F*ck the violenza, cap. 3: “Alla fine del dolore”

  

 

F*CK THE VIOLENZA!” è un progetto pensato dal Gruppo Cultura di Arcigay Catania in occasione della Giornata internazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia (o IDAHOBIT, acronimo di International Day Against Homophobia, Biphobia and Transphobia).

L’obiettivo della giornata è quello di promuovere e coordinare la sensibilizzazione e la prevenzione sulla tematica, così da
contrastare il fenomeno dell’omofobia, della bifobia e della transfobia. 

Il progetto consiste nel raccogliere, pubblicare e far circolare una serie di racconti, frasi, testimonianze reali, creando uno spazio sicuro per dare voce a chi ha conosciuto la violenza, l’ha superato e la combatte, raccontandovela; per un mondo migliore per tutt* e un migliore tempo di vita; perché abbiate sempre cura di splendere. 
Le cose cambiano, e vanno meglio: noi vogliamo dimostrarvelo

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Non era esattamente quello che mi aspettavo.
Anzi, era un’idea che non aveva nemmeno mai attraversato la mia immaginazione.
Quello che non mi aspettavo, capitemi, era che potesse accadere a me.

Quello che mi aspettavo era che sarei andato con lui a quella festa, che gli avrei stretto la mano a bordo piscina sentendomi più grande, parte di quel qualcosa che avevo sempre invidiato ai miei coetanei, o ai ragazzi della mia età che avevo visto nei telefilm.

Quello che mi aspettavo è che avrei presentato a tutti il mio fidanzato, che tutti ci avrebbero ammirato perché era bellissimo, io pensavo che lui fosse bellissimo, e avevo sedici anni e lo amavo come sanno amare i sedicenni. Chi se ne frega se eravamo due maschi: non era mai importato. E poi nel 2010, a chi dovrebbe importare più?
Quello che non mi aspettavo è che la paura spinge le persone a fare cose orribili.

 

Io mi stavo solo divertendo. Ancora oggi a volte mi chiedo se stessi facendo del male a qualcuno; ma mi rispondo subito che no, non è mai stata colpa mia: era una bella festa, ridevo, ero innamorato, lo guardavo mentre scherzava con i suoi amici e io con i miei, fermi convinti che non dovessimo stare ogni secondo mano nella mano per appartenerci. Quello che mi aspettavo è che lui sarebbe venuto da me qualora avesse avuto voglia di sentirmi vicino, e allora io mi sarei aspettato il suo odore, il suo sapore, il calore del suo respiro sul collo, mentre mi abbracciava da dietro come al solito, mentre ridevamo con i nostri amici, mentre mi baciava piano.

Quello che non mi aspettavo è che gli altri ci odiassero così.

 O che potesse succedere a me, che non avevo fatto nulla di male, che non mi ero mai cacciato nei guai, non avevo mai litigato con quei ragazzi pericolosi, “i fascisti” – li chiamavano così, anche se di politica non ne sapevano nulla.

Quello che non mi aspettavo è che accadesse mentre lui era distante, che al rallentatore lo vedessi girarsi insieme alla folla che urlava, correre verso di me, mentre tutto diventava buio e il mio assalitore gridava: “Frocio!”, così aveva detto; non che non me l’aspettassi, alla fine del dolore, quella parola.

Quello che non mi aspettavo è che quando ti picchiano fa davvero male.

C’è un’altra cosa che non mi aspettavo: quello che è venuto dopo. Il supporto, la vicinanza, la rabbia e l’orgoglio, l’amore, la consapevolezza, l’aiuto, le lotte, le associazioni, l’attivismo.

 Ed è ridicolo, mi dico ridendo, che non me lo aspettassi: perché la violenza avviene e basta, è folle e può essere casuale; ma il buono del mondo si può prevedere. Le cose cambiano, e vanno bene, grazie a questo: il futuro che meritiamo è dietro l’angolo, basta lottare per averlo.