Tabù (ancora tanti) e prime prove per «fare rete», o se si preferisce, per diventare una lobby come ce ne sono tante. Per pesare di più nel mondo degli affari e dell’economia. I gay, le comunità degli omosessuali, si mettono in movimento anche in Italia.
Non molto tempo fa aveva fatto discutere la decisione della banca d’affari americana Lehman Brothers di dedicare una giornata di selezione a Hong Kong solo per gli omosessuali, con l’obiettivo di accaparrarsi i talenti migliori. In realtà, per le società d’oltreoceano tutto questo è qualcosa che non ha niente di speciale. «Negli Stati Uniti — dice Ivan Scalfarotto, responsabile delle risorse umane Citigroup in Russia, Ucraina, Kazakistan — esiste un’associazione, Out & Equal, con sede a San Francisco, che si preoccupa di promuovere il diritto all’uguaglianza di gay, lesbiche, bisessuali e transgender (Glbt) nei luoghi di lavoro. Tengono conferenze annuali in città diverse degli Usa per scambiarsi informazioni. In tutte le grandi banche, in Ibm, in Johnson & Johnson, esistono gruppi organizzati di Glbt. In Citigroup, per fare un esempio, esistono molte organizzazioni: Citi Pride, Citi Disability, Citi Parents (per i colleghi con figli), Friends of Citi Pride, Citi Roots. Si fa formazione sulla diversità, che viene considerata una ricchezza».
È attraverso organizzazioni come queste che la comunità omosessuale «fa network», come dicono negli Usa; cioè fa lobby. Una strada che è, invece, ancora agli inizi in Italia, dove anche le filiali delle grandi società internazionali si arenano e non replicano i modelli che abitualmente utilizzano altrove, anche in Europa.
Tranne casi rari, ma visibili come la moda, dove per alcuni c’è addirittura una sorta di discriminazione contraria, in Italia dichiarare il proprio orientamento sessuale è ancora quasi sempre un tabù, a maggior ragione nel lavoro e in certi ambienti conservatori come la finanza.
Secondo altri punti di vista, però, l’idea di lobby comincia a prendere corpo. «E’ naturale che tra di noi ci si conosca e che all’occorrenza ci si aiuti: se un progetto
arriva da uno di noi, che facciamo più fatica ad affermarci, ha già in sé una certa possibilità di essere un buon progetto — dice Imma Battaglia, manager di un gruppo dell’informatica, da anni impegnata nella promozione dei diritti degli omosessuali e oggi alla guida dell’associazione Di’ Gay Project — Abbiamo tutti ben chiara la mappa del potere gay, ma non parlerei di un network formalizzato, quello non c’è ancora».
L’attenzione al tema, però, c’è ed è sempre crescente. Tanto che Franco Grillini, presidente onorario di Arcigay, parlamentare e candidato sindaco di Roma, è pronto a stampare «Pink dollar», «una sorta di Pagine gialle dell’economia, scritto insieme a un amico (sotto pseudonimo) che insegna storia economica. Sarà un libricino per fare la storia del rapporto tra gay e economia e mercato. Anche perché il contributo dato dagli omosessuali all’economia è molto maggiore del numero di omosessuali che ci sono nel Paese. Pensiamo soltanto alla moda, un comparto che da solo significa 600 mila posti di
lavoro».
«Con il suo discorso di libertà, la moda ha dato un grande contributo all’affermazione dei diritti di gay e lesbiche — dice Beppe Modenese, presidente onorario della Camera della moda italiana, —
Questa raggiunta normalità nella moda ha fatto sì che l’identità sessuale diventasse in un certo senso ininfluente: si viene scelti sulla base della professionalità e, visto che non c’è alcun bisogno di difendersi come può accadere in altri ambienti lavorativi, direi che non esiste una lobby gay».
Non c’è ancora, come dice Aurelio Mancuso, presidente di Arcigay, ma qualche tentativo di costituirla si sta facendo, anche se è «una cosa ancora molto embrionale». Il riferimento è all’esperimento lanciato da Glbtpower, associazione promossa da Sergio Canfora, autore televisivo, Claudio De Morais Costa, restyling d’interni, Luigi Smeraldi, make up artist, Lucia Schillaci, speaker radiofonica, e Massimo Berlolaccini, gestore di B&B. «Come idea siamo nati nel 2000 — dice Canfora, che è presidente
dell’organizzazione — ma operiamo solo dal 2006. Realisticamente sappiamo che non si potrà parlare di una lobby ancora per una decina d’anni perché c’è molto timore a uscire allo scoperto come manager e professionisti. Ma oggi c’è tutta una parte del mondo gay che non si riconosce nei gay pride. Noi siamo neutri e vogliamo allargare la visuale, sosteniamo gli omosessuali ma non solo le loro cause». Glptpower in qualche modo raccoglie l’eredità di un tentativo precedente, e fallito, che si chiamava Primonetwork. «Una piccola associazione — ricorda Canfora — che raggruppava solo dirigenti e manager di un certo livello. Organizzava incontri, cui si accedeva solo su invito, nei quali si discuteva di diversità e di management. Aveva un approccio molto americano e non ha funzionato». Tra i network oggi attivi, il presidente di Glptpower ricorda il sito europeo www.6pc.info e il neonato www.cosmocirle.cc. A tutti si accede su invito e con password. Come si vede da questi esempi, e come il successo del portare Gay.it dimostra (articolo in pagina), lo strumento principe della comunità omosessuale è Internet.
