Il sindaco di Bologna liquida Bindi

  

Per lui non dovrebbe essere ripresentata perché anticoppiegay
L’Arcigay, sede nazionale a Bologna, è stato uno dei grandi elettori del Pd e del sindaco Virginio Merola, contraccambiata dopo la sua elezione dal sì all’organizzazione del Gay Pride nella città emiliana e nell’inserimento delle associazioni pro-coppie gay nella Consulta locale della famiglia, una decisione che ha fatto infuriare la Curia e provocato le dimissioni delle organizzazioni cattoliche, tanto che la Consulta è di fatto bloccata. Perciò Merola ha un diavolo per capello per quanto successo all’assemblea Pd e ora ha alzato il tiro sul tema del rinnovamento del partito e tra coloro che dovrebbero farsi da parte c’è ovviamente Rosy Bindi, al centro dell’affaire anticoppiegay. In un momento delicato per la crisi economica e i provvedimenti da digerire del premier Mario Monti e per di più con le elezioni alle porte lo sconquasso provocato da Bindi nel Pd appare quasi surreale. Con l’Arcigay che annuncia il boicottaggio dell’imminente festa nazionale dell’Unità, sindaci e dirigenti schierati a favore della regolamentazione di qualsiasi tipo di coppia contro i cattolici pidiessini più intransigenti che danno battaglia e appoggiano la parlamentare. Dice Sergio Lo Giudice, capogruppo Pd in consiglio comunale a Bologna e per anni presidente dell’Arcigay: «Chiudere sui gay come hanno fatto Pier Luigi Bersani e la Bindi è un errore che si pagherà. Sul tema è più avanti Matteo Renzi».Bindi rischia di fare perdere voti a Bersani alle primarie (se si faranno). Anche perché sulla stessa linea di Lo Giudice ci sono Pippo Civati e Ignazio Marino. Sintetizza Enrico Fusco, dirigente del Pd pugliese con tessera Arcigay: «Il testo approvato nell’assemblea Pd è arcaico, irrispettoso, offensivo della dignità delle persone, si torna ai dico, che non dicono nulla. In sintesi: quel documento è una presa per il culo». Mentre Andrea Benedino, a lungo responsabile Ds per i diritti civili, ha restituito la tessera Pd.Non sarà facile per Bersani buttare acqua sul fuoco. La miccia è stata la decisione del presidente dell’assemblea Pd, Bindi, di non mettere ai voti un documento del comitato Pd per i diritti in materia di matrimonio tra coppie omosessuali. A gettare sale sulla ferita ha pensato Beppe Grillo che nel suo blog ha scritto: «All’assemblea del pdmenoelle, il partito che vorrebbe governare l’Italia (non ridete per favore), si è discusso principalmente di un fatto che dovrebbe essere scontato, pacifico: le nozze gay e i diritti delle coppie omosessuali. Io sono favorevole al matrimonio tra persone dello stesso sesso, ognuno deve poter amare chi crede e vivere la propria vita con lui o con lei tutelato dalla legge». In sostanza il problema sarebbe che la Bindi il sesso non lo conosce.All’Arcigay ricordano che Grillo, al termine di un comizio a Bologna lo scorso anno si rivolse a Nichi Vendola, che sarebbe dovuto salire sul palco di lì a poco per una manifestazione di Sel, con queste parole: «At salut, buson», che tradotto significa: «Ti saluto, culattone».Perciò l’odierno appoggio grillesco (a parte la grevità del concetto espresso sulla Bindi) viene preso con le molle e Paola Concia, deputata Pd dichiaratamente omosessuale e prima firmataria del documento non votato che ha scatenato il putiferio dice: «Caro Grillo, ma anche Antonio Di Pietro, vi pregherei di non strumentalizzare il seppur faticoso ma sacrosanto dibattito all’interno del Pd, che rimane comunque l’unico partito che ne parla al suo interno».Ma l’Arcigay di Torino definisce Rosy Bindi «talebana» e chiede al direttivo regionale Pd di schierarsi: «perché i nostri diritti», è scritto in una nota, «non sono un’offerta sacrificale da bruciare sull’altare di un’alleanza con l’Udc».E da Bologna (è consigliere regionale Idv), Franco Grillini, fondatore dell’Arcigay, spara a zero sul partito che dovrebbe essere alleato del suo: «L’ogm Pd è fallito. Impossibile mettere insieme cattolici integralisti e socialdemocratici. I cattolici osservanti-vaticanisti hanno una regola ferrea: su certe cose non si media. E la questione della parità di diritti tra coppie gay ed etero è una di queste».Mentre uno della nouvelle vague dell’Arcigay, Bruno Pompa, afferma: «Quando certi argomenti vengono definiti “beghe interne” o una persona come Rosy Bindi afferma che “piuttosto di dare in affidamento un bimbo a una coppia gay preferisco muoia di fame in Africa”, ci sentiamo presi in giro».Si fa strada l’ipotesi di un referendum interno, autogestito ma col placet di un’icona del Pd, Renato Zangheri, sindaco-mito di Bologna. Era il 28 giugno 1980 quando l’allora sindaco comunista Zangheri incontrò, primo in Italia, una delegazione gay e assegnò loro uno spazio comunale nonostante la durissima opposizione della Curia. Il referendum dovrebbe sancire definitivamente la posizione Pd sull’argomento, bypassando gli organismi statutari che, secondo il parlamentare cesenate Sandro Gozi, non funzionano: «Nel Pd c’e’ un evidente problema di funzionamento degli organi a causa di una logica unanimistica che impedisce sistematicamente un reale confronto nel partito. Altro che democrazia. Lo abbiamo visto sui diritti civili, lo abbiamo visto sulle primarie che vengono vissute dai dirigenti ‘storici’ con fastidio, come una concessione a una persona e non come grande occasione di dibattito e di mobilitazione per milioni di persone».Un clima pesante, all’interno del Pd. Con un altro fronte che si apre in una città che amministra, Castel San Pietro, alle porte di Bologna. Il nuovo regolamento cimiteriale prevede che le salme possano essere tumulate vicino, solo se si era sposati o in parentela fino al secondo grado. Anche nel cimitero gestito dal Pd niente da fare per le coppie di fatto.


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