Visibilità VS Stereotipi è la campagna social ideata e realizzata da Arcigay Rete Trans* Nazionale in occasione della Giornata internazionale della visibilità transgender (TDOV), ricorrenza dedicata alla sensibilizzazione contro le discriminazioni verso le persone transgender di tutto il mondo. Christian, Laura, Betta, Lu, Eris, Lele, Ivan, Lorenzo, Silvia e Yvan sono persone trans* e non binarie che ci raccontano alcuni degli stereotipi e dei pregiudizi con cui hanno dovuto fare i conti. La loro visibilità è la risposta più efficace alle discriminazioni e alle violenze subite a causa di questi stessi stereotipi e pregiudizi, ma è anche il modo migliore per decostruirli e ribaltarli.
Identità di genere (il percepito di sé) e orientamento sessuale (verso chi si prova attrazione) sono due aspetti dell’identità sessuale non collegati tra loro. Anche le persone trans*, come tutte le altre, possono avere diversi orientamenti sessuali e definirsi lesbiche, gay, eterosessuali, bisessuali, pansessuali o asessuali. Uno dei pregiudizi che colpisce maggiormente le persone trans* è quello di dare per scontato il loro orientamento sessuale basandosi sull’aspetto. Ad esempio, si dà per scontato che un uomo trans sia attratto da donne, mescolando così il piano dell’identità di genere con quello dell’orientamento sessuale, quasi a credere che il percorso di affermazione di genere di una persona trans* sia determinato dal piacere a qualcuno e non da ragioni legate alla propria identità.
Essere donne trans non implica necessariamente essere prostitute. Le persone trans* hanno sogni e aspirazioni lavorative come tutte le altre ma spesso a causa di documenti non ancora rettificati o aspetto fisico non aderente a ciò che la società si aspetta, per loro inserirsi nel mondo del lavoro è difficile, in quanto non vengono valutate per ciò che sono: persone con delle competenze. Le persone trans* che svolgono lavoro sessuale (quando è una loro scelta e non c’è sfruttamento) hanno diritto a tutele e rispetto.
La maggiore conoscenza porta a una maggior consapevolezza del sé, per questo negli ultimi anni si stanno affermando sempre più le identità non binarie. C’è chi le definisce moda o capriccio: è davvero così? Le persone non binarie sono sempre esistite, anche quando nella cultura occidentale mancavano le parole per raccontarsi e raccontare le loro identità. Vi sono almeno 10 culture al mondo che riconoscono il non binarismo di genere: in Indonesia, ad esempio, nella popolazione di etnia Bugis (composta da circa 3 milioni di persone) vengono riconosciuti 5 generi, tra i quali troviamo quello delle persone Bissu, le cui identità sono un connubio tra femminile e maschile. Casi di culture che accettano le persone non binarie si hanno nelle Isole Samoa, in Messico, in India, nelle culture native americane, Madagascar, Hawaii. Quindi non si tratta di una moda ma di identità sempre esistite che ora, giustamente, pretendono di essere riconosciute.
Quando si parla di persone non binarie, si intendono tutte quelle persone che non riconoscono la propria identità di genere all’ interno del binarismo di genere, ovvero parliamo di persone che non sono completamente maschili o femminili. Molto spesso le loro identità vengono invisibilizzate e ricondotte a maschi effeminati o donne mascoline, perché lette in un’ottica binaria che esse stesse non riconoscono per le proprie soggettività. Molto spesso vengono utilizzati i termini corrispettivi inglesi nonbinary (non-binary) genderqueer o enby. Alcune persone non binarie possono identificarsi con entrambi i generi binari. In questo caso parliamo di persone bigenere (in inglese bigender o genderfree). Se non si riconoscono in nessun genere si tratta di persone agenere (agender). Nel caso di identità oscillanti tra il maschile e il femminile parliamo di persone genderfluid.
Identità di genere e orientamento sessuale sono due cose distinte. Le donne trans* lesbiche subiscono un doppio pregiudizio in quanto donne. Uno è dovuto al fatto che venga dato per scontato che siano eterosessuali, invalidando il loro orientamento sessuale, rendendole partecipi dello stesso stigma che colpisce le loro sorelle cisgender lesbiche. Una discriminazione che viene da lontano e si lega alla donna come oggetto di piacere per l’uomo e al ruolo riproduttivo che le è stato assegnato. Il secondo pregiudizio simile e parallelo all’altro è il chiedere ad una donna trans lesbica perché ha transitato visto che le piacciono le donne: “non era più comodo restare uomo eterosessuale?”. Sono due facce della stessa medaglia. Ma se prima si metteva in dubbio l’orientamento lesbico di una donna, con questo pregiudizio si invalida l’identità di donne.
La società in cui viviamo spesso ci impone dei modelli rigidi di ciò che è considerato maschile e femminile. Essere trans* non significa necessariamente voler aderire a quanto la società eterocispatriarcale in cui viviamo si aspetta da noi. Ogni persona deve avere il diritto di costruire la propria identità in modo libero.
Il nostro aspetto fisico, i nostri genitali, non sono ciò che caratterizza le nostre identità, le nostre persone…
Siamo persone trans e la nostra stessa esistenza abbatte ogni stereotipo di ciò che la società per secoli ha imposto come canone rigido. Siamo orgoglios*e portiamo avanti la nostra lotta.
Come dice Laverne Cox: «È rivoluzionario, per ogni persona trans, scegliere di essere vista e visibile in un mondo che ci dice che noi non dovremmo esistere»
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