Anche il mondo della ricerca e dell’università ha posto di recente la sua attenzione sulle comunità omosessuali. «Le città dove c’è maggior sviluppo dell’innovazione economica e tecnologia sono le città che manifestano un’apertura culturale nell’accettazione del diverso e dell’omosessualità», dice
Irene Tinagli, ricercatrice alla Carnegie Mellon University. Esperienze che riporterà a breve in un libro in uscita per Einaudi («Talento da
svendere») dove Tinagli usa «l’indicatore dell’apertura mentale e culturale di una comunità, di una società, perché è ancora oggi la più difficile da affermare, soprattutto in Paesi tradizionalisti e cattolici come l’Italia».
***
GAY.IT NEL 2006 HA AVUTO UN GIRO D’AFFARI DI QUASI 650 MILA EURO
Nel 2006 ha avuto un giro d’affari di quasi 650 mila euro ed era ancora in perdita. Ma nel 2007 Gay.it spa, la società che edita il più grande portale italiano dedicato agli omosessuali, per la prima volta è andata in leggero attivo (bilancio non ancora depositato). Con 500 mila contatti al mese e 20 milioni di pagine viste, Gay.it è la capofila di un gruppo economico che sta crescendo dentro al movimento omosessuale.
Gli imprenditori sono Alessio De Giorgi, 38 anni, e Christian Pierre Panicucci, 42 anni, con il 21,99% ciascuno; più Davide Buselli, 34 anni, con l’11%. La quota singola più alta (25,33%) è nelle mani di Nadine Corporation Limited, un investitore legato a Gay Tv. Partecipa, infine, al capitale con una quota del 19,67% Planet out, società americana quotata al Nasdaq ed editrice di Gay.com e di riviste gay.
«Siamo nati nel ’96 come sito Internet amatoriale, avevamo visto che sulla Rete non c’era niente che riguardasse il mondo omosessuale italiano — racconta Alessio De Giorgi —. Poi abbiamo incontrato il gruppo Matrix di Paolo Ainio, che è diventato nostro partner e ci ha dato 2 miliardi di vecchie lire per ricapitalizzare. Era il 2000. Poi Telecom dismise molte partecipazioni e Matrix uscì dal nostro capitale».
Accanto a Gay.it sono nate altre iniziative. Fanno capo al gruppo guidato da De
Giorgi, Gesticom, che gestisce locali notturni in Toscana (l’attività è seguita da Panicucci) e il tour operator Out travel, principale riferimento per il turismo gay. Ancora, c’è Commonline.it, società di comunicazione e pubblicità e, soprattutto, Clubbing srl, la società che pubblica in 25 mila copie Clubbing, la rivista mensile free press distribuita in un’ottantina di locali gay friendly in Italia.
Un altro degli imprenditori che sta crescendo nell’economia gay è Andrea Bergamini, editore di Playground, opere a tematica omosessuale. E anche l’Arcigay, con la rete di locali, bar, saune, discoteche, genera attività.
Internet è lo strumento principale della comunità omosessuale. Ed è anche quello sul quale per le aziende è più facile fare pubblicità. «Mentre sulle riviste troviamo con difficoltà inserzionisti — dice De Giorgi — su Internet non manca nessuno dei grandi. Quest’anno abbiamo fatto un tour nei locali gay con Coca Cola, lo ripeteremo la prossima estate. Abbiamo anche importanti aziende italiane, mancano banche e assicurazioni».
Un investitore di Gay.it è Ikea. «Per noi, oltre al target, è importante che il mezzo su cui investiamo abbia i numeri — dicono in Ikea Italia — e Gay.it li ha». I rapporti di Ikea con la comunità omosessuale, pur non essendo privilegiati, sono molto buoni. Poche settimane fa, l’Ikea di Bari nel corso di una «notte bianca» ha ospitato un banchetto dell’Arcigay, «un successo». E a Bologna, un paio d’anni fa, dentro il negozio furono simulate case diverse, tra cui quelle di una coppia gay e di una coppia lesbica. «Gli abitanti potevano invitare gli amici. Una delle coppie ci ha fatto la festa di anniversario».
