Arcigay e migranti: il reportage di Gay.tv

  

Da alcuni mesi Arcigay è protagonista del progetto “Nuovi Approcci nel campo dell’integrazione dei migranti residenti in Italia: l’aiuto ai migranti lesbiche, gay, bisessuali e transessuali (LGBT).

Il progetto è finanziato dal Ministero della Solidarietà Sociale e nasce dall’esperienza che l’Associazione ha cumulato negli anni, lavorando con migranti LGBT, per offrire loro supporto, informazioni e consulenza. Il progetto ha l’obiettivo di sostenere l’integrazione dei migranti LGBT, in quanto persone che possono essere particolarmente esposte al rischio di esclusione sociale, trovandosi ad affrontare ostacoli specifici sia all’interno delle comunità di origine che all’interno della comunità LGBT. Tra le attività del progetto vi è stata nell’estate 2008 una ricerca qualitativa condotta a livello nazionale che ha coinvolto migranti LGBT e testimoni chiave (i loro partner, operatori e operatrici di servizi). I dati saranno man mano raccolti nel nuovo sito internet dedicato

Da queste interviste si possono avere diverse sorprese che possono essere utili a conoscere maggiormente la variegata comunità LGBT italiana che si compone ormai di differenze molto sfumate e diversificate tra persona e persona. Innanzitutto, colpisce dalla viva voce dei protagonisti la comunanza rispetto ai gay e alle lesbiche nati e cresciuti nel nostro paese. La maggior parte degli intervistati dice di essere gay/lesbica, ma sente sulla propria pelle i problemi legati alla visibilità, soprattutto in famiglia. Secondariamente è comune a tutte e a tutti la difficoltà di trovare un compagno o una compagna per la vita. Infine è percepita in maniera diffusa una lontananza delle associazioni LGBT che mettono a disposizione pochi strumenti per chi parla poco o niente l’Italiano. Sembrerà anche una cosa banale, ma la carenza di informazioni basilari sull’aggregazione e sui servizi LGBT rischiano di non includere tutti i nuovi italiani che non padroneggiano completamente la lingua. Inoltre viene segnalato da diversi immigrati il fatto che operatori ed operatrici delle associazioni non hanno a disposizione informazioni aggiornate sulle possibilità di ottenere il permesso di soggiorno. Effettivamente siamo così abituati a percepirci come omosessuali che dimentichiamo che gli immigrati sono prima di tutto stranieri che vogliono trovare una sistemazione stabile in Italia.

È per questo che uno degli strumenti forniti dal progetto Arcigay è proprio il seminario di formazione per operatori che si svolgerà a Napoli dal 12 al 14 dicembre prossimi: un momento intensivo per fornire strumenti di base e per gettare le fondamenta di nuove figure di operatori dei comitati Arcigay, più pragmatici, più vicini alla vita quotidiana delle persone, fatta di difficoltà di lavoro, di scambi personali con una lingua avversa, di ricerca di relazioni.
Grazie a internet, molti degli immigrati hanno ricevuto una pre-socializzazione al modello occidentale LGBT presente nel nostro paese. Chi migra ha già una maggiore consapevolezza di se stesso e visitare i nostri siti web lo avvicina all’idea di omosessualità italiana.

La differenza più forte è una sorta di bisessuofobia sentita da diversi stranieri, cioè una critica a un certo tipo di militanza che considera come progresso il modello gay esclusivamente occidentale. “Da noi non esistono gay ma i bisex e non c’è differenza tra gay e travestito” racconta un intervistato. In Italia non viene accettato pienamente chi vuole avere relazioni affettive e/o sessuali con lo stesso sesso, ma contemporaneamente desidera mettere su una famiglia con una persone del sesso opposto e magari avere dei figli. La discriminante maggiore tra il gay occidentale e il migrante è lo sposarsi.
“Come gesto d’affetto tra amanti gay nel mio paese si dice ‘tanto mi inviterai al tuo matrimonio’”. “Nel mio Paese nessuno è omosessuale ma tutti lo fanno”.

Tra gli intervistati, pochissime sono le donne. Ancora una volta, anche in scala globale si ripropongono i temi che riguardano l’associazionismo italiano: la maggiore visibilità dell’identità gay maschile rispetto a quella lesbica, dovuta ad una storia più lunga, un riproporsi delle dinamiche di relazione e di contatto che favoriscono in Arcigay, associazione a prevalenza maschile, maggiori contatti con migranti uomini.

