose.
Forse Porpora ha ragione, la comparsa dell’AIDS h davvero segnato la fine di un’epoca. Quello che è venuto dopo non ha creato nulla di eversivo, solo puro e semplice conformismo.