***
«MA LA DIVERSITà è UNA RICCHEZZA»
L’esperienza di John Basile, presidente del gruppo di pressione «Fidelity pride»
Tema della riunione: l’incontro con David Pallone, che parlava della sua autobiografia, «Behind the mask: a double life in baseball». Un libro che da quando è uscito, quasi vent’anni fa, è stato al centro di accese discussioni, interviste, conferenze perché toccava un nervo scoperto: l’omosessualità nello sport. Il dibattito, lo scorso 9 ottobre, si teneva al Boston College Club, nel palazzo della Bank of America, e registrava tra le società partecipanti Ernst&Young, Deloitte&Touch, Fidelity Investments, Kpmg, PriceWaterhouseCoopers, Raytheon, Bank of NY Mellon. Tutte presenti al quarto «Pride in your work», dove per Pride si intendono le organizzazioni aziendali che si battono per garantire diritti e una tranquilla visibilità a gay, lesbiche, bisessuali e transgender, comunemente raggruppati nell’acronimo Glbt. Si tratta di network ufficiali ben organizzati e riconosciuti, che esprimono l’atteggiamento pragmatico e, insieme, fortemente civile della società americana. Ne parliamo con John Basile, presidente di Fidelity Pride a Boston.
Qual è la finalità di questi incontri?
«L’obiettivo delle riunioni periodiche "Pride in your work" è mettere in contatto i gruppi Glbt delle aziende della città e dintorni per conoscersi meglio e approfondire i propri interessi. In genere, invitiamo come speaker un personaggio di primissimo piano di un settore specifico perché condivida la sua storia e la sua formazione, perché consigli insomma come raggiungere il successo restando fedeli a se stessi, senza nascondersi nel proprio luogo di lavoro».
Il ruolo di Fidelity Pride è ufficiale: da quando? Quali sono i suoi intenti?
«Fidelity Pride è un gruppo ufficiale di networking della Fidelity Investments
Fmr Llc. È stata fondata nel 2000 e ha questi obiettivi principali: uno, sostenere la società e i suoi successi come un’azienda di fama mondiale che attrae e trattiene i dipendenti migliori e più brillanti. Due, costruire un ambiente di lavoro dove i dipendenti possano raggiungere il loro pieno potenziale nel rispetto e nell’affermazione di ciò che sono, perché il vero valore si basa sul contributo
personale. Tre, agire come una risorsa per aiutare i leader, i manager e i dipendenti a capire e usare la leva positiva della diversità all’interno delle aziende e nella comunità. Quattro, fondare network per i dipendenti Glbt perché possano impegnarsi e contribuire alle organizzazioni di genere nella società».
Appare sempre più grande la disparità di atteggiamento tra Stati Uniti ed Europa, anche all’interno della stessa azienda. Dipende da un fattore culturale?
Dalla mancanza di una corretta analisi sociale?
«Io penso che dipenda da esigenze di organizzazione che si creano in un certo momento storico. Quando, nel 2000 è stato fondato Fidelity Pride, era ben evidente l’esigenza di fornire ai soci più anziani informazioni e dati per aiutarli a comprendere come i Glbt potessero essere utili all’interno del nostro gruppo e avere successo professionale».
Che cosa aveva enfatizzato questa esigenza?
«In quel periodo, stavamo valutando di estendere alcuni benefit anche al partner familiare, quindi era nato un forte scambio di idee sull’opportunità di garantirli anche ai dipendenti Glbt. Oggi il Gruppo è ancora attivo ma più come puro network che strumento di pressione, avendo già garantito una serie di tutele. Penso anche che la maggior parte dei nostri concorrenti abbia abbracciato la diversità come parte di un programma di iniziative a sostegno di tutte le diversità. Perciò sono convinto che questo atteggiamento rappresenti un vantaggio competitivo per le aziende degli Stati Uniti».
Essere gay dichiarato può precludere la carriera? In Italia questo succede.
«Nei miei 22 anni di carriera in Fidelity, non ho mai avuto alcun problema a essere me stesso. Nei primi giorni ero un pochino più nascosto, ma da quando è stato fondato Fidelity Pride sono stato valutato dal top management della società come una risorsa per loro di valore sui temi Glbt. Sono aperto con i miei colleghi e mi sento sempre rilassato. No, non ho la sensazione di essere differente da qualsiasi altro».