Riguardo alle diverse provenienze geografiche, non si possono tracciare delle mappe definite, ma ogni persona fa un percorso unico a sé. In generale si può solo registrare maggiormente una presenza di gay e lesbiche già pienamente consapevoli nel paese di origine tra coloro che provengono dai Paesi dell’America Latina. Anche se molti migranti avevano già tutti avuto comportamenti omosessuali nel loro paese d’origine sebbene non si definissero gay.

Tra tutta questa variegata popolazione, non solo i migranti forzati in quanto LGBT, ma soprattutto i migranti economici, cioè coloro che fuggono da situazioni di povertà e poi, incidentalmente sono anche LGBT. Inoltre ci sono i profughi politici ed anche i cosiddetti esploratori, cioè chi scegli di vivere in paesi diversi. In ogni caso i migranti omosessuali appaiono molto più transnazionali rispetto agli etero: l’abitudine a cercare nuove reti di relazioni accomuna tutti i profili LGBT attorno al mondo.

Tra queste storie, ecco quella di Jimmy,  21 anni, nato in Colombia. Dieci anni fa ha raggiunto la madre, in Italia da quando lui era molto piccolo. Ora vive in una città del Nord Italia. Qui ha frequentato la scuola e si è da poco diplomato.
“Io mi definisco Jimmy, non mi definisco gay o etero. So di essere un essere umano […].La mia visione è molto italiana credo. Infatti forse non so se vado bene per la tua ricerca perché io mi sento italiano.”
Jimmy ha da poco iniziato ad essere cosciente di provare desiderio per persone dello stesso sesso. La porta d’accesso al mondo gay è stato il web, poi i locali LGBT. Le domande senza risposta sono ancora molte, ma qualcosa è davvero cambiato.
“E’ nata così, è stato come aprire un pacco regalo e esce una cosa con la molla […]. Ho tante domande senza risposta.”

Il coming out porta a nuovi territori non ancora esplorati, proprio come per tutte le persone omosessuali.
“Si decide anche di lasciare persone che nel mondo etero c’erano prima e con cui adesso non posso condividere questa cosa […]. Automaticamente staccandosi da questo mondo per un lasso di tempo ci si sente soli.”

Jimmy nel suo coming out coinvolge dunque per primi gli amici più stretti, soprattutto compagni di scuola, italiani, eterosessuali. Tiene fuori, invece, la sua famiglia, spaccata tra l’Italia, la Colombia ed altri Paesi destinazione della sua diaspora familiare. “Mia madre come la prenderebbe? Con il tempo le passerebbe […] Forse impazzisce… o forse no, magari è più semplice. Io sono anche propenso a farmi una vita da solo. Io abito con lei da dieci anni ma ancora mi faccio delle domande su di lei. Forse non le ho dato l’opportunità di farsi conoscere, non lo so […] Io devo parlare della mia vita solo se ho il piacere di parlarne. E con questo hai già capito la mia situazione in famiglia, che non è facile.”
“Io ho solo amici italiani. Pochissimi stranieri. Mi trovo bene così. Ho conosciuto qualche colombiano, ma in questa città non ce ne sono tanti di colombiani. La mia visione è molto italiana credo […].”

Alla domanda “In cosa ti senti o sei simile e diverso dai tuoi coetanei italiani gay?” risponde: “Noi stranieri abbiamo uno spirito del divertirci molto allargato. Perciò non conta la nazionalità o meno […]. Non vedo molte differenze. Io ho conosciuto un sudamericano che mi diceva: “Non voglio che si veda che sono peruviano”, quando si vedeva lontano un miglio!”
Mentre per definirsi tra l’essere di origine straniera, vivere in Italia, essere gay, ecco come elenca questi aspetti in ordine di importanza per descriversi: “Adesso al primo posto metterei la mia omosessualità. Poi la mia omosessualità è molto legata alla mia vita in Italia, perciò al secondo posto l’Italia. E al terzo posto le mie origini.”

La maggiore difficoltà per chi in Italia è cresciuto in una cultura tradizionale è proprio questa, quella di percepire l’identità italiana in movimento. Sono ormai presenti moltissime persone omosessuali di famiglia straniera, ma nati in Italia o comunque di seconda generazione, cioè interamente secolarizzati nel nostro paese perché arrivati prima dei sei anni di età. E così le differenze diventano più sfumate. Anche se il colore della pelle, la religione o la cultura familiare cambiano, tutte queste persone sono italiane prima di tutto, che vivono sulla loro pelle la difficoltà di destrutturare gli stereotipi e di lottare a volte contro i pregiudizi.


Continueremo a vedere nuovi aspetti di queste molteplici identità nella seconda puntata del reportage.


Si ringraziano per la collaborazione Raffaele Lelleri e Matteo Ricci di Arcigay

 


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